Verso una bioetica globale

Introduzione

Il termine “bioetica” viene proposto negli anni Settanta dall’oncologo Potter a motivo degli sviluppi spesso problematici di potenti mezzi biotecnologici che rendevano incerto il futuro del mondo. Purtroppo la bioetica invece di assumere queste dimensioni globali e interdisciplinari, la bioetica si concentrò sulle questioni sollevate dalle nuove tecnologie concentrandosi su temi come l’aborto, la fecondazione assistita, l’eutanasia, la diagnosi genetiche, i trapianti d’organo e di tessuti e così oltre[1]. In tal senso, le domande più radicali sul senso delle realtà di cui la bioetica si occupa, a partire dalla vita umana stessa, dal suo senso, dalla sua destinazione, sono rimaste nell’ombra. La pressione delle urgenze normative portava ad affrontare temi rilevanti con intento pragmatico senza un approfondimento delle stesse questioni in un orizzonte più ampio e globale che comprendeva anche temi come la popolazione del pianeta, l’inquinamento, la povertà, gli effetti negativi del progresso tecnologico, e così via. Potter intendeva la bioetica come la sapienza di “sapere come usare il sapere” per la sopravvivenza dell’umanità e per l’arricchimento della qualità della vita[2]. Insomma la bioetica come la scienza della sopravvivenza umana. In realtà il dibattito si è diretto su due prospettive polarizzanti, segnate spesso da atteggiamenti fortemente ideologici. L’una che privilegiava «un univoco fondazionalismo” e l’altra di “equivoco relativismo»[3]. Potter da parte sua, qualche anno dopo, vista questa polarizzazione, poneva “l’idea di umiltà e di responsabilità a base della bioetica”[4].

La situazione odierna del mondo globalizzato conferma l’importanza delle intuizioni originarie di Potter: le scoperte tecnologiche infatti hanno un impatto sempre più grande sugli esseri umani e sul creato. Ed emerge con molta urgenza la necessità di promuovere un’alleanza tra le diverse scienze per affrontare in maniera adeguata le grandi sfide che si stanno aprendo nel mondo. Vorrei offrire alcune riflessioni che articolerò in tre punti. Nel primo evidenzieròle ragioni per cui la bioetica deve ormai essere globale. Nel secondo la necessità del dialogo interdisciplinare. E infine presento alcune indicazioni di come papa Francesco si colloca in profonda sintonia con queste prospettive.

I Parte

La metamorfosi del mondo

1.Una prospettiva globale e cosmopolita

Dai tempi di Potter, la comprensione del mondo, ormai globalizzato, è più ampia e più profonda. Ulrich Beck, un noto sociologo da poco scomparso, nel suo ultimo saggio pubblicato (postumo), propone una sintesi complessiva del suo lungo percorso di studisul tema[5]. A suo parere ci troviamo in presenza di una vera e propria metamorfosi del mondo. Non si tratta di un semplice cambiamento. Ma, appunto, di una metamorfosi – papa Francesco parla di un cambiamento d’epoca – che destabilizza le certezze della società moderna e genera uno choc antropologico[6]: «non riguarda gli effetti collaterali negativi dei beni, ma gli effetti collaterali positivi dei mali. Questi ultimi generano orizzonti normativi di beni comuni e ci spingono al di là del quadro nazionale verso una visione cosmopolita»[7].Siamo quindi davanti a una sorta di «svolta copernicana 2.0»[8]: eventi come il cambiamento climatico (che coinvolge l’intero pianeta) e la rete internet (che permette praticamente di collegare tra loro tutti gli abitanti del pianeta), indicano che lo Stato-nazione non è più al centro del sistema sociale. È in questo spazio che i confini – non solo quelli nazionali ma di qualsiasi genere – vengono superati, scompaiono e vengono costruiti ex novo: cioè, vanno incontro a «metamorfosi». Il «nazionalismo metodologico» dice che il Sole gira attorno alla Terra, ovvero il mondo gira attorno alla nazione. Il «cosmopolitismo metodologico», al contrario, insegna che è la Terra a girare attorno al Sole, ovvero che sono le nazioni a girare attorno al «mondo a rischio».[9] E’ in questo orizzonte che già negli anni ’80 lo stesso Potter inizia a parlare di “bioetica globale”. Ebbe molta rilevanza il suo volume Global bioethics – Building on the Leopold legacy, ove Potter enfatizza il tema della bioetica in rapporto alla crisi ecologica avvertita con forza da Aldo Leopold, un americano pioniere nella conservazione del creato.

