Venerdì Santo 2003

Via Crucis 18 aprile 2003

Introduzione


Chi sta seguendo quel che accade in questi giorni, difficilmente resta a casa. Sì, mi riferisco a quel che accade a Gesù, a quel che accade in Iraq, a quel che accade in Terra Santa, a quel che accade nelle tante terre di questo mondo divenute come degli enormi cimiteri della vita e della speranza a causa della guera, dell’ingiustizia e della violenza.
Ovviamente qui a Terni è facile pensare ad altro; è normale interessarsi solo delle cose che ci sono più vicine. Per molti il pensiero dominante sono le vacanze! Ma noi, questa sera, abbiamo scelto di stare qui, al centro della nostra città:  come a dire che vogliamo mettere al centro del nostro cuore e dei nostri occhi, almeno questa sera, il dramma di Gesù e il dramma dei tanti crocifissi della terra.
Abbiamo davanti a noi la croce di Gesù: è il segno di quanto è grande il suo amore per noi e per tutti. La statua della Madonna Addolorata ci indica come stare sotto la croce, come  stare accanto a Gesù, come stare davanti a tutti i crocifissi della terra. Maria si è lasciata trafiggere il cuore.
Beati noi, questa sera, se stando accanto a Gesù ci lasceremo trafiggere il cuore anche noi come Maria. Ascoltiamo le parole del Vangelo e guardiamo le scene della Passione come Maria le ascoltava e le vedeva. Non lasciamoci distrarre dalla confusione che c’è fuori e dentro di noi. Questa sera fissiamo i nostri occhi su Gesù e comprenderemo cosa significa essere amati sino alla fine, sino all’effuzione del sangue.


Ingresso a Gerusalemme e cena del Signore


Abbiamo visto Gesù entrare in Gerusalemme. Ma non è entrato con carri armati o con carri potenti, e il suo volto non è quello di un forte e di un duro: è, invece, il volto di un uomo mite ed umile, il volto di un uomo buono che è venuto per servire gli altri non per farsi servire.
E mostra subito cosa vuol dire essere mite ed umile. Durante la cena di Pasqua Gesù si alza, prende un catino d’acqua e si mette a lavare i piedi dei discepoli. Il mondo educa a stare in piedi ed esorta tutti a restarci. E se manca lo spazio, giustifica le spinte per cacciare fuori chi è di ostacola o di impedimento. Il Vangelo esorta a chinarsi e lavarsi i piedi gli uni gli altri. E’ un comando nuovo. Non lo troviamo tra gli uomini. Non nasce dalle nostre tradizioni, tutte ben solidamente contrarie. Tale comando viene da Dio e da Lui per primo applicato. Beati noi se lo comprendiamo! La vita vera non è restare fermi nel proprio orgogli, è invece piegarsi verso i fratelli e le sorelle. Tutti abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto.
Gesù, non solo si china sino ai nostri piedi, si fa anche cibo. L’Eucarestia manifesta fin dover giunge l’amore del Signore per noi. Quel pane e quel vino sono Lui stesso che si fa cibo per noi. Credo fosse difficile inventare una cosa più grande di questa per restare accanto i discepoli di ogni tempo! L’Eucarestia è un miracolo dell’amore. Davvero Gesù ha fatto l’impossibile per starci vicino: questo amore non solo si avvicina a noi, entra dentro di noi, diventa carne della nostra carne. E ci insegna a vivere come Gesù, Egli che si è spezzato per noi e che si è lasciato trafiggere il cuore sulla croce per versa il suo sangue, sino all’ultima goccia, per noi. Quanto siamo lontani dalla cura che abbiamo di noi e dalla preoccupazione per il nostro corpo! L’eucarestia è una energia nuova che allarga il cuore e lo rende saldo nell’amore e senza confini nella generosità.
Care sorelle cari fratelli, questa sera apprendiamo da Gesù la grande lezione dell’amore. Non crediamo di saper vivere e di conoscere già la vita, piuttosto facciamoci piccoli davanti a Gesù, nostro Maestro, e come bambini impariamo a ripetere i suoi gesti di umiltà, di servizio, di accoglienza, di bontà, di misericordia, di perdono, per avere il suo cuore.


