Quando Tommaso da Celano mentì sapendo di mentire

Quando Tommaso da Celano mentì sapendo di mentire

La Vita beati Francisci, che è volgarmente nota come Vita prima, è un vero capolavoro del genere letterario agiografico. L’autore, Tommaso da Celano, era un frate francescano letterato, che era stato accolto enll’Ordine dallo stesso Francesco e poi aveva partecipato all’impegno missionario in Germania. Al momento della canonizzazione di Francesco (1228) probabilmente Tommaso si trovava ad Assisi ed è probabilmente in quell’occasione che il papa Gregorio IX (l’antico card. Ugolino che aveva accompagnato da vicino gli sviluppi della fraternità francescana) gli diede l’incarico di redigere la biografia ufficiale del nuovo santo. Tommaso si rivelò non solo un ottimo letterato (la legenda è scritta in ottimo latino) ma anche ottimo teologo (si pensi alle pagine dedicate alle stigmate) e, soprattutto, si rivelò un frate dalle grandi capacità di mediazione, per giungere a formulare un’immagine di Francesco gradita a tutte le componenti dell’Ordine minoritico.

Quel che emerge è il ritratto di un santo “nuovo”, non facilmente riconducibile ai modelli agiografici (che d’altra parte Tommaso conosceva molto bene). Uno dei capitoli in cui si esprime al meglio questa grande capacità dell’agiografo è quello dedicato alla conversione di Francesco, che non è presentata in termini miracolistici, ma come un lungo processo di cambiamento interiore, attraverso cui, poco alla volta, il mercante si era trasformato in uomo di Dio. Le tappe sono conosciute: da giovane prodigo e vano, a cavaliere in cerca di gloria, a prigioniero a Perugia, passando per la malattia, Francesco poco a poco scopre un senso diverso della vita, fino alla lite con il padre e alla rinuncia ai suoi beni davanti al vescovo. Il percorso di conversione si completa poi con l’infelice incontro con i briganti e l’ancor più infelice incontro con i monaci. Ed è a questo punto, e solo a questo punto, che Tommaso parla del fatto che Francesco incontrò anche i lebbrosi.

La scelta non può non stupire dato il fatto che Francesco stesso, alla fine della sua vita, aveva descritto in altro modo il suo percorso di conversione. E’ il brano con cui inizia il Testamentum: « Dominus ita dedit mihi fratri Francisco incipere faciendi poenitentiam: quia, cum essem in peccatis, nimis mihi videbatur amarum videre leprosos. Et ipse Dominus conduxit me inter illos et feci misericordiam cum illis. Et recedente me ab ipsis, id quod videbatur mihi amarum, conversum fuit mihi in dulcedinem animi et corporis; et postea parum steti et exivi de saeculo.»

Incipere faciendi poenitentiam : non vi possono essere dubbi, per Francesco si trattava dell’inizio della sua storia o, se si vuole, del cambiamento decisivo della sua vita. Il Testamento come è noto non è una semplice autobiografia, ma una vera e propria rilettura teologica della sua vita e di quella dei primi frati, che Francesco compie, al termine del suo percorso biografico, ad uso dei suoi frati presenti e futuri. Egli avrebbe potuto scegliere tanti episodi, tanti momenti decisivi a cui legare il ricordo della sua conversione. Se sceglie di dare la priorità all’incontro con i lebbrosi è perché egli pensa che tale incontro possa (e forse debba) essere esemplare per i frati. Francesco sembra dire ai suoi: tutto ha avuto inizio da quell’incontro.

Come ha sottolineato anche Cesare Vaiani: «Non verrà sottolineata mai abbastanza l’importanza di questo riferimento ai lebrbosi per il successivo sviluppo dell’esperienza di Francesco: è lui a dire come il proprio cambiamento di vita non sia legato alla preghiera, o ai sogni che gli indicano la volontà del Signore, ma principalmente all’incontro con i lebbrosi. Poi, nel ricordo del Testamento, verrà anche la preghiera nelle chiese e il riferimento alla croce: ma dopo i lebbrosi, che restano il primum della sua conversione»[1]

Vale la pena di ritornare alle parole usate da Tommaso da Celano. « Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente, come egli stesso dice nel suo Testamento: «Quando era ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e con essi usai misericordia». La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria.»

