Santa Fermina 2009
Care sorelle e cari fratelli
era il 24 novembre del 304 quando la giovane Fermina fu martirizzata dal Prefetto romano di Amelia, Magenzio. Dopo numerosi tormenti, appesa con i capelli alla colonna (la tradizione vuole che sia quella posta all’ingresso del Duomo), mentre veniva torturata con le fiamme, Fermina morì pregando il Signore per sé e per i suoi persecutori. Molti vedendola morire in quel modo si convertirono al Vangelo. Nessuno l’aiutava, ma il Signore non l’abbandonò, come abbiamo ascoltato dal libro dei Proverbi: “Mi assalivano ovunque ma nessuno mi aiutava…allora mi ricordai delle tue misericordie Signore”.
Sono passati 17 secoli da allora e anche noi ci riuniamo attorno a lei perché è un esempio di come amare il Signore, anche in mezzo ai sacrifici, ai problemi, alle difficoltà della vita.
Santa Fermina è un esempio bello. Noi, spesso così tiepidi verso il Signore dobbiamo ricordarci di lei. A noi basta poco per dimenticarci di Gesù! Lei, invece, neppure le fiamme le impedirono di restare unita a Lui! Noi facilmente ci allontaniamo da Gesù: senza problemi tralasciamo la preghiera; una piccola difficoltà ci fa saltare la Messa; siamo tutti preoccupati solo per le nostre cose; facciamo poca carità; siamo pronti a dire maldicenze e a offendere. Santa Fermina, anche in mezzo ai tormenti, non ha smesso di pregare e di voler bene. Guardiamola, perciò, questa nostra santa patrona. Fissiamo lo sguardo su di lei. La sua testimonianza di amore è preziosissima in questo tempo in cui l’amore è raro. È difficile amare Gesù e quindi è difficile amare gli altri. Guardiamo Santa Fermina e imitiamola. Facciamo certo molto bene a gloriarcene. Ma a che serve se non riscopriamo l’amore che lei aveva per Gesù? In questo tempo, rattristato dalla violenza, abbiamo bisogno di ritrovare l’amore. E Fermina ci aiuta. Lasciamoci toccare il cuore dal Vangelo come lei fece. Olimpiade, prefetto di Amelia, che avrebbe dovuto ucciderla, vedendola innamorata di Gesù anche in mezzo alle sofferenze, ne fu colpito e si convertì.
Firmina era una giovane romana, forse figlia del Prefetto di Roma. Lasciò la città per ritirarsi qui ad Amelia. Con una nave partì da Ostia per dirigersi verso Civitavecchia. Durante la traversata si levò una terribile tempesta che stava per travolgere la nave. Fermina pregò il Signore e la tempesta cessò. Giunta a Civitavecchia si diresse ad Amelia, ove si ritirò nella sua villa. Si scatenò presto la persecuzione di Diocleziano contro i cristiani. Olimpiade la fece catturare; ma, appena la vide, se ne invaghì e cercò di sedurla. Fermina resistette e Olimpiade si convertì al Signore. Questa giovane donna ha fatto cambiare vita ad un uomo! E’ la via del Vangelo: ciascuno deve parlare ad un altro del Vangelo, ciascuno deve aiutare l’altro a scoprire Gesù. E Olimpiade fu a tal punto convinto che subì il martirio prima della stessa Fermina. Il nuovo prefetto di Amelia, Magenzio, voleva far tornare indietro Olimpiade, ma non ci riuscì. E lo fece uccidere. Fermina, quando gli fu detto che anche lei avrebbe fatto quella stessa fine, se non avesse abiurato, rispose che Olimpiade aveva obbedito al Vangelo: egli, prefetto della città, aveva dato la sua vita per Gesù e quindi anche per Amelia, tanto che oggi lo veneriamo ancora.
Care sorelle e cari fratelli, guardiamo Fermina. E’ davanti a noi per esortarci ancora una volta a riscoprire il Signore. Il Vangelo dell’amore fu la loro forza. Il Vangelo, infatti, rende gli uomini non solo buoni ma anche forti, forti nell’amore e nella misericordia. Sì, chi ascolta il Vangelo è capace di amare davvero. E l’amore è più forte della morte. È questo il senso della frase evangelica che dice “chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita la conserverà per la vita eterna”. Sembrano parole incomprensibili, ma se le consideriamo bene ci accorgiamo che sono invece molto umane. Il Vangelo ci mette sull’avviso: chi si preoccupa solo di sé e delle sue cose, si perde, non è felice. Mentre chi si preoccupa degli altri percorre la via della felicità. Fermina e Olimpiade, scegliendo il Vangelo hanno dato la loro vita per aiutare gli altri. E continuano ad aiutarci, ad aiutare noi e l’intera città di Amelia.
Quando, alla fine del IX secolo, il vescovo di Amelia, Pasquale, ritrovò i loro corpi e li portò nella città per accoglierli nella cattedrale, al loro ingresso si raccolse una grande folla. Notano le fonti: “Quando i corpi di Fermina e Olimpiade furono vicini alla città, una grande folla formata da uomini, donne, bambini, persone sane e inferme con fiori e palme andò incontro al sacro corteo, lodando, benedicendo e glorificando il Signore che aveva concesso una grazia tanto grande alla città di Amelia”. Il racconto continua: “Persone possedute dal demonio si calmarono; i lebbrosi guarirono; i ciechi videro; i muti parlarono; i paralitici camminarono. Tutti i malati, i deboli e gli sfiduciati che erano venuti in Amelia ritornarono nelle loro abitazioni guariti ed esauditi. Una gioia immensa era negli animi di tutti”.
Care sorelle e cari fratelli, quel che accadde in quel lontano giorno attorno ai corpi di Fermina e Olimpiade può continuare anche oggi se imitiamo il loro amore per Gesù e per tutti. Molte sono le malattie che ci attanagliano e non sono solo quelle del corpo, ma anche quelle dell’anima che si trasferiscono anche nella stessa società e nella stessa città.
Oggi vi consegno la Lettera Pastorale su “Eucarestia e città”.
E’ l’invito che ci viene dalla celebrazione della Messa della domenica ad entrare più profondamente nella vita delle nostre città. Purtroppo si sta affermando sempre più una concezione individualista della vita, sia in quella religiosa che sociale. Prevale insomma sempre più l’io al noi. Ma in questo modo perdiamo l’anima sia noi che le nostre città. C’è bisogno, care sorelle e cari fratelli, che cresca nei nostri cuori un senso della comunità più robusto, più largo. Il nostro cuore è stato creato da Signore con un respiro universale: tutti sono nostri fratelli e sorelle, tutti dobbiamo avere davanti ai nostri occhi. L’amore che Santa Fermina ci comunica ci spinge ad uscire da noi stessi e rivolgere lo sguardo sugli altri, soprattutto sui più poveri, sui più deboli, sui malati, sui disperati, su chi non ha più casa e lavoro, su chi ha lasciato la sua patria.
Vi chiedo di leggere questa lettera, di meditarla, di comprenderla e di coglierne l’ansia di portare a tutti quell’amore che il Signore ci dona ogni volta che ci raduniamo attorno a Lui.