San Valentino 2005

Pontificale di San Valentino 2005

Caro mons. Gualdrini, gentili autorità, cari sacerdoti, care sorelle e fratelli,


 


è sempre un’occasione di grazia ritrovarci assieme nel giorno della festa del nostro patrono, San Valentino. Il martirologio romano, brevemente, nota: “14 febbraio: a Roma, sulla via Flaminia, presso ponte Milvio, è martirizzato san Valentino interamnense”. Valentino, vescovo di Terni, realizzava alla lettera quel che abbiamo ascoltato dal Vangelo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. E Valentino ha dato la sua vita per Gesù e per i fratelli e le sorelle di Terni e delle altre città dove andava. Sì, amava gli altri più di se stesso; come aveva fatto Gesù e i suoi martiri. Ricordo mons. Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador, che venticinque anni fa fu ucciso sull’altare perché difendeva i poveri e assieme a lui ricordiamo Vittorio Bachelet, presidente dell’Azione Cattolica Italiana, ucciso anche lui venticinque ani fa nell’Università di Roma dalle brigate rosse. Sono due esempi contemporanei di come si vive la fede, o meglio, di come si vive da uomini che amano Dio e gli altri più di loro stessi. È per questo che i martiri, fin dai primi secoli, sono stati considerati i più vicini a Gesù. Ed è per questo che loro tomba si edificavano le chiese e le città: da uomini e donne che amano in questo modo si edifica la vita. Sono passati 17 secoli, e ancora una volta ci ritroviamo attorno a questo figlio di Terni che, per il suo amore, ne è diventato anche padre. A lui oggi affidiamo oggi la nostra città, il suo presente e il suo futuro, le sue angosce e le sue speranze.


L’amore senza confini è stata la ragione della vita di Valentino ed anche della sua morte. Lo ricordiamo per questo, sino a chiamare Terni “città dell’amore”. Oggi torniamo qui, sul suo colle, per riprendere forza e incamminarci con maggiore decisione sulla via dell’amore. È stato bello ieri accogliere centinaia di fidanzati che venivano a chiedere protezione e aiuto sul loro amore. Mentre la società sembra fare del tutto per distruggere i legami di amore, guardando la fedeltà persino con irrisione, San Valentino continua a dirci che l’amore è fedeltà anche a costo del sacrificio. L’amore vero è tremendamente serio. E se il mondo, anche all’inizio di questo nuovo millennio, è gravemente malato, lo è per la mancanza di amore. Sì, purtroppo l’amore sembra diminuire sempre più, mentre cresce a dismisura l’egoismo, che sta alla radice di tutti i mali. Valentino, che si è lasciato guidare dall’amore di Dio, ha invece salvato tanti dalla tristezza e dalla malattia. La fama del suo amore giunse anche a Roma, dove fu chiamato dal prefetto perché guarisse il figlio malato. Valentino guarì il giovane e portò al cristianesimo il prefetto e l’intera sua famiglia. Il senato romano, spaventato, decretò la morte del vescovo Valentino. Pensavano – e a ragione – che quell’amore avrebbe potuto minacciare il loro potere. Era vero: l’amore di Valentino cambiava i cuori e sconvolgeva la vita della società romana.


Il Vangelo in effetti scardina l’oppressione e gli egoismi; sradica le ingiustizie e le violenze. Le sconfigge perché le colpisce in radice. E la loro radice sta nel cuore degli uomini. La violenza e il male infatti non nascono fuori ma dentro il cuore dell’uomo. Per questo la prima e più radicale liberazione deve avvenire nei nostri cuori ove appunto risiedono la divisione, l’egoismo, l’arroganza, l’interesse solo per se stessi, la violenza, la guerra, l’odio, la vendetta; e dal cuore fuoriescono e avvelenano l’intera società, sino a diventare strutture di violenza. Se vogliamo liberare Terni e il mondo dal male dobbiamo far crescere l’amore nei nostri cuori. Aveva ragione quel sapiente ebreo quando affermava: “Se vuoi cambiare il mondo inizia a cambiare il tuo cuore”. Ed è chiaro nella narrazione del racconto di Babele. Perché l’antica città cadde in rovina? Perché ciascuno iniziò a parlare la sua propria lingua, dimenticando che solo quella dell’amore vicendevole avrebbe permesso l’edificazione di una città umana e solidale.