Come è stato recentemente osservato[2], le fonti usate dall’agiografo sono due: il Testamento (citato esplicitamente alla lettera) e il racconto orale di Francesco stesso, che deve aver rievocato per i suoi frati l’andamento della sua conversione (è solo da questo racconto orale che Tommaso può aver preso i particolari circa il turarsi il naso e il primo incontro con un lebbroso). Dal punto di vista narrativo si tratta di un flash back: il ricordo di un avvenimento precedente inserito nella trama del racconto. Quest’uso consapevole del flash back è confermato dalle parole che seguono: « Quand’era ancora nel mondo e viveva vita mondana, egli si occupava dei poveri, li soccorreva generosamente nella loro indigenza e aveva affetto di compassione per tutti gli afflitti. Una volta, che aveva respinto malamente, contro la sua abitudine, poiché era molto cortese, un povero che gli aveva chiesto l’elemosina, pentitosi subito, ritenne vergognosa villania non esaudire le preghiere fatte in nome di un Re così grande. Prese allora la risoluzione di non negar mai ad alcuno, per quanto era in suo potere, qualunque cosa gli fosse domandata in nome di Dio. E fu fedele a questo proposito, fino a donare tutto se stesso, mettendo in pratica anche prima di predicarlo il consiglio evangelico: Dà a chi ti domanda qualcosa e non voltar le spalle a chi ti chiede un prestito»[3]. Anche in questo caso si tratta di un episodio, concernente questa volta l’incontro con un povero, che solo Francesco stesso può aver raccontato ai suoi frati.

Il fatto che l’agiografo dica apertamente che l’episodio si sia realizzato quando ancora Francesco “era nel secolo”, cioè all’inizio del suo percorso di conversione, lascia intatta la domanda sul perché poi egli abbia deciso di non citarlo che alla fine della sua descrizione di quello stesso percorso.

Raimondo Michetti, nel suo recente lavoro sulla Vita beati Francisci, si è accorto di questo iato e ha dato la sua spiegazione. “L’inserimento a questo punto dell’esperienza di frequentazione dei lebbrosi, che una traduzione rigorosamente puntuale delle scansioni del Testamentum avrebbe potuto anche prevedere nella parte precedente, potrebbe trovare una prima, ma non sufficiente, spiegazione proprio in questo strudente accostamento di immagini: perché il nuovo ritratto di  Franceso, che lava «putredinem omnem ab eis […] diligentissime serviens omnibus propter Deum», sembra quasi ricamato a contrasto con la gretta inospitalità dei  monaci, come suggerendo, indirettamente, la radicale contrapposizione tra la vecchia e la nuova proposta religiosa.”[4] Questa spiegazione però, come dice lo stesso Michetti, non appare sufficiente. Il problema di fondo non è tanto nell’inserimento qui dell’episodio dell’incontro con i lebbrosi, quanto nella sua omissione all’inizio del percorso di conversione.

Per provare a individuare le ragioni che possono aver spinto Tommaso (e con lui i frati che a diverso titolo controllavano la redazione della Vita) a modificare in un punto tanto pregnante il dettato del Testamento, occorre ripercorrere brevemente la storia del rapporto tra i primi frati e i lebbrosi.

La frequentazione con i lebbrosi era aspetto caratteristico della primitiva identità minoritica. Ne è testimone lo stesso Tommaso da Celano, quando, nel descrivere la primissima fraternità al ritorno da Roma, dice: « Di giorno, quelli che ne erano capaci, si impegnavano in lavori manuali, o nei ricoveri dei lebbrosi o in altri luoghi, servendo a tutti con umiltà e devozione.»[5]

Tracce di questa frequentazione si hanno nelle prime croncache, da Tommaso da Eccleston a Giordano da Giano, che narrano come i primi insediamenti dei frati in Inghilterra e Germania erano presso i lebbrosari dove talvola si celebravano anche i capitoli provinciali[6].