L’esempio impiegato da Beck per illustrare la situazione del mondo globalizzato, è tratto proprio dal repertorio della bioetica. Egli mette in evidenza come la medicina riproduttiva, nata con l’intento di venire incontro ai problemi di sterilità della coppia, sia entrata in una dinamica che ha superato di gran lunga gli obiettivi clinici a cui sembrava voler rispondere. A partire dalla possibilità di intervenire tecnologicamente sul concepimento, è tutto l’ordine della generazione che ha subito una metamorfosi. L’agire riguardante il concepimento, la gravidanza e l’essere genitori si è inscritto in un quadro di riferimento in cui l’alleanza tra tecnica ed economia, strettamente collegata alle diseguaglianze sociali che superano le distanze tra continenti, si è profondamente modificato[10]. Le forme di paternità e maternità si sono disarticolate nelle loro dimensioni biologiche, territoriali, sociali e culturali. Il risultato è che il figlio in fase prenatale diventa oggetto di attenzione, dibattito e conflitto globale, legale, politico, etico e religioso[11]. Le nuove biotecnologie sono inoltre sottoposte a vincoli legislativi differenti nei diversi Paesi. Infattise quanto è proibito in un Paese è consentito in un altro, si favorisce una progressiva erosione dell’evidenza delle ragioni che sostengono i diversi sistemi normativi. Pertanto gli effetti di questo insieme di fattori, minacciano profondamente le relazioni che sono alla base della famiglia e della stessa convivenza umana.

2.Nuove opportunità: «catastrofismo emancipativo»

Ma questo non è un destino ineluttabile. Infatti è possibile riconoscere nella dinamica della metamorfosi anche nuove opportunità. Perciò, questa situazione che potrebbe apparire catastrofica può invece essere una occasione per una trasformazione positiva. Nel linguaggio del Concilio Vaticano II, potremmo parlare della stessa situazione come «segno dei tempi»[12], una occasione opportuna da cogliere. Ovviamente non si tratta di un passaggio automatico. Richiede invece una mobilitazione condivisa delle coscienze. Del resto, il fatto di essere esposti agli effetti distruttivi dei fenomeni globali che arrivano a minacciare la stessa sopravvivenza umana sulla terra, può diventare una sollecitazione alla responsabilità di tutti. Nel campo della bioetica è indispensabile promuovere una visione globale del mondo, una visione dell’unità del genere umano.

Sul piano giuridico, ad esempio, è necessario che si metta in luce la metamorfosi sopra descritta come una spinta alla elaborazione di norme comuni che assumono importanza a causa della percezione di rischi globali. L’attenzione si sposta progressivamente dalla trasgressione delle norme già esistenti nel campo del diritto (internazionale), a scenari futuri in cui possono realizzarsi calamità globali. È una dinamica molto simile a quella che ha dato origine al riconoscimento dell’universalità dei diritti umani.

