Sarò vescovo, quale spavento per me

Discorso al termine della liturgia dell'ordinazione episcopale

Questa santa liturgia è stata un inno di ringraziamento, perché il Signore ama il suo popolo in molti modi. Lo ama e lo assiste anche inviando pastori per reggerlo e servirlo; lo ama e lo assiste suscitando nuovi carismi. Oggi ha chiamato me per servire la Chiesa nel ministero episcopale, in particolare quella di Terni, Narni e Amelia. Mi sono tornate alla mente le parole che Gregorio Magno pronunciava in questa basilica lateranense, dove ha tante volte predicato: ricordava che chi è chiamato al ministero di vescovo deve «essere quotidianamente e in ogni cosa consapevole della propria debolezza». Faccio mie queste parole non per umiltà esibita nell’occasione, ma perché convinto che la forza del Signore risplende nella nostra debolezza.


 


Mentre mi preparavo all’ordinazione episcopale, durante gli esercizi spirituali, ho trovato le parole di Angelo Giuseppe Roncalli da lui scritte nei giorni precedenti la sua ordinazione. Annotava: «Sarò dunque vescovo. Quale spavento per me, che mi sento così miserabile e difettoso in tante cose!». Infatti, cari fratelli, dimenticare la propria debolezza è un peccato e un’illusione. Per questo, nella sua misericordia, il Signore ci ha chiamato a salvarci insieme nel vincolo della comunione della Chiesa, nel perdono, nella preghiera, insomma in una comunità e in un popolo.


 


E’ quanto risplende oggi in questa basilica lateranense, mater e caput: in questa bella assemblea, così composita e ricca, che raccoglie i signori cardinali e numerosi vescovi, che ringrazio di cuore della loro presenza; assieme alle Autorità dello Stato e dell’Unione Europea, che ringrazio per aver voluto partecipare a questo sacro rito, unitamente ai signori ambasciatori della cui amicizia mi onoro; un’assemblea che raccoglie tanti confratelli parroci romani, sacerdoti, religiosi e religiose, a cui sono grato; ma soprattutto tanti amici di ogni provenienza, più giovani o più anziani, di ogni condizione e ambiente, di Roma, di Terni, Narni e Amelia di altre origini: alcuni provenienti da lontano e altri venuti anche con fatica e con sacrificio. E raccoglie anche metropoliti, vescovi e pastori di Chiese cristiane, che ci richiamano a quel compito precipuo che è l’unità della Chiesa, anticipata nel nostro amore. Essi impreziosiscono questa assemblea.


 


Vi siete radunati per accompagnare l’ordinazione del nuovo vescovo di Terni, Narni e Amelia, coprendo con la preghiera e l’amicizia la mia debolezza; ma ci siamo stretti idealmente e realmente attorno al Santo Padre, il Papa Giovanni Paolo II, che mi ha chiamato al servizio episcopale, dopo aver in tanti modi benedetto e sostenuto il cammino della Comunità di Sant’Egidio lungo i suoi 22 anni di pontificato. Per questo ho chiesto al card. Vicario, Camillo Ruini, che ha accettato con gioia, che fossi ordinato in questa basilica, cattedrale di Roma, vicino alla cattedra del Papa e per le mani del Vicario di Roma, oltre che di mons. Re, stretto collaboratore del Santo Padre, e del mio predecessore, mons. Gualdrini. Giovanni Paolo Il ha condotto la Chiesa nel terzo millennio, varcandone la soglia con il Vangelo. A lui va non solo la mia gratitudine personale da molti anni, ma quell’obbedienza fedele che ho promesso nel corso della liturgia, con un senso di comunione profonda che sale dal mio cuore e dalla mia vita.


 