L’eco di questa frequentazione dei lebbrosari si conserverà ancora a lungo nella tradizione agiografica dell’Ordine, tanto che nello Speculum Perfectionis si dice: « Agli inizi della sua nuova vita, Francesco, con l’aiuto di Dio, da sapiente edificatore, mise le fondamenta di se stesso sopra salda roccia, vale a dire sulla profonda umiltà e povertà del Figlio di Dio, chiamando il suo l’Ordine dei frati minori a motivo della massima umiltà. Perciò fin dall’avvio del suo movimento, volle che i frati dimorassero negli ospedali dei lebbrosi per servirli, e così ponessero il fondamento dell’umiltà. Quando entravano nell’Ordine, nobili o no, tra le altre cose che venivano loro esposte, si diceva ch’era necessario servissero i lebbrosi e abitassero nelle loro case.»[7]

Un altro episodio, sempre nello Speculum, sottolinea a prossimità dei lebbrosi con le case dei frati: «Di ritorno alla chiesa della Porziuncola, Francesco trovò fratello Giacomo  il semplice in compagnia di un lebbroso devastato dalle ulcere. Era stato lui ad affidargli quel lebbroso e tutti gli altri che incontrasse, perché si sentiva come il medico di quei poveretti e toccava, ripuliva, curava le loro piaghe senza nausea. A quei tempi i frati dimoravano nei lebbrosari. Disse Francesco a Giacomo con tono quasi di rimprovero: «Non dovresti condurre fuori dal loro ospedale questi cristiani, perché non è conveniente né per te né per loro!». Voleva, sì, che li servisse, ma non che menasse fuori dal lebbrosario quelli che erano coperti di piaghe, poiché la gente ne aveva orrore. Ma Giacomo era così ingenuo, che li accompagnava dall’ospedale fino alla chiesa della Porziuncola, come avrebbe fatto con dei frati. Francesco soleva chiamare i lebbrosi «fratelli cristiani». Ma subito Francesco si pentì delle parole che aveva proferito, pensando che il lebbroso era stato umiliato per il rimprovero rivolto al fratello Giacomo. E però, volendo dare soddisfazione a Dio e al lebbroso, confessò la sua colpa a frate Pietro di Cattanio, allora ministro generale, e aggiunse: «Voglio che tu approvi la penitenza che ho scelto di fare per questo peccato, e che non mi contraddica». Rispose Pietro: «Fratello, fa’quello che ti piace». Egli aveva tanta venerazione e timore, che non osava contraddire Francesco, sebbene spesso ne restasse afflitto. Allora Francesco disse: «Questa sia la mia penitenza: che io mangi con il fratello cristiano nella stessa scodella». E sedette a mensa con il lebbroso e gli altri frati, e tra Francesco e il lebbroso fu posto un unico piatto. Era quell’infermo tutto piaghe, faceva ribrezzo, specie per le dita contratte e sanguinolente, con le quali tirava su i bocconi dal piatto; e quando vi immergeva le mani, ne colava sangue e pus. Vedendo questa scena, frate Pietro e gli altri ne furono profondamente contristati, ma non osavano dir nulla, per timore e riverenza verso il santo padre. Chi scrive questo episodio, ha visto la scena e ne è testimone.»[8]

D’altra parte, come fa notare Michetti, quello con i lebbrosi è per la fraternitas minoritica una “un rapporto privilegiato ma anche occasione di equivoci e di fraintendimenti, se, tra le preoccupazioni che motivarono il ritorno di Francesco dalla spedizione in Egitto nel 1219, vi dovette essere anche… il tentativo di frate Giovanni della Cappella di dare vita a un nuovo ordine religioso, imperniato proprio sulla misericordia verso i lebbrosi.»[9] Il riferimento è qui alla Chronica di frate Giordano da Giano, che dice: « Così anche frate Giovanni da Campello, raccolto un gran numero di lebbrosi, di uomini e di donne, uscì dall’Ordine e volle farsi fondatore di un nuovo ordine; stese una regola e per farla approvare si presentò con i suoi seguaci alla Sede Apostolica.»[10]