Sullo scenario politico deve affermarsi la prospettiva di una convivenza pacifica universale. La prospettiva cosmopolita rende più evidenti le contraddizioni di quei sistemi deliberativi in cui si tengono separati coloro che prendono le decisioni e coloro che sono esposti ai rischi conseguenti e che, spesso, non sono neanche coinvolti nella elaborazione delle scelte[13]. Si tratta pertanto di individuare «come unità di ricerca […] comunità di rischio che includa[no] anche ciò che la prospettiva nazionale esclude: i decisori e le conseguenze delle loro decisioni su altri, al di là dello spazio e del tempo».[14]

Un esempio virtuoso di questa prospettiva è la convocazione del Sinodo per l’Amazzonia. In questa assemblea si riuniscono soggetti non identificati sulla base della loro appartenenza nazionale, ma su quella regionale sopranazionale coinvolta dagli stessi interrogativi e dalle stesse difficoltà. I partecipanti inoltre dispongono di risorse condivise: ossia di una «identità complessa, che è insieme geografica, antropica e am­bientale»[15], per indicare la quale i documenti ufficiali hanno optato l’uso del termine «bioma», per designare appunto i fattori principali che consentono la vita. L’esempio dell’Amazzonia, a mio avviso, dovremmo prenderlo immediatamente e realizzarlo per il contesto del Mediterraneo. E’ più che auspicabile un evento sul Mediterraneo, come area comune sopranazionale.

II Parte

Per un dialogo interdisciplinare

1.Articolazione dei diversi saperi

Ciò che caratterizza la bioetica – che, come abbiamo visto, è per sua natura globale – è l’interdisciplinarità dell’approccio. Insomma la bioetica deve necessariamente avvalersi dei differenti saperi. Potter, ad esempio, sottolineava l’urgenza per la bioetica del rapporto con la filosofia. Oggi si richiede ancor più audacia. Nessuna singola disciplina, infatti, è in grado di offrire da sé sola la conoscenza sufficiente per affrontare gli interrogativi emergenti a livello globale. Si tratta di questioni che toccano contemporaneamente diverse dimensioni della vita sia personale che sociale. E d’altra parte è del tutto inadeguata la mera giustapposizione dei risultati delle diverse discipline scientifiche. Siamo infatti davanti all’esigenza di porre in relazione tra loro i diversi saperi, i diversi tipi di razionalità, e porli in relazione tra loro. Non è assolutamente sufficiente un dialogo tra discipline scientifiche che porti solo ad un accumulo di dati eterogenei. La tematica è naturalmente di grande portata sia teorica che pratica, e interpella anche la questione della discipline teologiche e della loro legittimazione nel dibattito pubblico[16]. E’ una campo delicato e assieme decisivo. Ci porta ad immaginare le antiche università medioevali dove, appunto, vi erano tutte le scienze che interagivano tra loro. Oggi sta emergendo tale esigenza. Accenno, per fare un solo esempio, a quanto sta accadendo nell’ambito delle scienze cosiddette naturali ove stanno emergendo piste di ricerca di grande interesse e per le quali viene utilizzata l’etichetta di “paradigma sistemico”[17]. Un paradigma che conferisce particolare importanza alle relazioni tra gli elementi che costituiscono i fenomeni studiati. Nell’ambito delle neuroscienze, ad esempio, non si cerca di localizzare la funzione della coscienza nell’attività di una zona del cervello, ma si prendono in considerazione le interazioni che ne collegano le diverse parti. È infatti l’influenza vicendevole che consente di rendere conto delle nuove proprietà che emergono nella crescita in complessità delle organizzazioni funzionali.