Ecco perché non ci stancheremo mai di ripetere che è da cuori vivificati dal Vangelo che può rinascere Terni.  Se convertiamo i nostri cuori al Signore, se non ci intestardiamo nella difesa degli interessi di parte, se non ci lasciamo sovrastare dall’egocentrismo, se apriamo la mente e il cuore al bene comune di tutti, se impariamo insomma da san Valentino ad aprire il cuore all’amore, non solo supereremo le difficoltà che ci sono davanti, ma saremo capaci di costruire un nuovo futuro per noi e per i nostri figli. Dobbiamo sentire rivolte anche a noi di Terni le parole dell’apostolo Paolo ai colossesi: “deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo…ad immagine del Creatore”. Sì, dobbiamo spogliarci dell’uomo vecchio, stanco e rassegnato, ricurvo su di sé e sui propri interessi, per rivestirci dell’uomo nuovo: “Rivestitevi dunque come amati da Dio – continua l’apostolo Paolo – …di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza…E la parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente”.


C’è bisogno di continuare a seminare nei nostri cuori il seme buono del Vangelo. Da un cuore rinnovato dal Vangelo trarremo energie nuove per superare il momento difficile che stiamo vivendo. E non mi riferisco solo ai problemi delle acciaierie. È in questione il futuro dell’intera città. Già lo scorso anno lo accennai, e lo ripeto: è solo da un rinnovamento spirituale di ciascuno di noi che può nascere una nuova Terni. Se ciascuno rimane attaccato solo a se stesso e ai propri interessi, porteremo la città in basso, non in alto. E abbiamo tutte le possibilità per crescere nell’amore e nella speranza: il Vangelo nella nostra Diocesi è seminato con abbondanza. Se lo ascolteremo e se cercheremo di non ostacolarne la crescita nei nostri cuori vedremo anche noi i miracoli che san Valentino, e con lui l’intera Terni, vedeva. Apriamo il cuore al Vangelo e Terni risorgerà. È la parola di speranza che oggi risuona da San Valentino. Sì, da questo colle può rinascere la speranza. E lo diciamo mentre viviamo un momento drammatico. Un dramma, in verità, che da anni accompagna la nostra città e che di tempo in tempo riappare. Oggi, però, è giunto ad un punto di svolta. E sentiamo nostre le angosce e le ansie dei lavoratori – soprattutto dei giovani lavoratori – e delle loro famiglie che vedono il futuro incerto. Sono giorni e mesi che ci chiediamo cosa fare. Certo, non è semplice scegliere la via migliore. Anche perché non ci troviamo all’inizio della vicenda. Tuttavia, al punto in cui siamo giunti abbiamo una sola scelta: l’incontro per chiudere la vertenza. Certo, dobbiamo stare attenti a non cadere in un atteggiamento solo difensivo. Fare solo le barricate senza un progetto condiviso non costruisce il futuro e, a stento, riesce a difendere il passato. Sono personalmente convinto che non siamo lontani dall’accordo per salvare le acciaierie e i livelli occupazionali. Lo scorso li abbiamo difesi e abbiamo vinto la battaglia. Oggi dobbiamo riprendere le trattative. E ciascuno è chiamato a fare un passo. Chiediamo a San Valentino che illumini ora, in questi giorni, le menti di tutti. Abbiamo poco tempo, pochissimo tempo; e non possiamo rischiare l’irresponsabilità. In queste settimane di San Valentino la vertenza si può e si deve chiudere. Dobbiamo tutti salvare le acciaierie e ottenere che i lavoratori riprendano immediatamente il lavoro. San Valentino, se non lo ostacoliamo, farà ancora una volta il miracolo.