Quando dunque, dopo il 1220, Francesco si accinge a redigere la Regola per i frati, il problema dei lebbrosi si presentava in tutta la sua problematicità. Il rischio che si può intravedere, è che l’intero ordine sia trasformato in una struttura al servizio dei lebbrosi, come erano i crocigeri o altre esperienze sorte negli stessi anni. E’ in base a questa o a simili preoccupazioni che, nel testo della Regula non bullata, il riferimento ai lebbrosi è contenuto solo in un paio di accenni: « I frati tuttavia, per manifesta necessità dei lebbrosi, possono per essi chiedere l’elemosina.»[11] e, soprattutto, «devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada.»[12].  Nella Regola bollata però anche questi piccoli riferimenti scompaiono.

Il tema era dunque particolarmente delicato. Eppure la stessa Vita di Tommaso da Celano registra il fatto che Francesco, anche dopo la stesura e l’approvazione della Regola, non considerasse chiuso l’argomento. Anzi, proprio in contrapposizione con una certa evoluzione dell’Ordine frate Francesco sembra coltivare con nostalgia il ricordo degli anni in cui i frati vivevano in mezzo ai lebbrosi. Racconta infatti la legenda che Francesco, negli ultimi tempi della sua vita «bramava ardentemente ritornare alle umili origini del suo itinerario di vita evangelica e, allietato di nuova speranza per la immensità dell’amore, progettava di ricondurre quel suo corpo stremato di forze alla primitiva obbedienza dello spirito. Perciò allontanava da sé tutte le cure e lo strepito delle considerazioni umane che gli potevano essere di ostacolo, e pur dovendo, a causa della malattia, temperare necessariamente l’antico rigore, diceva: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!». Non lo sfiorava neppure il pensiero di aver conquistato il traguardo e, perseverando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava sempre di poter ricominciare daccapo. Voleva rimettersi al servizio dei lebbrosi ed essere vilipeso, come un tempo; si proponeva di evitare la compagnia degli uomini e rifugiarsi negli eremi più lontani, affinché, spogliato di ogni cura e deposta ogni sollecitudine per gli altri, non ci fosse tra lui e Dio che il solo schermo della carne.»[13] Un passaggio, ritenuto così importante, che anche la Legenda maior di Bonaventura lo riprende quasi alla lettera: « Ardeva anche d’un gran desiderio di ritornare a quella sua umiltà degli inizi, per servire, come da principio, ai lebbrosi e per richiamare al primitivo fervore il corpo ormai consumato dalla fatica.»[14]

E’ in questo contesto che si colloca la redazione del Testamentum. La scelta di collocare al primo posto l’incontro con il lebbroso appare dunque come l’esplicitazione di una volontà da parte del santo: quella di dare a tale incontro un valore esemplare, prototipico, per tutti i frati, presenti e futuri.

