II anniversario dell’ingresso in Diocesi

II anniversario dell'ingresso in Diocesi

Care sorelle e cari fratelli, autorità,


vorrei fare mie le parole che l’apostolo Pietro rivolse alla prima comunità cristiana e rivolgerle a voi che oggi siete qui e a tutta la Chiesa di Terni, Narni, Amelia che questa cattedrale, in certo modo, simbolizza e riassume. Ebbene, con l’apostolo Pietro dico ai fedeli della Diocesi: “Onore dunque a voi che credete”; onore a voi che “siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce ammirabile”. Sì, care sorelle e cari fratelli, la Chiesa è, in certo modo, il tesoro che il vescovo riceve nella sue mani il giorno della consacrazione o meglio, come l’antica tradizione dice, è la sua sposa. L’anello che gli viene posto al dito in quel giorno sta ad indicare il rapporto sponsale tra la chiesa e il vescovo.


Sono passati due anni dal mio ingresso in Diocesi e posso dire davanti a Dio non solo di amare questa Chiesa di Terni, Narni, Amelia, ma di essere cresciuto nell’amore per essa. Sì, questa nostra Chiesa è divenuta la mia passione. Pur con tutti i miei limiti, non cesso di amarla, di guidarla, di esortarla, di farla crescere, di farla anche conoscere, anzi di farla risplendere davanti a Dio e davanti agli uomini. Ed è attraverso questo amore che per me passa quello di Dio. Vorrei dire, anzi, che attraverso l’amore per questa Chiesa passa anche il vostro amore per il Signore. No, non possiamo amare Dio in astratto, senza incontrare nel nostro cammino questa Chiesa diocesana. E’ qui, infatti, che incontriamo il Signore, è qui che troviamo il Vangelo, è qui che riceviamo il perdono, è qui che apprendiamo l’arte di amarci e di incontrarci. Questa Chiesa diocesana è la casa del Padre di cui parla Gesù nel Vangelo. Ed è una casa grande, ampia, fatta di molte dimore. C’è spazio per tutti, vorrei dire, No, non c’è crisi di alloggio, in diocesi. Semmai c’è crisi di conoscenza, crisi di frequenza, crisi di rispetto, e forse poco comprendiamo il dono grande che è questa Chiesa per ciascuno di noi. La Chiesa, la comunità cristiana che tanto spesso poco comprendiamo e poco amiamo, un po’ come talora dimentichiamo e trascuriamo questa cattedrale, è in verità un grande dono gratuito di Dio. Gesù ce lo dice: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti…Io vado a prepararvi un posto…ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io”. E’ il Signore che ci raccoglie e che ci dona un posto perché vuole stare con noi, o meglio vuole che noi stiamo nel luogo ove lui abita per gustare la sua stessa pace e la sua stessa felicità.


Non sto oggi a farvi lunghi discorsi sull’importanza e sulla decisività per la nostra vita della comunità cristiana. Desidero però mostrarvene il volto concreto, che è la cattedrale. La cattedrale, infatti, è il segno visibile di questa chiesa locale, di questa comunità di fede e di amore in cui si fa presente l’intera Chiesa del Signore. Questa convinzione mi ha spinto fin dall’inizio del mio ministero pastorale a prestare grande attenzione alla cattedrale perché divenisse luogo sempre più accogliente e sempre più luminoso, sempre più significativo e sempre più bello. Non è questione di ambizioni esteriori. E’ piuttosto l’amore per voi, che siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, che mi costringe a rendere sempre più evidente la centralità di questo luogo. Quanto vorrei che fosse vera per tutti quella frase del profeta che fu applicata a Gesù: “Lo zelo per la tua casa mi divora”. Questa Chiesa diocesana che Gesù, non noi, si è acquistata a caro prezzo, ha diritto ad un luogo santo e bello. La cattedrale è la sua prima casa, il suo primo luogo. Qui, particolarmente nella Santa Liturgia, come ho scritto nella Lettera Pastorale, celebriamo l’amore del Padre per tutti noi suoi figli e noi tutti veniamo costruiti in un edificio santo e spirituale. E’ nella cattedrale che si crea anzitutto la comunità cristiana. Attorno all’altare tutti partecipiamo al medesimo pane per formare, benché molti, un unico corpo. E a questo altare si collegano idealmente tutti gli altri altari. E’ qui che c’è la cattedra, dalla quale, l’unico maestro, il Cristo continua a parlare attraverso la voce del vescovo e dei presbiteri. E a questa cattedra si ricollegano idealmente tutte le altre “sedi” che sono nelle diverse chiese della diocesi. Come di qui sono partiti, nella messa crismale, tutti gli oli santi che accompagnano la vita quotidiana dei credenti. Questa cattedrale, inoltre, sta anche a significare la continuità e la storicità della comunità dei credenti, operante da secoli in questa terra. E nelle sue stesse mura vediamo i segni della fede di questa comunità nel corso della sua lunga storia.


Qui, sorelle e fratelli, ieri, oggi e domani, tutti veniamo aiutati a conoscere e ad amare Gesù e attraverso di lui, il Padre. Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice che questa è la vita eterna, ossia “che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. Qui si gioca la nostra felicità e la nostra salvezza. Anzi la felicità stessa della città. E’ qui, infatti, che con la maggiore evidenza, si può vedere il volto di Gesù e quindi del Padre. Giovanni, nella sua prima Lettera, dice : “Dio nessuno l’ha mai visto”, è Gesù che ce lo ha rivelato. Ebbene, qui, in questa cattedrale noi lo vediamo. Ecco perché tutto deve parlare di Gesù, tutto deve mostrare il suo volto. I cristiani, infatti, non hanno altra immagine di Dio che quella di Gesù. Il suo volto è il nostro Paradiso. E di questo volto ha bisogno Terni e l’intera nostra terra.


Abbiamo inaugurato la piazza. Permettetemi di immaginarla come la vita di tutti i giorni, la vita della città intesa in tutti i suoi aspetti. Abbiamo voluto renderla bella, come a partire dalla cattedrale. Sì, se il volto del Signore si riflette sulla vita di tutti i giorni, anche questa sarà più bella. Ma una cosa vorrei sottolineare. Vedete non ci sono gradini tra la cattedrale e la piazza, come per dire che non c’è separazione, non c’è distanza. La Chiesa diocesana vuole entrare immediatamente nella vita di tutti i giorni, nella vita della città. No, noi vogliamo costruire una Chiesa ripiegata su se stessa, una Chiesa che pensa al suo benessere. La Chiesa che vogliamo è una comunità che serva la città, che aiuti gli uomini e le donne ad essere felici a partire dai più deboli. Vorrei che questa cattedrale divenisse per la nostra città, ciò che l’anima è per il corpo.