Te Deum 2006

Te Deum 2006


Care sorelle e cari fratelli,


questa domenica nella quale la Chiesa ci fa festeggiare la Santa Famiglia cade al termine di questo anno civile. Ed è una tradizione significativa che ci troviamo qui in cattedrale, anche con alcune rappresentanze della città, per ringraziare il Signore. Davvero dobbiamo dire grazie a Dio per i giorni che ci ha dato. Ma soprattutto dobbiamo ringraziare il Padre dei cieli perché ci ha inviato il suo stesso Figlio. Ringraziarlo, sì, per il Natale, per questo giorno che ha cambiato la storia del mondo e quella di ciascuno di noi. Cosa sarebbe stata la vita del mondo senza Gesù? Ed è per questo che vorrei avere questa sera la voce di Maria, o meglio il suo cuore, per cantare il Magnificat al Padre. Sì, l’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato la mia, la nostra povertà, e ci ha donato il suo Figlio, ci ha fatto partecipi della Chiesa. Maria questo inno lo cantò quando ancora era incinta. Ma lo continuò senza dubbio nella notte del Natale. E lo cantò, assieme a Giuseppe, anche quel giorno a Gerusalemme dopo che ritrovò Gesù dodicenne che si era fermato nel tempio. Ci fu quel rimprovero, appena lo ritrovarono: “Figlio perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”. Non dobbiamo meravigliarci perciò se accadono tra noi incomprensioni e litigi. E’ anzi facile che avvengano. Ma è indispensabile spiegarsi, come ha fatto Gesù con i genitori, comprendersi, e soprattutto perdonarsi l’un l’altro. Questa dimensione del perdono, così rara nella cultura di oggi, è invece contenuta nello stesso Padre Nostro: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il perdono è parte integrante dell’amore. E Gesù in quella occasione si spiegò con Maria e Giuseppe e loro chiesero perdono a Dio per non aver compreso quel figlio.


Avremo altre occasioni per parlare più diffusamente di questo. Ora vorrei fermare un poco la vostra attenzione sul mistero di questa famiglia di Nazaret. La Famiglia di Gesù era una famiglia ordinaria, composta da persone che vivevano del lavoro delle proprie mani. Certamente Giuseppe e Maria osservavano le tradizioni religiose d’Israele, e sentivano l’obbligo dell’educazione di Gesù. E sarebbe bello ripercorrere le loro tradizioni religiose. Ci commuoveremmo nel conoscere anche noi le preghiere che i tre dicevano al mattino e alla sera; saremmo edificati nell’apprendere come Gesù adolescente affrontava i primi appuntamenti religiosi e civili, e come da giovane operaio lavorava con Giuseppe; e poi il suo impegno nell’ascolto delle Scritture, nella preghiera dei salmi e in tante altre consuetudini. E quanto le mamme potrebbero apprendere dalle premure di Maria per quel figlio! Quanto i papà potrebbero ricavare dall’esempio di Giuseppe, uomo giusto, che dedicò la sua vita a sostenere e a difendere non se stesso ma il bambino e la madre!


Ma il vero tesoro di quella famiglia è la “centralità” di Gesù. Questo è il “tesoro” della “vita nascosta”: Maria e Giuseppe avevano accolto quel Figlio, lo custodivano e lo vedevano crescere in mezzo a loro, anzi dentro il loro cuore, e aumentava parimenti il loro affetto e la loro comprensione. Ecco perché la Famiglia di Nazareth è santa: perché era centrata su Gesù. Quell’angoscia che sentirono quando non riuscivano più a trovare Gesù dodicenne, dovrebbe essere la nostra angoscia quando siamo lontani da lui. E quante volte ci allontaniamo da lui e dal vangelo! Spesso riusciamo a stare più di tre giorni senza neppure ricordarci di lui, senza leggere il Vangelo, senza sentire il bisogno della sua amicizia. Maria e Giuseppe non restarono dov’erano quando si accorsero che non era più con loro. Si mossero decisamente e finalmente lo trovarono. Stava nel tempio, tra i dottori. Del resto dove poteva stare Gesù? Care sorelle e fratelli, anche noi siamo venuti questa sera in cattedrale, così come Maria e Giuseppe andarono nel tempio. Ed anche noi, qui, ritroviamo Gesù. Assieme a loro ringraziamo Dio per averlo ritrovato e per poterlo riabbracciare. E’ il nostro Te Deum. Il Padre ci ridona il Figlio perché noi tutti potessimo scoprirci figli di un Padre così grande e buono nell’amore.


Sì, ringraziamo il Signore per questo Figlio che ci ha donato. E il suo nome è amore. Gesù ci ha svelato il vero nome di Dio, che è appunto amore. Gesù ci ha mostrato il senso vero della vita, che è l’amore. Gesù ci mostra la verità dell’amore: ossia non avere nessun limite, nessun confine. E’ un amore che viene dal cielo, che non nasce da noi e dalle nostre tradizioni, che non viene dalle leggi sulla vita o sulla morte, che non viene da norme umane. L’amore di Dio è lo Spirito che ha guidato Gesù facendolo scendere dal cielo, facendolo camminare per le strade e le vie del suo tempo guarendo ogni malattia e infermità, facendolo accettare la morte sulla croce e, infine, facendolo risorgere dalla morte. Questo amore totalmente gratuito, che non conosce reciprocità, è la salvezza del mondo. E noi cristiani siamo chiamati ad accoglierlo e a comunicarlo.


Ed è quel che vorremmo dire questa sera alla nostra città di Terni, alle altre città e a tutti i nostri paesi. Sentiamo la responsabilità di testimoniare a tutti questo amore che Dio ci ha fatto conoscere. E’ una missione altissima e grave. Ma da essa dipende la crescita di una città più umana, più solidale, più pacifica. E vogliamo ringraziare il Signore perché nonostante la nostra indegnità ci ha scelti per essere membri di questa famiglia diocesana che con generosità vuole porsi al servizio della città di Terni perché il regno dell’amore si estenda e abbracci fratelli e sorelle sempre più numerosi.


Ti ringraziamo Signore per averci raccolti attorno a te, per averci donato questo anno di vita e ti preghiamo perché cresca ancor più l’amore tra noi e nel mondo.