Che questo valore sia stato recepito nelle diverse generazioni francescane, le quali tutte si sono misurate con la forza evocatrice del Testamentum, appare dalla ripresa del tema dei lebbrosi nelle compilazioni Trecentesche, a cominciare da una famosa pagina dei Fioretti: «Come santo Francesco miracolosamente sanò il lebbroso dell’anima e del corpo, e quel che l’anima gli disse andando in cielo. Il vero discepolo di Cristo messer santo Francesco, vivendo in questa miserabile vita, con tutto il suo isforzo s’ingegnava di seguitare Cristo perfetto maestro; onde addivenia ispesse volte per divina operazione, che a cui egli sanava il corpo, Iddio gli sanava l’anima a una medesima ora, siccome si legge di Cristo . E però ch’egli non solamente servia alli lebbrosi volentieri, ma oltre a questo avea ordinato che li frati del suo Ordine, andando o stando per lo mondo, servissono alli lebbrosi per lo amore di Cristo, il quale volle per noi essere riputato lebbroso; addivenne una volta, in uno luogo presso a quello dove dimorava allora santo Francesco li frati servivano in uno ispedale a’ lebbrosi infermi; nei quale era uno lebbroso sì impaziente e sì incomportabile e protervo, ch’ogni uno credeva di certo, e così era, che fusse invasato del dimonio, imperò ch’egli isvillaneggiava di parole e di battiture sì sconciamente chiunque lo serviva, e, ch’è peggio, ch’egli vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto e la sua santissima madre Vergine Maria, che per nessuno modo si trovava chi lo potesse o volesse servire. E avvegna che le ingiurie e villanie proprie i frati studiassono di portare pazientemente per accrescere il merito della pazienza; nientedimeno quelle di Cristo e della sua Madre non potendo sostenere le coscienze loro, al tutto diterminarono d’abbandonare il detto lebbroso: ma non lo vollono fare insino a tanto ch’eglino il significarono ordinatamente a santo Francesco, il quale dimorava allora in uno luogo quivi presso. E significato che gliel’ebbono, e santo Francesco se ne viene a questo lebbroso perverso; e giugnendo a lui, sì lo saluta dicendo: «Iddio ti dia pace, fratello mio carissimo» Risponde il lebbroso: «Che pace posso io avere da Dio; che m’ha tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e putente?». E santo Francesco disse: «Figliuolo, abbi pazienza, imperò che le infermità de’corpi ci sono date da Dio in questo mondo per salute dell’anima, però ch’elle sono di grande merito, quand’elle sono portate pazientemente». Risponde lo infermo: «E come poss’io portare pazientemente la pena continova che m’affligge il dì e la notte? E non solamente io sono afflitto dalla infermità mia, ma peggio mi fanno i frati che tu mi desti perché mi servissono, e non mi servono come debbono». Allora santo Francesco, conoscendo per rivelazione che questo lebbroso era posseduto da maligno spirito, andò e posesi in orazione e pregò Iddio divotamente per lui. E fatta l’orazione, ritorna a lui e dice così: «Figliuolo, io ti voglio servire io, da poi che tu non ti contenti degli altri». «Piacemi, dice lo’nfermo; ma che mi potrai tu fare più che gli altri?». Risponde santo Francesco: «Ciò che tu vorrai, io farò». Dice il lebbroso: «Io voglio che tu mi lavi tutto quanto, imperò ch’io puto sì fortemente, ch’io medesimo non mi posso patire». Allora santo Francesco di subito fece iscaldare dell’acqua con molte erbe odorifere, poi sì spoglia costui e comincia a lavarlo colle sue mani, e un altro frate metteva su l’acqua. E per divino miracolo, dove santo Francesco toccava con le sue sante mani, si partiva la lebbra e rimaneva la carne perfettamente sanata. E come s’incominciò la carne a sanicare, così s’incominciò a sanicare l’anima; onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciò ad avere grande compunzione e pentimento de’suoi peccati, e cominciò a piagnere amarissimamente; sicché mentre che ‘l corpo si mondava di fuori della lebbra per lo lavamento dell’acqua, l’anima si mondava dentro del peccato per contrizione e per le lagrime. Ed essendo compiutamente sanato quanto al corpo e quanto all’anima, umilmente si rendette in colpa e dicea piagnendo ad alta voce: «Guai e me, ch’io sono degno dello inferno per le villanie e ingiurie ch’io ho fatte e dette a’frati, e per la impazienza e bestemmie ch’io ho avute contro a Dio». Onde per quindici dì perseverò in amaro pianto de’suoi peccati e in chiedere misericordia a Dio, confessandosi al prete interamente. E santo Francesco veggendo così espresso miracolo, il quale Iddio avea adoperato per le sue mani, ringraziò Iddio e partissi indi, andando in paesi assai di lunge; imperò che per umiltà volea fuggire ogni gloria e in tutte le sue operazioni solo cercava l’onore e la gloria di Dio e non la propria. Poi, com’a Dio piacque, il detto lebbroso sanato del corpo e dell’anima, dopo quindici dì della sua penitenza, infermò d’altra infermità; e armato delli Sacramenti ecclesiastici sì si morì santamente. E la sua anima, andando in paradiso, apparve in aria a santo Francesco che si stava in una selva in orazione, e dissegli: «Riconoscimi tu?». «Qual se’tu?» disse santo Francesco. «Io sono il lebbroso il quale Cristo benedetto sanò per li tuoi meriti, e oggi me ne vo a vita eterna; di che io rendo grazie a Dio e a te. Benedetta sia l’anima e ‘l corpo tuo, e benedette le tue sante parole e operazioni; imperò che per te molte anime si salveranno nel mondo. E sappi che non è dì nel mondo, nel quale li santi Agnoli e gli altri santi non ringrazino Iddio de’santi frutti che tu e l’Ordine tuo fate in diverse parti del mondo; e però confòrtati e ringrazia Iddio, e sta’con la sua benedizione». E dette queste parole, se n’andò in cielo, e santo Francesco rimase molto consolato. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.»[15]