2.Rilevanza per l’etica

Tale prospettiva fornisce all’etica spunti interessanti in diversi ambiti. Il discorso si farebbe qui lungo e articolato; mi limito a fare un solo esempio. Quello del difficile dialogo tra il mondo tecnico-scientifico e i saperi umanistici. Gli esperti dei due mondi non solo fanno spesso fatica a intendersi, ma anche a sviluppare una comunicazione che incida realmente. La dinamica tecno-scientifica sta assumendo una sempre maggiore autonomia che, alleandosi alle forze economiche, sfugge sempre al controllo di chi l’ha messa in opera. E possiamo avere sviluppi tecnologici al di fuori di una prospettiva etica. Se invece cerchiamo un principio di razionalità in campo etico che riconosce una sintonia con l’approccio scientifico – quindi un approccio sistemico –  diventa più praticabile il dialogo tra le diverse discipline. Si individua una relazione interna tra i saperi e non esterna, come se i diversi ambiti fossero estranei l’uno all’altro. Questa alleanza tra saperi consente di procedere con più efficacia nella comprensione del bene comune e delle scelte che lo attuano. Ed anche da parte dell’etica la prospettiva sistemica richiede una disponibilità ad ampliare il proprio orizzonte. Il discernimento etico deve tener conto della complessità umana e del mondo globalizzato. Pur consapevoli che l’insieme degli elementi implicati non può essere completamente conoscibile né controllabile, tuttavia questo non ci esime dal considerare la molteplicità di aspetti presenti nei fenomeni e delle loro reciproche connessioni[18].

III Parte

Indicazioni di Papa Francesco

1.Alla ricerca del principio di integralità

Un testo importante per conoscere il pensiero di papa Francesco in questo campo è l’Enciclica Laudato Si’. In questo straordinario testo papale il paradigma dell’ecologia integrale svolge un ruolo determinante. Il Papa insiste sulle correlazioni complessive e sulle interdipendenze che rendono la questione ecologica un plesso in cui si intrecciano dimensioni molteplici[19]. Sottolinea, ad esempio, il legame tra crisi “ambientale” e crisi «spirituale»[20]. Questo significa che la crisi ecologica non può essere affrontata in maniera isolata. Essa va considerata nelle sue connessioni (sistemiche), e richiede la conversione di «tutte le relazioni umane fondamentali»[21]. E’ una prospettiva che il Papa ribadisce anche a proposito della bioetica globale, sottolineando l’importanza dei fattori sociali, economici, culturali e ambientali che incidono sulla vita e sulla salute umane [22].

Più volte papa Francesco riprende il tema della trans-disciplinarità per superare la mera giustapposizione (tattica) dei contenuti conoscitivi prodotti dai singoli saperi scientifici. Il compito da svolgere – scrive papa Francesco – consiste nel favorire l’interazione tra tutte le scienze per una nuova comprensione dei fenomeni, in un atteggiamento di reciproco ascolto ed elaborando un pensiero ospitale, come esigenza intrinseca della ricerca della verità[23]. L’ho già accennato. Anche la teologia deve porsi in rete con gli altri saperi, in una logica di ascolto e di accoglienza, oltre che di discernimento critico. L’ormai popolare immagine del poliedro trova anche qui un campo di riferimento. Un’immagine che peraltro esprime bene l’atteggiamento che papa Francesco auspica per la partecipazione dei credenti nel dibattito pubblico, anche sui temi di bioetica:

“È noto a tutti, quanto la Chiesa sia sensibile alle tematiche etiche, ma forse non a tutti è altrettanto chiaro che la Chiesa non rivendica alcuno spazio privilegiato in questo campo, anzi, è soddisfatta quando la coscienza civile, ai vari livelli, è in grado di riflettere, di discernere e di operare sulla base della libera e aperta razionalità e dei valori costitutivi della persona e della società. Infatti, proprio questa responsabile maturità civile è il segno che la semina del Vangelo – questasì, rivelata e affidata alla Chiesa– haportato frutto, riuscendo a promuovere la ricerca del vero e del bene e del bello nelle complesse questioni umane ed etiche”.[24]

In questo stesso discorso, il papa sottolinea l’atteggiamento di collaborazione che caratterizza la presenza della comunità ecclesiale all’interno della comunità civile. Entrambe infatti condividono la responsabilità per il servizio di tutti gli uomini e le donne, con attenzione a tutte le dimensioni che caratterizzano l’umano e con particolare considerazione verso i soggetti più fragili ed emarginati. Il suo intervento sulle scelte che si pongono in prossimità del passaggio della morte, ad esempio, costituisce un esempio in questa linea:

“In seno alle società democratiche, argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise. Da una parte, infatti, occorre tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza. D’altra parte lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società. Una particolare attenzione va riservata ai più deboli, che non possono far valere da soli i propri interessi. Se questo nucleo di valori essenziali alla convivenza viene meno, cade anche la possibilità di intendersi su quel riconoscimento dell’altro che è presupposto di ogni dialogo e della stessa vita associata. Anche la legislazione in campo medico e sanitario richiede questa ampia visione e uno sguardo complessivo su cosa maggiormente promuova il bene comune nelle situazioni concrete”.

In tal senso è decisiva l’esortazione di Papa Francesco a promuovere una vera e propria cultura dell’incontro nel quale nessuno è il possessore assoluto della verità. Ambedue sono comunque in ricerca. La verità ci possiede e ci sorpassa. Per questo, alla domanda su chi vincesse dei due dialoganti, il papa rispose “vince l’incontro”.

Conclusione

Recuperare il respiro globale che ha caratterizzato i momenti dell’origine della bioetica non è perciò facoltativo. Potrei dire che oggi la bioetica o è globale o semplicemente non è. E sarebbe un crinale che ci porta alla distruzione sia del creato come “casa comune”, sia dei popoli della terra intesi nell’unità di quella famiglia che abita, appunto, la terra, come “casa comune”. Il respiro globale è pertanto indispensabile e la bioetica è la via per tenere in vita la casa comune e la famiglia che la abita. In questo contesto diventa sempre più importante forgiare strumenti concettuali e riflessivi che consentano di praticare un dialogo sia tra i diversi saperi, sia tra le differenti culture e tradizioni religiose. Le indicazioni di papa Francesco sono un chiaro e urgente invito per tutti a intraprendere questa strada. Certo si tratta di avviare anche una revisione delle nostre mappe mentali, evitando di chiuderci in schemi del passato e in morali asettiche e fredde. E’ necessario accogliere con coraggiosa apertura e sapiente discernimento le risorse che il pensiero contemporaneo mette a disposizione di tutti. C’è un coraggioso passaggio nel discorso che papa Francesco ha tenuto alla Pontificia Accademia per la Vita: “Sarebbe infatti decisamente contrario alla nostra più genuina tradizione fissarsi su un apparato concettuale anacronistico, incapace di interloquire adeguatamente con le trasformazioni del concetto di natura e di artificio, di condizionamento e di libertà, di mezzi e di fini, indotte dalla nuova cultura dell’agire, propria dell’era tecnologica. Siamo chiamati a porci sulla via intrapresa con fermezza dal Concilio Vaticano II, che sollecita il rinnovamento delle discipline teologiche e una riflessione critica sul rapporto tra fede cristiana e agire morale (cfr.Optatam totius, 16)”.[25]

Mi pare evidente anche da queste parole che abbiamo di fronte un ampio campo di impegno per elaborare un’etica della vita, anche in un contesto teologico, che raccolga la provocazione che ci è rivolta dall’attuale momento storico e dalle parole di papa Francesco.

Lezione pronunciata al Festival di Filosofia il 13 settembre 2019 a Sassuolo e in diretta streaming a Modena

[1]Cfr. G.Hottois, Defining Bioethics: Back to the Sources, in D. Meacham (a cura di), Medicine and Society.New Perspectives in Continental Philosophy, Springer, Dortrecht 2015, pp. 15-38. La difficoltà di interazione tra queste differenti impostazioni è anche dovuta alle diverse prospettive filosofiche sottese, pur non mancando punti di possibile convergenza (cfr F.D’Agostino, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent’anni, Cortina, Milano 1997), e si ripercuote in una tendenziale separazione dei linguaggi e degli autori di riferimento (cfr. S. Holm – B. Williams-Jones, Global bioethics – myth or reality?, in «BMC Medical Ethics», 7 (2006), pp. 1-10).