Dal Getsemani a Pilato


Quella sera era particolarmente triste. E lo disse: “L’anima mia è triste sino alla morte”. E chiese ai tre più amici di stare con lui. Ma essi si addormentarono, dimostrando che tanto amici non erano. E Gesù restò solo. Capita ancora oggi a milioni e milioni di uomini e di donne che soffrono senza che nessuno se ne accorga o si avvicini. Purtroppo, siamo in molti a dormire. E poi c’è anche chi, come Giuda, si avvicina per umiliare, violentare, ferire, ingiuriare. In questo panorama di tristezza solo Gesù emerge come colui che ama. Gesù è l’uomo dell’amore e della non violenza, l’uomo dell’amicizia e della speranza. Lo portano davanti al Sinedrio e ai Sacerdoti i quali avevano già deciso di ucciderlo: troppa gente lo seguiva, insidiando così il loro potere. Architettarono tutto per farlo tacere. La domanda cruciale, l’abbiamo ascoltata anche noi. Il sommo sacerdote gli chiese se era il Figlio di Dio, il Messia. Era l’unica domanda a cui Gesù non poteva non rispondere. Era venuto per questo; sì, con lui si avvicinava il regno di Dio, ossia un mondo di pace, di amore, di fraternità! La gente lo seguiva per questo, come poteva tacere? Se avesse taciuto si sarebbe salvato. Ma avrebbe tradito la speranza di tanti. E parlò. Fu ingenuo? Forse sì. Ma l’amore lo divorava dentro, e rispose affermativamente alla domanda del sommo sacerdote. “E’ reo di morte!” gridarono tutti immediatamente. E si misero a sputargli in faccia e a bastonarlo. Aveva sfamato, guarito e aiutato tanta gente, ed ora riceve sputi e colpi!
Così ridotto, lo portano da Pilato. Egli comprese subito che era tutta un’impostura. Ma ebbe paura e se ne lavò le mani. Cari amici, non basta lavarsi le mani per essere innocenti. Anche il silenzio diviene complicità con il male e con l’ingiustizia. Persino Barabba gli fu preferito. Tutta la folla era compatta. C’è una forza del male che tutti possiamo contribuire a rafforzare, magari lavandoci anche noi le mani. Non basta più essere solo onesti. E’ necessario e urgente sporcarsi, almeno un poco, le mani con Gesù e con i poveri come lui. E’ questo il senso del nostro camminare per le vie di Terni, questa sera.


La condanna


Lo portarono nel cortile del palazzo del governatore. E i soldati si divertivano: lo spogliarono, gli misero addosso un manto rosso di burla, gli pigiarono sulla testa una corona di spine e nella mano destra gli diedero uno scettro di canna e con scherno gli urlavano davanti: “Salve, re dei giudei!” E alle percosse aggiungevano sputi. Quanti sputi in faccia a Gesù, quel giorno! Comprendiamo meglio la tenerezza di quella donna che qualche sera prima gli aveva versato sul capo un vaso di olio profumato e preziosissimo! Ora, vestito da re da burla, riceveva solo insulti e sputi. Eppure Gesù era davvero re. Lo aveva confermato anche a Pilato che glielo aveva chiesto. Certo, noi possiamo anche chiederci: come poteva essere re uno che resta solo, che rifiuta di chiedere aiuto persino al Padre, che non solo non combatte i nemici ma addirittura li ama e chiede di amarli? Certo, non è re come lo sono quelli di questo mondo. Gesù, infatti, non è venuto a comandare e tanto meno a difendere se stesso e il suo piccolo o grande potere. Egli è venuto per servire, per amare, per dare speranza a chi non l’ha, per dare pace a chi è violentato e oppresso, per dare amore a chi è solo e abbandonato. E noi sappiamo bene che questo tipo di regno non è del mondo che noi oggi viviamo! Ma Gesù è venuto per realizzarlo fin da ora, anche a costo della morte. Cari amici stiamogli vicino, almeno questa sera, e non lasciamolo solo. Guardiamo Maria, la Mamma. Avviciniamoci a lei che quel figlio, amato, ridotto davvero come un “Ecce Homo!”


