V Domenica di Pasqua

V Domenica di Pasqua

“Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso !” (Atti 2,14). Care sorelle e cari fratelli, queste parole risuonano decise anche oggi, alle nostre orecchie…”sappiate con certezza…che voi avete crocifisso quel Gesù che Dio ha risuscitato”. Pietro non scarica le accuse su qualcuno o su qualche gruppo in particolare; non accusa solo i giudei (talora queste parole sono state usate in modo distorto a sostegno dell’avversione verso gli ebrei, e c’è da essere davvero preoccupati per un risorgente spirito di antisemitismo che nulla ha a che vedere con il problema di Israele). L’apostolo accusa tutti, cominciando da sé, eppoi gli altri, anche i romani e coloro che erano presenti a Gerusalemme, nessuno dei quali si oppose all’ingiustizia che si stava perpetrando contro quel giusto. Tutti furono corresponsabili, chi per paura, chi per indifferenza, chi per tradimento, chi per distrazione. E tutti, in fondo per lo stesso motivo: “salvare sé stessi e la propria tranquillità”.


L’unico che non ha salvato sé stesso è stato Gesù, per questo Dio lo ha strappato dalla morte. La risurrezione è tutta di Dio. Nostra è invece la responsabilità per la morte di quel giusto; come nostra è anche la responsabilità per la morte di tante persone oggi nel mondo. Certo, è facile tirarsi fuori dalle numerose tragedie che continuano a mietere vittime. Eppure queste cose dovrebbero “trafiggerci il cuore”, come accadde a coloro che ascoltarono Pietro parlare di Gesù crocifisso e risorto. Si potrebbe dire anche che non manca l’animosità di fronte a quanto sta accadendo in Terra Santa. Ed è vero. Ma talora la polemica obbedisce troppo alle proprie ragioni senza che ci si sforzi di comprendere quelle degli altri. Sì, che quel conta non è la catena dei morti, bensì l’affermazione delle nostre idee che porta a gettare benzina sul fuoco dell’odio tra i popoli.


C’è bisogno che ciascuno chieda per sé come quegli ascoltatori di Pietro: “Cosa dobbiamo fare?” Non fu una domanda formale. Era piena della disponibilità a cambiare il proprio cuore. Non dissero: “Cosa debbono fare gli altri”, bensì cosa ciascuno di loro doveva fare; cosa ciascuno di noi deve fare per cambiare la propria vita e il proprio cuore. Tutti abbiamo bisogno di una rigenerazione morale, di un rinnovamento interiore, di una passione nuova per rendere questo mondo più giusto e più felice. Chiedere che siano gli altri a cambiare e non noi è mistificatorio. La prima Lettera di Pietro dice: “Eravate come pecore disperse, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle anime vostre” (2, 25). Sì, dobbiamo tornare al pastore delle anime nostre. Lasciare la tristezza della generazione presente e accostarci al Signore: “Salvatevi da questa generazione perversa”, disse Pietro quel giorno di Pentecoste e oggi ripete a noi. La salvezza non consiste in nuove pratiche, ma nello scoprire Gesù come il pastore della propria vita. Questa fu la vivissima consapevolezza che ebbe la comunità dei discepoli dopo la Risurrezione: era Gesù a guidare ancora la loro vita.


E il Vangelo di Giovanni lo dice molto chiaramente. Gesù parla di un recinto per le pecore, recinto violato da chi si insinua furtivamente come un ladro per alimentare la paura, per fiaccare il cuore, per svilire il Vangelo, per mortificare l’amore. Il ladro può essere una persona, un’abitudine, un discorso o qualsiasi altra cosa che allontana il cuore dal Vangelo. C’è invece chi entra nel recinto per la porta: è il pastore delle pecore, il “guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce”. Nelle prime apparizioni Gesù ha trovato le porte del cuore dei discepoli chiuse per la paura e l’incredulità. Ora la porta si apre, il pastore entra e chiama le sue pecore una per una: è la parola del risorto che chiama per nome Maria mentre sta piangendo davanti al sepolcro; è la parola di Gesù che chiama Tommaso perché non sia più incredulo ma credente; è la parola di Gesù che per tre volte chiede a Pietro: “Simone, mi vuoi bene?” E’ una voce diretta che giunge al cuore e pretende una risposta altrettanto diretta.


Ma non è una voce estranea. E’ la voce dell’amico. Essa invita ad uscire dal recinto, anche religioso, e porta lontano. Gesù non conduce le pecore in un altro recinto, magari più bello e confortevole; toglie invece ogni recinzione, ogni barriera per porre davanti ai nostri occhi l’orizzonte illimitato dell’amore. Dice Paolo: “voi siete liberi da tutto per essere schiavi di una cosa sola, dell’amore”. Verso tale amore Gesù ci conduce. Lui cammina innanzi a noi, cammina anche innanzi a voi, cari fidanzati, che vi state preparando alla celebrazione del matrimonio, cammina davanti a tutti per guidarci verso una vita bella e piena. Ai suoi discepoli disse: “Sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza”. Seguiamolo e saremo salvi, “troveremo pascolo e non soffriremo mai la fame…non soffriremo mai la sete” (cfr Gv 6,35).