Missione famiglia

di Vito Magno       

Lo slancio missionario, che Papa Francesco, a cominciare dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, sta imprimendo alla Chiesa, in che modo tocca la famiglia?

       Innanzitutto è importante ricordare che l’Evangelii Gaudium è un po’ il manifesto di questo pontificato; la Chiesa tutta deve essere missionaria. Papa Francesco  con linguaggio molto immaginifico dice: la Chiesa “deve uscire fuori”. Mi impressionò il breve intervento che egli fece nella riunione del Preconclave, quando diede un’interpretazione personale alla frase dell’Apocalisse “Io sto alla porta e busso”. L’allora cardinale Bergoglio disse: “Gesù non stava fuori di casa ma dentro casa, voleva uscire, e quelli che erano dentro non volevano farlo uscire”. A me pare che si possa affermare che anche la famiglia “deve uscire”, non può rimanere chiusa dentro casa. Francesco chiede a tutta la Chiesa, e quindi anche alle famiglie cristiane, di preoccuparsi di coloro che sono fuori, perché vivere da cristiani non vuol dire pensare solo a sé stessi, ma andare anche in cerca di chi ha bisogno di conoscere il Vangelo della misericordia.

     Ma se è vero che tutti i battezzati sono missionari, qual è lo specifico missionario della famiglia?

    Innanzitutto è importante ricordare che la famiglia non è composta  solo dai coniugi, ma anche dai figli e dalle relazioni che ne conseguono. In questo senso la missione della famiglia è quella di comunicare la famigliarità di Dio a tutti, a cominciare dal proprio quartiere per finire con la città e il mondo. L’amore famigliare è per sua natura estroverso; non si è famiglia da soli. L’amore coniugale è come un fuoco che incendia dentro e fuori casa,  assai diverso dall’amore inteso romanticamente come “due cuori e una capanna”!

      Ma all’epoca in cui  esplode la fragilità della famiglia in tante forme, non è romantica anche l’affermazione di Francesco: “La famiglia è il cuore della nuova evangelizzazione”?

     Purtroppo  uno spirito iper-individualista sta penetrando nel mondo come un virus, facendo  crollare il “noi” originario, che è nei cromosomi dell’uomo. Quando Dio creò Adamo disse: “Non è bene che l’uomo sia solo”. Con ciò intendeva sottolineare che la solitudine non è la vocazione della persona. Questo aspetto della natura umana ha ripercussioni anche nella vita della Chiesa, perché la trasmissione della fede non può essere scollegata dalla trasmissione della vita. La famiglia è soggetto di generatività e di comunicazione del Vangelo a patto che non resti isolata. Riannodare il rapporto famiglia-Chiesa è perciò la frontiera più delicata della pastorale contemporanea.

       Se il primo compito di una famiglia cristiana è educare i figli alla fede, quand’è che i genitori si possono dire bravi evangelizzatori?

       Ovviamente è fondamentale che i genitori  siano bravi cristiani e mettano in pratica il comando evangelico di comunicare la misericordia di Dio. La famiglia, in questo senso, ha una dimensione  particolare in quanto in essa la comunicazione della fede prende  i tratti della lingua materna. Il bambino apprende a parlare ascoltando,  impara a riconoscere vedendo, così per l’ascolto della Parola di Dio, che trova nella famiglia la prima culla.  Gli psicologi affermano che i primi tre anni sono fondamentali per l’apprendimento, ecco perché dal giorno del battesimo in poi il bambino deve essere accompagnato a far parte della comunità cristiana. La trasmissione della fede è uno dei compiti fondamentali, che purtroppo sta vivendo un periodo di crisi particolarmente delicato. Come una lingua straniera  la si apprende più facilmente da piccoli, così è per la fede.

         “Che aspetto avrebbe la Chiesa senza di voi? Una Chiesa di statue, di persone sole!” ha detto Francesco  all’Incontro mondiale delle Famiglie, a Dublino. Ma all’interesse che la Chiesa ha sempre mostrato verso la famiglia sta corrispondendo oggi una risposta altrettanto interessata della famiglia verso la Chiesa?

         Senza la famiglia la Chiesa non esisterebbe, così come la società. Alla Chiesa interessa la famiglia, ma non semplicemente come oggetto di attenzione. Papa Francesco nell’Esortazione “Amoris Laetitia” dice che la Chiesa deve parlare della famiglia come parla di se stessa, perché l’amore coniugale non è solo la storia di due persone che si vogliono bene,  ma deve servire a trasformare la Chiesa e il mondo in una prospettiva famigliare. E’ sbagliato definire la famiglia “piccola Chiesa” se manca il legame con la  comunità cristiana. Famiglia e Chiesa sono come due fuochi di una stessa ellisse.

       Il legame  tra la famiglia e la comunità  cristiana  si attua soprattutto con la partecipazione alla vita della parrocchia, che purtroppo non è tra i più idilliaci. Come renderli tali?