[2]V.R.Potter, Bioethics, the science of survival, in Perspectives in Biology and Medicine, 14 (1970), p.127.

[3] R. Dell’Oro, On the Ultimate That Is the First: Thinking Beyond (Bio)ethics, in «Gregorianum», 3 (2019), pp. 621-647, qui p. 623.

[4] V.R.Potter, Humility with responsability – a bioethic for oncologists: Presidential address. Cancer and Medicine, 35, 1975, p. 2304.

[5]Cfr. U. Beck, La metamorfosi del mondo, Laterza (ed. Kindle), Roma-Bari 2016.

[6]Ibidem, pos. 136.

[7]Ibidem, pos. 172.

[8]Ibidem, pos. 203.

[9]Ibidem, pos. 204.

[10]Una conclusione a cui giunge, pur attraverso differenti strumenti analitici e campo di indagine, anche L. Boltanski, La condizione fetale. Una sociologia della generazione e dell’aborto, Milano 2007.

[11]U. Beck, La metamorfosi del mondo, cit., pos. 552.

[12]Per una precisazione del significato di questo termine, di cui ricorrono definizioni variabili, cfr G.Ruggieri, La verità crocifissa. Il pensiero cristiano di fronte all’alterità, Carocci, Roma 2007, 81-114 e G.Ferretti, Il criterio misericordia. Sfide per la teologia e la prassi della Chiesa, Queriniana, Brescia 2017, 96-147. Con l’espressione «segni dei tempi» non si vuole tanto indicare un problema che chiede di essere risolto, ma una indicazione dell’operare di Dio nella storia. Non si tratta solo di eventi esterni empiricamente identificabili, ma di fenomeni da discernere di cui fa parte costitutiva la mobilitazione delle coscienze che si impegnano con libera e consapevole responsabilità, determinandosi di conseguenza.

[13]È il caso per es. della sperimentazione clinica di farmaci o dispositivi terapeutici che vengono svolti su gruppi di pazienti africani, sapendo che non sarà possibile impiegarli se non nel mondo occidentale per motivi di costi e di funzionamento delle infrastrutture sanitarie.

[14]U. Beck, La metamorfosi del mondo, cit., pos. 715.

[15]Cfr. G. Costa, Sinodo per l’Amazzonia: perché coinvolgerci e come?, in «Aggiornamenti sociali», 7/8 (2019), pp. 533-540, qui p. 535.

[16]Cfr. B. Cadoré, Le théologien entre bioéthique et théologie. La théologie comme méthode, in«Revue des sciences religieuses», 74/1 (2000), pp. 114-129, qui p. 117; A. Autiero, La teologia come scienza della vita? Una provocazione carica di conseguenze, in P. Simonelli – P.-R. Tragan (a cura di), La parola e la polis. Percorsi biblici, teologici, politici, Paoline, Milano 2017, pp. 176-186.

[17]Rielaboro qui alcuni aspetti di quanto esposto in C. Casalone, «Amore, sessualità, generazione: vecchi e nuovi scenari culturali», in S. Cipressa (a cura di), Sessualità, differenza sessuale, generazione. A cinquant’anni da Humanae vitae, Cittadella Editrice, Assisi 2019, pp. 11-40.

[18]Cfr. M.J.Thiel, Le défi d’une éthique systémique pour la théologie, cit., p. 102.

[19]Francesco, Laudato si’, nn. 137-162.

[20]Ibidem, n. 119.

[21]Ibidem.

[22] Francesco, Discorso alla XXIV Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita (25.6.2918).

[23]Francesco, Veritatis gaudium, n. 4.c..

[24]Francesco, Discorso al Comitato Nazionale per la Bioetica (28.1.2016).

[25]Francesco, Discorso alla XXV Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita (25.2.2019).