Questa Chiesa di Roma, di cui il Papa è Vescovo, è la mia Chiesa fin dall’infanzia, quando entrai al Seminario Romano. Sono prete romano. Mi tornano alla mente il compianto cardinale Dell’Acqua da cui sono stato ordinato prete nel Settanta e che mi destinò alla parrocchia di Casalpalocco, e il cardinale Ugo Poletti, per tanti anni Vicario, che mi dette fiducia liberandomi per il mio servizio nella Comunità di Sant’Egidio che allora era agli inizi e che poi è cresciuta tra Roma e il mondo. Giovanni Paolo Il mi ha voluto parroco a Santa Maria in Trastevere, che ho servito con amore per 18 anni; e alla Madonna della Clemenza e della pace, ritornata sul suo altare, affido il mio nuovo cammino. Sono da 45 anni a Roma, in questa Chiesa, in questa città, che ha assunto sempre più – almeno nella mia vita – anche il ruolo di crocevia di incontro tra cristiani e di cercatori di senso e di pace. Sono romano di elezione, ma non di nascita. Ho la gioia di vedere qui mio padre e mia madre, che mi accompagnarono al Seminario Romano e che mi sono anche ora accanto, assieme ai miei familiari e ai concittadini. Avevo dieci anni quando lasciai i campi della mio paese; li ringrazio dell’attenzione con cui mi hanno seguito e che farà contento dal cielo il nostro compianto arciprete, don Giuseppe. Sono ora chiamato a partire nuovamente, questa volta per la diocesi di Terni, Narni e Amelia, per inserirmi come ultimo servitore nella successione dei suoi vescovi. Ho voluto che ci fosse tra gli ordinanti il venerato mons. Gualdrini, che per sedici anni ha retto la Diocesi e che ora si ritira nel silenzio e nella preghiera dopo aver ben meritato, per darci una nuova e diversa testimonianza. Questa liturgia sottolinea la successione che ci rende amministratori di qualcosa che non possediamo. Avrò l’onore di avere all’ingresso in diocesi anche l’ulteriore predecessore, mons. Quadri, per significare questo spirito di successione nell’abbandono, ma anche nell’amore.


 


A tutti voi, cari diocesani di Terni, Narni, Amelia, venuti così numerosi: al presbiterio diocesano largamente presente, alle Autorità e a tutti, dico il mio grazie per i segni di accoglienza sincera. A tutti, anche a quelli che si sentono estranei al mistero della fede che celebriamo, vorrei promettere il mio amore. Sono un vescovo del Giubileo: varchiamo la soglia del nuovo secolo, in un mondo in tanto mutamento, dietro al Vangelo, ascoltandolo, vivendolo, credendolo. Tutto il resto ci sarà dato. Ma la comunicazione del Vangelo, parola di Cristo vivente, si propone per la nostra Diocesi come la via prioritaria da percorrere per il prossimo secolo. Partiamo insieme dalla Pasqua, cuore della nostra fede. La Domenica delle Palme entrerò in Diocesi: per cominciare il mio servizio episcopale dall’abbassamento di Gesù nella sua passione, dalla liturgia crismale in comunione con il presbiterio diocesano, dalla Santa Cena, dalla gioiosa proclamazione della Pasqua.


 


Il Signore ama il suo popolo. Per questo ci manda. Ma, in questi ultimi tempi, come Giovanni Paolo II ha notato la Veglia della Pentecoste del 1998, l’amore del Signore ha arricchito la Chiesa di molti carismi. La Comunità di Sant’Egidio, frutto di questa stagione di fioritura di carismi nella Chiesa, ha rappresentato per me e per molti una scuola di amore per il Vangelo e la Chiesa, di servizio ai poveri, di passione per l’unità della Chiesa, di amore per il dialogo tra i credenti e per la pace tra i popoli. Sono formato in questa scuola. Ho imparato a non temere la debolezza, ma a accoglierla nella forza della grazia e del Signore. Per questo ringrazio della sua presenza, Andrea Riccardi, che ci indica da molti anni la via di un carisma al servizio della Chiesa, dei poveri e del mondo. Ringrazio tutti, le sorelle e i fratelli della Comunità di Sant’Egidio, che sono oggi qui tra noi, la cui comunione è impressa nel mio cuore e nella mia vita.


 


Un uomo nasce in un luogo determinato, ha una sua storia: sono grato al Santo Padre che abbia scelto un figlio della Comunità di Sant’Egidio per far parte del collegio episcopale. Sono grato che abbia pensato a un parroco romano. Sono grato di avermi affidato una diocesi tanto vicina spiritualmente alla Chiesa di Roma, immessa in quell’itinerario francescano tra l’Umbria e Roma che ci è scritto nel cuore.


 


Mentre sento l’obbligo di ringraziare tutti di persona, vi chiedo la carità di continuare la vostra amicizia e la vostra preghiera per me, in giorni che saranno nuovi per la mia esperienza. Ancora una volta ringrazio i Cardinali e i Vescovi che mi hanno imposto le loro mani, e in particolare il cardinale Ruini, Vicario del Santo Padre e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, di cui avrò l’onore di far parte in una comunione operosa.


 

Tra Trastevere, il Laterano e Terni, c’è una comune memoria che richiama Francesco d’Assisi. Si racconta che l’allora vescovo di Terni, Rainerio, dopo aver sentito parlare il santo sulla piazza, disse al suo popolo: “In quest’ultima ora, Dio ha illuminato la sua Chiesa con quest’uomo poverello”. E volle entrare insieme con lui nella cattedrale. Con Francesco d’Assisi, uomo di Dio e del Vangelo, povero e umile, mi appresto a entrare nella cattedrale di Terni. Grazie!