«La felicità? Sporcarsi le mani nelle ferite dei deboli e dei vinti»

Intervista del "Corriere della Sera"

La Pasqua raccontata da Vincenzo Paglia, vescovo di Terni

«C’è una crescente legittimazione della guerra e della violenza»

di Armando Torno 

Non è facile dire cosa sia oggi la Pasqua, quali e quanti significati abbia perso o acquisito questa festa. Abbiamo rivolto alcune domande a Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, sacerdote che ha legato il suo nome sin dall’inizio alla Comunità di Sant’Egidio. Un fine diplomatico o, come preferisce essere chiamato, un «uomo di pace». Le sue missioni in Mozambico, Albania, Kosovo hanno ottenuto dei risultati sorprendenti, insperati.

Monsignor Paglia, che cosa significa oggi la Pasqua?

«Quest’anno la Pasqua cade in un momento difficile. E forse proprio per questo è ancor più necessaria. Gli avvenimenti a cui abbiamo assistito nell’ultimo mese, che non sono neppure terminati, e le tante altre guerre forse dimenticate (ma solo per chi non le vede), senza considerare il dramma delle ingiustizie che percorrono l’intero pianeta, tutto ciò è come un grande grido di attesa della resurrezione».

E per chi non crede nella resurrezione del Cristo?

«Nei Vangeli la Pasqua inizia con tre donne. Ma non era un evento per pochi. Ci fu un terremoto, dicono i vangeli, questa volta non di distruzione ma, appunto, di resurrezione. La Pasqua non era riservata ai discepoli o alle donne già ricordate, ma al mondo. Anche oggi è necessario fare rotolare via la pietra che copre uomini e, a volte Paesi interi come in un cimitero. C’è bisogno di tutti perché i popoli possano risorgere, perché i “poveri cristi” della Terra riescano a vedere anche loro un po’ di resurrezione».

La Pasqua quindi non finisce in un giorno…

«In effetti questo evento è una forza, un’energia d’amore immessa nel creato, che viene posta come lievito nella vita degli uomini. Reca un’energia incredibile. Fa molto pensare il fatto che la Pasqua sia iniziata con tre povere donne…».

È però ormai occasione di fuga, di vacanza…

«C’è una sciocca abilità che è quella di ridurre la Pasqua – come è già stato fatto con il Natale – nella facile e gretta area del consumismo. In questo modo si toglie ad essa la sua forza di cambiamento».

Si potrebbe insomma sostenere che c’è un progetto della società per togliere forza alla fede, allo spirito, ai loro riferimenti?

«Sì. È la stessa logica con cui fu eliminata la voce di Gesù nel mondo di allora. L’egocentrismo della società non accetta un uomo che ama gli altri più di se stesso, che chiede non solo di amare i nemici ma anche di perdonarli. Ogni epoca trova i suoi modi per cercare di zittire il Vangelo».

Se guardiamo le altre religioni, i musulmani, i buddisti…

«Cosa significa la Pasqua per loro? Non c’è dubbio che la resurrezione di Gesù nella sua carne è l’aspetto più forte e scandaloso del cristianesimo, quello che ha una forza comunicativa più dirompente, a volte superiore alle aspettative. Che l’uomo possa risorgere, ha ricordato il Papa alla Via Crucis, è un’affermazione così alta che solo Dio può avercela rivelata. Non dimentichiamoci che Socrate e il suo allievo Platone ammettevano l’immortalità dell’anima, non certo la resurrezione della carne. Questo significa anche resurrezione della storia, della vita, di quello che siamo».

Al di là delle guerre, cosa significa la resurrezione per coloro che non hanno una casa, un lavoro, una dignità? Nel nostro Paese questi casi non diminuiscono…

«Per coloro che soffrono, la resurrezione è annuncio di grande speranza. Questa speranza è legata anche a chi porterà l’annuncio della resurrezione a tutti costoro. La resurrezione sconvolge, mette fretta al cuore dei credenti perché l’energia di amore che scaturisce da essa possa raggiungere tutti coloro che aspettano una nuova vita. Con la resurrezione nasce una sorta di nuova alleanza tra i credenti e i diseredati, come tra i discepoli e il crocefisso. Per questo Gesù risorge con le ferite e chiede a Tommaso di toccarle. Noi che scioccamente ci gloriamo di essere come Tommaso, siamo invitati da Gesù a toccare tutte le ferite di questo mondo, a sporcarci le mani con queste ferite».

Ma allora non esiste una felicità «pulita»?

«La cercava Pilato. E non la trovò. La felicità è solo quella che sa sporcarsi con le ferite dei deboli, dei malati, con la debolezza dei poveri, con il dramma dei vinti».

Ma non le pare che violenza e forza abbiano sempre più il campo libero, proprio perché cercano di soffocare questa visione delle cose e rappresentano scorciatoie comode per una certa economia e una certa politica?

«Le confesso che con preoccupazione vedo una crescente legittimazione della guerra, della violenza, della forza come gli strumenti più efficaci e più utili per risolvere le situazioni conflittuali e complesse, mentre arretrano il negoziato, la legalità, il dialogo, l’incontro. Tutto ciò che è difficilmente sostenibile nell’ambito civile è assolutamente in contrasto con il Vangelo. Perché il Vangelo – si badi bene – non è abdicazione e la resurrezione lo mostra scaraventando via la lastra pesante della morte. Il pastore Bonhoeffer, che si oppose decisamente al nazismo e per questo fu condannato a morte, amava dire che il Vangelo rende non solo buoni ma anche forti; ribadiva inoltre di scandalizzarsi con coloro che pensavano al cristiano come un uomo arrendevole al male. In effetti il cristiano non deve lasciarsi beffare dal male».

Quindi l’amore è una forza?

«Nella mia piccola esperienza, come nell’esperienza della Comunità di sant’Egidio, ho assistito ai miracoli dell’amore, a paci fatte dopo 17 anni di guerra con un milione di morti (in Mozambico, n.d.r .), a miracoli nel campo della cura dell’Aids o a quelli fatti nel ridare dignità ad anziani e malati. L’amore è l’unica via per una pace duratura. Non è un caso che la prima parola pronunciata da Gesù risorto ai suoi discepoli sbarrati in casa per paura è stata “pace”. E questa è la necessità e la fatica di questa Pasqua».

* dal “Corriere della Sera” del 20 aprile 2003