      Avendo fatto il  parroco so bene che  tra la famiglia e la comunità parrocchiale c’è come un fossato, perché per un verso la famiglia si rinserra nelle proprie preoccupazioni, dall’altro la comunità cristiana è poco famigliare, molto strutturale. C’è, dunque, il bisogno di riallacciare i rapporti, ma non solo aggiornando la pastorale famigliare. Molto più importante è rendere famigliare tutta la pastorale per andare a  riscoprire il disegno originario di Dio.

     Qual è questo disegno?

     Quando i farisei chiesero a Gesù se era lecito il divorzio, Gesù rispose: “Mosè lo permise per la vostra durezza, ma all’inizio non era così”. Occorre perciò riscoprire il Vangelo della Creazione. Nel momento in cui Dio guardò Adamo, che pure lo aveva creato perfetto, e si accorse che era triste, disse : “Non è bene che l’uomo sia solo” e creò anche la donna. All’inizio esistono quindi l’uomo e la donna: non c’è separazione tra i due. Alla loro alleanza Dio affidò due grandi compiti: la custodia del Creato e la responsabilità di generare. Ecco perché è importante che le famiglie e  la comunità cristiana riscoprano la dimensione della familiarità come grammatica fondamentale per la vita sociale. Già Cicerone riteneva che la famiglia fosse il luogo dove si apprende ad essere in pace e cittadini della società tutt’intera: “Familia est  principium urbis et quasi seminarium rei publicae”.

        Tornando al discorso pastorale, e considerando  la crisi delle vocazioni sacerdotali, pensa che le famiglie, in casi specifici, possono addossarsi l’organizzazione di una parrocchia quando manca il sacerdote?

       Penso  che il nuovo rapporto tra famiglia e parrocchia può essere generativo in maniera straordinaria sul versante pastorale. E’ da notare che la crisi delle vocazioni sacerdotali è legata alla crisi delle famiglie, non è un fatto a sé stante. Se guardiamo agli ultimi decenni ci accorgiamo che le vocazioni venivano  da famiglie numerose e praticanti, oggi questo è venuto meno. La  generatività della comunità cristiana è, dunque, legata al nuovo raccordo tra famiglia e parrocchia, cioè alla famiglia che diventa motore di responsabilità umana e alla parrocchia che diventa famiglia delle famiglie, dove nella liturgia eucaristica della domenica si esprime il meglio della famigliarità ecclesiale. Su queste basi  si apre il ventaglio delle nuove ministerialità, come già esiste il servizio dei diaconi permanenti, che non riguarda solo i sacramenti, ma anche l’esercizio dell’accompagnamento, del consiglio, della misericordia, della comprensione degli animi. In questo contesto penso che alcune famiglie, appositamente formate, possono ricevere dal vescovo diocesano il mandato di prendersi cura di una parrocchia, restando ovviamente necessaria la presenza del sacerdote per quanto attiene l’Eucaristia e la confessione.

       Ci sono poi nuclei familiari che lasciano il proprio Paese per andare ad evangelizzare terre  lontane, soprattutto per iniziativa delle Comunità neocatecumenali. Che dire di questo fenomeno atipico?

     Ho avuto esperienza diretta di questo fenomeno. A mio avviso si tratta di un’esperienza straordinaria. E’ ovvio che non mancano  problemi e difficoltà, ma una missione così radicale serve a interrogare un mondo ripiegato su sé stesso, i cui confini diventano muri invalicabili, difesi  con crudeltà contro chi bussa. Credo che famiglie come queste mostrano il tesoro straordinario della Chiesa, che è cattolica in quanto universale. Papa Francesco testimonia, a suo modo, questo carisma, che considera famiglia di Dio tutti gli abitanti della terra. Una famiglia cristiana che parte in missione per la  Cina non va all’estero ma a casa di tutti i cristiani, dove non siamo ancora arrivati. L’importante è che essa porti in quel Paese lontano lo stesso spirito d’amore che rende tutti fratelli e solidali. In questo senso questa forma di missione è oggi  particolarmente importante.

        Che  funzione ha in tutto questo L’Osservatorio internazionale per la Famiglia da lei diretto?

       Nel secondo capitolo dell’Esortazione apostolica “Amoris laetitia”  Papa Francesco  offre uno sguardo sulla situazione delle famiglie nel mondo. Ricordo che, quando  ci radunò per la celebrazione dei due Sinodi sulla famiglia, ci disse di considerare le famiglie per quello che esse sono. L’Osservatorio internazionale per la famiglia intende dunque osservare, anno dopo anno, la realtà delle famiglie, quelle in buona salute e quelle ferite. L’Osservatorio si interessa anche di analizzare la cultura che cambia all’interno del mondo famigliare. In pratica nei primi tre anni abbiamo posto l’attenzione sul rapporto povertà e famiglia, sia la povertà relazionale come quella degli anziani soli e abbandonati e sia la povertà materiale in continua crescita nel mondo.

(tratta dal libro  “Missione. Che passione!” pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, di prossima pubblicazione)