Osservazioni  

Lo spostamento temporale non è l’unico intervento di Tommaso riguardo all’incontro tra Francesco  e i lebbrosi. Come ha fatto notare Pietro Messa, nel Testamento l’attenzione è tutta concentrata sul lebbroso, mentre nel racconto di Tommaso l’attenzione si sposta sul cambiamento di Francesco. Non è un passaggio di poco conto: dal facere misericordiam si passa al contemnere se ipsum.[16]

Conclusione

In realtà la distanza tra il racconto del Testamento e quello della Vita beati Francisci di Tommaso da Celano resta senza giustificazione. L’unica sensazione che si ricava dalla lettura delle fonti è che i frati non compresero il senso ed il valore che Francesco intendeva dare a quell’incontro. Tommaso, nel ricostruire il percorso di conversione di Francesco, in realtà dipinge anche, in qualche modo, un possibile percorso formativo per i frati che sarebbe venuti nel futuro: dalla vanità della vita del mondo, alla scelta di seguire il Vangelo alla lettera. Solo che, leggendo quel percorso con una mentalità ancora ecclesiastica, non poteva non vedere l’incontro con i poveri e i lebbrosi che come il risultato di una conversione interiore. Per Francesco invece quello stesso incontro non era il risultato, ma l’inizio del suo percorso di cambiamento personale. Insomma, per dirlo in maniera forse semplificata: per Francesco caritas praecedit fidem, per Tommaso fides praecedit caritatem.

 


[1] Cesare Vaiani, Io sto coi lebbrosi, in Luca. Il Vangelo della misericordia, a cura di D. Dozzi, Bologna 2006, pp. 15-16.

[2] R. Michetti, Francesco d’Assisi e il paradosso della minoritas. La Vita beati Francisci di Tommaso da Celano, Roma 2004, p.109.

[3] Tommaso da Celano, Vita beati Francisci, 17, trad. it FF 349.

[4] R. Michetti, Francesco d’Assisi e il paradosso della minoritas, p. 106.

[5] Tommaso da Celano, Vita beati Francisci, I, XV, 39; trad. it. FF 389.

[6] Cfr. Chronica fratris Iordani, 33

[7] Speculum Perfectionis, 44; trad. it. FF 1730. Cfr. Compilatio Assisiensis , 9; trad. it. FF 1549 [1658].

[8] Speculum Perfectionis, III, 58, trad. it. FF 1748; cfr. Compilatio Assisiensis, (22) 64. Va notato il fatto che, secondo un codice assisano del Liber conformitatum di Bartolomeo da Pisa, la frase detta da Francesco sarebbe stata molto più forte: «Tu non deberes ita lucere inter fratres sanos…» questo spiegherebbe meglio la grave penitenza che Francesco si impose. Cfr. De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, autore fr. Bartholomaeo de Pisa.

[9] Michetti, p. 107.

[10] Chronica fratris Iordani, 13; trad. it. FF 2335.

[11] Reg. non bull., VIII, 12; trad. it. FF 28

[12] Reg. non bull., IX, 3; trad. it. FF 30

[13] Vita beati Francisci, II, VI, 103; trad. it. FF 500

[14] Bonaventura, Legenda maior, XIV, I; trad. it. FF 1237; cfr. anche Legenda minor VII, I; trad. it. FF 1384

[15] Fioretti, cap. XXV, in FF 1857

[16] Pietro Messa, Le fonti patristiche negli scritti di Francesco d’Assisi, Assisi – S. Maria degli Angeli 1999, p. 254.