Celebrazione con i giovani

Celebrazione con i giovani

Cari amici,


ci ritroviamo assieme questa sera nella cattedrale mentre inizia il tempo dell’avvento, il tempo dell’attesa. Ma attesa di cosa? Del Natale, qualcuno potrebbe dire. Ma che significa il Natale per me, per la mia città, e soprattutto che significa per il mondo? Non è una festa che lascia tutto com’era prima? Non lascia cioè il mondo sprofondato in quella notte di cui parla Pietro, la notte in cui non si prende nulla? Caro amico, cara amica, anche senza guardare lontano ti accorgi subito che il mondo intero è come sprofondato in una notte triste e buia.


I giorni e le città sembrano essere scanditi dalla violenza: qualche settimana fa l’attentato in Indonesia a Bali, poi a Mosca, poi in Nigeria, l’altro ieri nel Kenia, e ogni giorno in Terra Santa i due popoli si uccidono a vicenda, e l’uno dice di difendersi dall’altro, ciascuno giustificando la propria violenza. Alcuni di noi sono tornati da qualche settimana dal pellegrinaggio nei luoghi santi e sono stati testimoni della tragedia che si è abbattuta sia sugli uni che sugli altri. Si avvicina il Natale e neppure si sa se lì è possibile celebrarlo. Ma noi come possiamo celebrarlo noi senza interrogarci? I racconti che ci hanno fatto hanno toccato profondamente il nostro cuore e siamo come fissi in quella grotta da cui è nato il “principe della pace”. Direi che la situazione di buio in cui si trova la Terra Santa è un po’ il simbolo della notte che avvolge il nostro pianeta. Il mondo intero in effetti sembra diventato un covo di violenza, come scrive il salmo 74: “gli angoli della terra sono covi di violenza” (20).


E i covi di violenza sono anche vicini a noi. Non ci sono stati covi di violenza a Novi Ligure, a Brescia, a Cogne? E non diviene anche la nostra terra – parlo della terra della nostra diocesi – un covo di violenza quando continuiamo a contare giovani che si tolgono la vita? Nel solo mese di novembre sono stati due i giovani, nostri amici, che si sono tolti la vita, senza contare quelli di persone più adulte o anziani. Vedete, da una parte  – sono in genere i paesi poveri – si muore per la violenza delle armi e dall’altra – in genere sono i paesi ricchi – si muore per l’apatia, per la violenza della solitudine senza avere nessuno a cui ricorrere, nessuno a cui appoggiarsi.


Ma come liberare il nostro mondo da questo demone della violenza? Che cosa si può fare di fronte alla decisione di combattersi con le armi? Cosa si può fare di fronte alle trame terroristiche? Che cosa si può fare per vincere la fame, la sete, l’ingiustizia? Spesso non sappiamo cosa fare; anche la gente non sa cosa fare. Ci sentiamo impotenti e chiniamo la testa, rassegnati. Ci mettiamo da parte, dicendo con una parvenza di ragione: che conto io? che posso fare io? E’ facile rinchiudersi nel proprio guscio; è facile pensare solo a se stessi e alle proprie cose. Tutti potremmo dire con Pietro: “abbiamo pescato tutta la notte e non abbiamo preso nulla!” Certo, c’è da vedere se davvero abbiamo pescato tutta la notte. O piuttosto se ciascuno non ha pescato solo per sé e per i propri affari. Questo atteggiamento egocentrico, badate bene, rende il buio della notte ancor più angoscioso, rende la vita ancor più nera. E se nei paesi poveri si muore per la guerra o per la fame, in Occidente si muore o per solitudine, o per droga, o per eccessiva velocità il sabato sera. Ma chi pesca per sé non solo non prende nulla ma contribuisce a rendere più amara la vita sua e quella degli altri. Domenica scorsa ad Amelia esprimevo la mia preoccupazione per l’apatia di molti giovani che non hanno più sogni per il futuro, che non sanno più guardare oltre l’immediata soddisfazione, che si rassegnano a giornate che scorrono sempre uguali e un po’ scialbe.


Questa sera, anche a noi, Gesù dice, come disse a Pietro: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. Con questo comando inizia un nuovo giorno, un nuovo tempo. Non è più il tempo dei nostri affari, ma quello degli affari di tutti e soprattutto dei più deboli, di chi non ha pace, di chi non ha amici. E prendere il largo vuol dire accogliere anzitutto il Vangelo. Come Pietro, anche noi diciamo: “Sulla tua parola getterò le reti”. Sì, il Vangelo è la rete, è la risposta che ci viene data e che gli altri attendono. Questo piccolo libro è la rivolta contro la dittatura della guerra e del demone della violenza. E’ vero che le guerre e la violenza segnano ininterrottamente la storia degli uomini. Eppure il Vangelo non vuole né la guerra né la violenza. E noi con Lui. Apriamo il Vangelo e sradicheremo la guerra e la solitudine dalla terra. Questa sera vi consegnerò il Vangelo di Marco. E’ una rete che, se dispiegata e gettata al largo, compie miracoli. Ve lo consegno perché la gettiate al largo. Inizia così un nuovo tempo per noi e per coloro che saranno raggiunti da questa parola. Per quattro mesi ci incontreremo, noi aiutati anche dai seminaristi di Assisi. Sarà un tempo di preghiera: alcuni di voi so che hanno già deciso di ritrovarsi prima di entrare a scuola la mattina per pregare. Bene, è un modo di vivere la pace. So che altri giovani hanno deciso di dare un po’ del loro tempo per aiutare la mensa dei poveri di San Valentino. Bene, è un modo per sradicare la violenza. So anche che altri desiderano dare il loro aiuto per i paesi poveri magari andando l’estate ad aiutarli. Bene, questo è un modo per allargare la solidarietà. Tutti dobbiamo tenere nel cuore le ferite del mondo per ricordarle e per pregare per la pace.


Il Vangelo che vi dono è una parola amica. E noi vogliamo vivere un Natale amico, una Natale che sia davvero una buona notizia, fatta non tanto di parole ma di amicizia, di compagnia, di affetto, di aiuto concreto. Vi propongo un Natale amico della Terra Santa, amico dei paesi ove siamo, Albania, Congo, Kossovo, Guatemala, Bolivia, amico dei poveri. Un’immagine partirà dalla questa cattedrale e dall’altare da poco consacrato, come un’icona del Natale vero. Il 25 dicembre ho invitato in cattedrale i poveri per fare con loro un pranzo. Chi è solo e non ha nessuno potrà venire qui e mangiare. E’ come un presepe alla rovescia: quando venne Gesù lo mandammo in una stalla, quando Gesù vede i poveri gli dona la sua cattedrale. Sì, a Natale ognuno chiude le porte di casa propria per fare festa. Quest’anno la cattedrale aprirà le sue porte per accogliere bambini e anziani, poveri e zingari, cristiani e musulmani, giovani e meno giovani, tutti ci raduniamo nella navata centrale per il pranzo di Natale, e ciascuno riceverà un regalo. E’ l’icona del mondo diritto, quello della pace. Assieme a questo gesto ce ne sono altri, noti e meno noti. Ma è questo il miracolo di quella pesca miracolosa che inizia quando il Vangelo viene aperto e letto in mezzo della vita degli uomini.