Nello scorso anno l’impegno della città per costruire il suo futuro è stato forte e serio: forse non tutti gli interlocutori sono riusciti nell’impresa di mantenere la tensione ad un livello adeguato ai problemi. E le recenti scelte industriali non possono certo lasciarci soddisfatti. Ma la via è stata tracciata. È ovvio che dobbiamo dire con chiarezza e con forza che le responsabilità sociali di un’impresa non finiscono con il conto dei profitti. Sì, il profitto non può e non deve essere l’unico metro di giudizio. Giovanni Paolo II lo scriveva con chiarezza: “Il profitto non è l’unico indice delle condizioni dell’azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità”(Centesimus annus n.35). E questo, oltre ad essere moralmente inammissibile, non rientra neppure nelle logiche economiche dell’azienda. Dobbiamo ribadirlo e pretenderne il rispetto. Nello stesso tempo, però, dobbiamo aprire gli occhi di fronte alla nuova situazione economica internazionale. Non è questa la sede per dilungarci su tali tematiche. Ma ci è richiesta una grande intelligenza nell’affrontare i nuovi scenari internazionali. Certamente facciamo bene a difendere le acciaierie. Lo abbiamo fatto lo scorso anno e lo faremo ancora. E con determinazione. Ma per disegnare il futuro della città non possiamo più tardare nell’individuare nuove vie di crescita. Dobbiamo renderci conto che una fase è forse definitivamente chiusa: occorre suscitare nuove prospettive, ma anche un nuovo entusiasmo.


Lo scorso anno avevamo individuato nella cultura un fattore fondamentale per lo sviluppo della città: “Investire sulla cultura significa investire sulle persone che sono comunque la risorsa fondamentale di ogni società” dicevo lo scorso anno (Terni riparte dall’amore, omelia per San Valentino 14.2.2004). Torno a ripeterlo oggi: tutti siamo chiamati ad investire sulla cultura, senza esitazioni, senza riserve mentali o calcoli opportunistici di breve periodo. E investire sulla cultura – come anche sulla ricerca – significa legarla all’impresa, costruendo iniziative capaci di produrre reddito, di innervarsi nel sistema degli interessi, di far circolare conoscenze sappiano fertilizzare l’intero ambiente economico territoriale. Potremmo dire che si tratta di prendere sul serio, anche nel nostro territorio, il tema dell’economia della conoscenza. Non è una riflessione nuova: ma rinnovato deve essere l’impegno per dare concretezza ai progetti messi in campo. E possono svilupparsi in varie direzioni sulle quali incamminarsi insieme, tutti: Chiesa diocesana, governo della città, imprese, associazioni, comunità nel suo insieme. In questi ultimi anni l’impegno per la cultura è stato diretto soprattutto allo sviluppo del polo universitario (e di importanti centri di ricerca) e a nuovi servizi culturali tecnologicamente sviluppati; anche la Chiesa diocesana ha voluto fare la sua parte; e i sacerdoti sanno quanto dobbiamo continuare ancora in questa direzione. Ma – chiediamoci – abbiamo raggiunto un livello soddisfacente di crescita di quell’insieme di fattori che rendono la cultura anche un motore di sviluppo? È una domanda importante: non basta costruire contenitori culturali o attivare corsi di laurea. Certo, sono punti di partenza importanti. È positivo, ad esempio, l’aumento degli iscritti all’università, come pure positivi sono i progetti per nuove e più efficienti sedi per i corsi universitari e importanti piani di ricerca avanzata. E sono promettenti le strette relazioni tra università e mondo dell’impresa. È significativa l’attenzione per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali (penso al sistema museale in via di completamento), e l’apertura della nuova biblioteca comunale. Abbiamo anche – come negarlo – qualche sogno che sembra sfumare proprio nei settori più caratterizzanti l’economia della conoscenza.