La morte di Gesù


Questo venerdì sta per terminare. E’ ancora buio su tutta la terra, come a prolungare il buio di quel lontano venerdì santo. Oggi, in tutti i modi, la Chiesa cerca di toccarci il cuore, di spingerci alle lacrime davanti a questa morte. Le nostre chiese sono senza fiori e senza immagini, i riti sono stati silenziosi e austeri, non abbiamo celebrato neppure la Santa Messa, e al vescovo è chiesto persino di togliersi l’anello, segno dello sposalizio con la diocesi, per fargli sentire quasi fisicamente la morte dello sposo. E’ come dirci: non vi dimenticate di questa morte. Non vi dimenticate di questa croce che sta davanti ai vostri occhi. In genere, infatti, Gesù muore nel disinteresse generale e nello smarrimento dei suoi. Forse c’è solo uno che piange: Dio Padre. Abbiamo ascoltato il Suo pianto: “Popolo mio, che cosa ti ho fatto, perché tu mi mettessi in croce”? Così piange Dio, davanti a noi, come nessuna donna ha pianto sopra il suo sposo o sopra i suoi figli. “Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che ti ho contristato? Dammi una risposta!” E, sgomento, il Signore continua a non darsi pace: “Io davanti a te ho squarciato il mare, e tu con la lancia mi hai squarciato il petto. Io ti ho fatto strada con la nube, e tu mi hai trascinato al pretorio di Pilato. Io ti ho dissetato con acqua dalla rupe nel deserto, e tu mi hai dissetato con fiele e aceto. Io ti ho dato lo scettro regale, e tu mi hai dato sul capo una corona di spine”. Non si dà pace il Signore: “che altro avrei dovuto fare e non l’ho fatto?”
Questo pianto, tante volte è inascoltato. Noi, presi come siamo da noi stessi, non lo sentiamo più. Ecco perché la nostra vita è spesso così arida e triste, e le nostre città sono così crudeli, soprattutto con i più deboli. Ognuno sembra come rinchiuso nel versare le lacrime solo su sé stesso, sui propri guai, sul proprio destino. Lacrime sterili, perché non scendono in un terreno che dà frutti buoni, ma in quello dell’amore per sé che genera solo amarezza e violenza. Quel giorno, come oggi, Gesù, non guarda se stesso, non piange su se stesso e sui propri guai. Egli, dall’alto della croce, guarda quel giovane discepolo e l’anziana madre. Avrebbe avuto tutto il diritto di chiedere aiuto e di pretendere consolazione per sé. Al contrario, Egli non si preoccupò di se stesso ma della madre e del giovane discepolo. Che ne sarebbe stato di loro? E Gesù disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio”, e al giovane discepolo: “Ecco tua madre”. E da quel giorno Giovanni la prese con sé. Così inizia la risurrezione: quando prendi con te chi ha bisogno di amore.


Deposizione


C’erano alcune donne, sotto la croce, e un uomo di nome Giuseppe. Sì, c’è un altro Giuseppe alla fine della vita di Gesù. Non può salvarlo da Erode, ma fa quel che può. Lo cala dalla croce e lo depone nella tomba nuova che forse si era preparata per sé. Sembra tutto finito. Quell’uomo che una settimana prima era stato accolto con gli “Osanna!” mentre entrava in Gerusalemme, ora è sigillato dentro una tomba: non può più parlare, non può più guarire, non può più amare. E’ il sabato santo. Il giorno vuoto, il giorno della grande sconfitta. Anche nelle chiese non si fa nulla. E’ tutto spoglio e, ovviamente, non si celebra nessuna Messa. Ma è così solo agli occhi degli uomini. Nel credo diciamo che Gesù discese agli inferi. Gesù, neppure da morto pensa a sé. Già da vivo non ave una pietra dove posare il capo. Da morto non ha neppure la pietra del sepolcro per fermarsi. Egli in questo sabato scende negli inferni di questo mondo, scende là dove gli uomini e le donne continuano a morire; sì scende nel dramma del popolo irakeno, scende nelle tombe che continuano ad ingoiare senza sosta israeliani e palestinesi, scende nelle terre del Congo e dell’Afganistan per raccogliere i morti della guerra, scende negli inferni del mondo povero divenuto come una grande bocca che divora miglia e miglia di morti ogni giorno senza che nessuno se ne curi. Sì, in questo sabato che sta per iniziare Gesù non sta nella tomba ma nei tanti inferni di questo mondo per raccogliere tutti. Non vuole perderne nessuno.
Care sorelle e cari fratelli, come Giuseppe e come quelle donne, restiamo accanto a Gesù, anche solo per dirgli che ci dispiace di averlo spesso lasciato solo, e che gli vogliamo davvero bene.