XXXIV Domenica del Tempo Ordinario

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario

Con questa domenica si chiude l’anno liturgico. Per un intero anno, dall’inizio dell’Avvento, siamo stai accompagnati dalla Parola di Dio alla conoscenza e alla partecipazione a tutta la vicenda di Gesù. Il Vangelo di questa domenica ce lo presenta alla fine della storia, come re dell’universo, nel momento del giudizio universale. La scena è grandiosa. Gesù, sul trono regale, è “accompagnato da tutti i suoi angeli”. E davanti a lui sono convocate “tutte le genti”. Sì, tutti, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, appartenenti a questa e quella razza, vissuti prima e dopo Cristo. Tutti i popoli sono lì, senza distinzione alcuna. Davanti al trono di Dio non ci sono e distinzioni. L’apostolo Pietro lo dice chiaramente in una delle sue prime prediche: “Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (At 10, 34). Sarebbe importante, care sorelle e cari fratelli, che noi tutti ricordassimo sempre queste parole e guardassimo pertanto gli uomini con gli occhi di Dio, non con i nostri spesso guidati dai limiti induriti della nazionalità, dei confini, delle culture di appartenenza. Un po’ più di universalità nel cuore renderebbe tutti più giusti e più tolleranti.


Ma almeno alla fine dei tempi, quando tutti staremo davanti a Dio, vedremo con i suoi occhi. Non saranno più importanti le tante e a volte drammatiche divisioni createsi sulla terra: tutti siamo davanti al Signore. Una sola distinzione apparirà, e verrà manifestata da Dio. C’era, questa divisione, ma noi non la vedevamo, tanto era deconsiderata. Il Giudice di cui parla il Vangelo la vedeva da sempre, ed ora la manifesta. Il pastore, scrive Matteo, divide gli uni dagli altri, come il pastore divide le pecore dai capri. E metterà gli uni a destra e gli altri a sinistra. La divisione non passa tra un popolo e l’altro, tra una cultura e l’altra, tra un’appartenenza e l’altra; e neppure tra credenti e non credenti. No, la divisione passerà all’interno degli stessi popoli, all’interno delle stesse culture, all’interno delle stesse persone; per cui accade che una parte di noi stessi starà a sinistra e un’altra parte a destra di Gesù. Il criterio della divisione non si basa sulle diversità ideologiche, culturali, e neppure religiose, ma sul rapporto che ognuno ha avuto con i poveri, potremmo dire con i “poveri-cristi”. E di noi si salverà quella parte e quel tempo di vita che ci hanno visti dare da mangiare a chi aveva fame, dare da bere a chi aveva sete, vestire chi era nudo, visitare chi era carcerato. Ecco perché, care sorelle e cari fratelli, se aguzziamo bene lo sguardo vediamo tra coloro che sono alla destra di Gesù anche Giunio Tinarelli e don Peppino. E non li vediamo soli. Essi sono accompagnati dai tanti piccoli e grandi che hanno aiutato, sostenuto, consigliato. E Gesù stesso dice loro: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere…”.


Il dialogo tra il giudice e gli interlocutori dei due gruppi mette a fuoco quest’aspetto sconcertante: il giudice universale della fine dei tempi che ora tutti (buoni e cattivi, credenti e non credenti) riconoscono come Re e Signore, sulla terra aveva il volto di quel barbone, di quell’anziano, di quel bambino, di quei tanti profughi, di quel malato, di quel carcerato. E l’elenco ciascuno può continuarlo; basta aprire un pò gli occhi. Certo è che il confronto decisivo tra noi e Dio, non avviene in una cornice di gesti eroici e straordinari, ma nella quotidianità e nella banalità degli incontri con i deboli e i poveri. Pertanto il criterio decisivo della salvezza è l’amore per i poveri, non importa se sai o non sai che in loro è presente lo stesso Gesù.


La presenza di Gesù, il suo identificarsi con loro, è un fatto oggettivo. Essi sono sacramento di Cristo, non perché sono buoni e onesti, ma unicamente perché poveri, perché sono deboli, perché hanno bisogno di aiuto. Ad esempio. Don Peppino stava solo con chi era bravo? Si sceglieva quelli da accogliere e gli altri da buttare? Non stava forse con tutti i ragazzi, per il fatto che erano piccoli e che avevano bisogno? E’ lontana dalla sensibilità evangelica la ricorrente pretesa di aiutare solo i poveri onesti. E’ come se don Peppino avesse aiutato qualcuno perché era buono e avesse abbandonato un altro perché aveva problemi. Voi tutti comprendere la crudeltà di un tale ragionamento. Eppure non è difficile ritrovarlo. I piccoli e i poveri vanno amati perché sono deboli. E chiunque può amarli. Non è necessaria neppure la fede, sembra suggerire il Vangelo. Potremmo dire che è il Vangelo che abbiamo ascoltato è una parola che riguarda anche i “laici”. Quelli che stanno alla “destra” dicono esplicitamente che non hanno riconosciuto il Cristo in quei poveri che hanno aiutato. Ma questo non conta; quel che conta è la compassione e l’aiuto, si sappia o no che in quel povero c’era lo stesso Gesù. Care sorelle e cari fratelli, Giunio Tinarelli e don Peppino, continuano anch’essi a ricordarci che l’aiuto ai poveri e ai piccoli decide la nostra salvezza. Quella dei singoli, ma anche della nostra città, e sin da oggi.