Ma c’è da sottolineare nuovamente l’urgenza di un impegno per una cultura che apra la mente e permetta di superare quell’istinto che porta a difendere in maniera miope l’identità storica della nostra città. Se non ci rinnoviamo nel modo di pensare Terni, se non troviamo nuove modalità per riflettere sul suo futuro, rischiamo di perdere quell’identità che pure vogliamo salvare. Scrive il Compendio della dottrina sociale della Chiesa: “Una cultura può diventare sterile ed avviarsi a decadenza quando si chiude in se stessa e cerca di perpetuare forme di vita invecchiate”(n. 556). Ed è ovvio che per rinnovare l’identità della città è necessario creare un ambiente favorevole all’investimento nella cultura come fattore di sviluppo. Questo comporta, ad esempio, abbandonare comportamenti diretti a proteggere ceti, gruppi, soggetti privilegiati e incentivare la passione, la competenza, la creatività, premiando – perché no – il merito, senza dimenticare l’impegno a fornire sempre opportunità per tutti.


Fede e cultura dovrebbero diventare le parole chiave della riflessione della città sul suo futuro. Ambedue sono alla radice della creatività e del coraggio di intraprendere nuove vie di sviluppo. Questo è vero non solo per la nostra città, ma per l’intero paese. Non basta continuare a sopravvivere. C’è bisogno – lo sentiamo tutti – di qualcosa in più, di uno spirito rinnovato che sappia rianimare i progetti che sembrano spegnersi, che sappia legare tutte le aspirazioni progettuali. Non solo; c’è bisogno di uno spirito che sappia risvegliare le risorse di cui questa città – talvolta nascostamente – dispone; che sappia ridare fiducia a chi la sta perdendo; che sappia spazzare via l’idea che la città è pronta a ripiegarsi su se stessa, priva di slancio e di forza, quasi vinta dalla percezione della sconfitta. E’ il rischio della rassegnazione che nasce dalla paura e dall’egocentrsimo. Lo stesso Vangelo ci mette in guardia da questi pericoli. Nella lettera pastorale sulla Parola di Dio che ci accompagnerà in questo anno scrivo: “è facile rassegnarci e ritirarci nel nostro piccolo mondo […] La rassegnazione gela la speranza di una vita nuova, di un mondo più giusto e più felice. E continuiamo a vivere senza sognare più una vita piena, giusta e bella per tutti” (La Bibbia ridona il cuore, p.12). Il Vangelo ci spinge ad uscire dal ripiegamento su noi stessi e sul nostro passato che non passa mai. C’è bisogno di cambiare, gradualmente ma costantemente, molti dei nostri modi di fare e di pensare se vogliamo individuare un futuro nuovo per la nostra città. Non solo: dobbiamo ripensare insieme tutta una serie di pratiche sociali, di modelli di comportamento, di istituzioni. E qui gli interrogativi potrebbero moltiplicarsi: quante volte, ad esempio, la macchina amministrativa è piegata agli interessi personali o di parte? Quante volte il litigio interno blocca il comune sviluppo? Quante volte l’invidia tra noi soffoca quelle energie che pure non mancano nella nostra città? E forse tutti abbiamo esempi concreti. E comunque tutti abbiamo bisogno di un serio esame di coscienza, per abbandonare gli egoismi e le invidie, la rassegnazione e lo sconforto.


Care sorelle e cari fratelli, la memoria di San Valentino questo anno è davvero straordinaria, perché cade in un momento cruciale della vita di Terni. Sarebbe drammatico se restasse una festa di folclore e di svago. Oggi san Valentino torna per ridarci il cuore e a ridonarci quell’energia che lo rese pastore buono a Terni. San Valentino torna a ridonarci il Vangelo: se lo ascolteremo e lo metteremo in pratica sentiremo il cuore scaldarsi nel petto e sapremo sognare una città nuova, bella e solidale. Sia Terni la “città dell’amore”! Non solo nel cartello d’ingresso, ma nel profondo dei nostri cuori. Custodiamo le parole di Gesù: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”. È di qui, è da questo amore, che rinasciamo noi e l’intera nostra città. Amen.