Saluto all’associazione “Sulla strada”

Saluto all'associazione "Sulla strada"

Al caro amico don Carlo Sansonetti:


Cari amici di “Sulla strada”,


altri impegni mi impediscono di essere tra voi questa sera, ma posso assicurarvi che il mio cuore è con voi per condividere questo giorno di festa.


Spesso noi cristiani, laici o anche sacerdoti o vescovi, siamo accusati di “predicare bene e razzolare male”, mentre altre volte la Chiesa viene accusata di aiutare i poveri ma di lasciarli al loro posto, di non cambiare lo stato delle cose, quasi che la povertà dovesse far parte, per forza di cose, del mondo.


Non è un’accusa totalmente infondata: è vero che non basta fare la beneficenza, che non basta dar da mangiare ai poveri: bisogna amarli, dare loro dignità, combattere le cause stesse della loro povertà. D’altra parte, è anche vero che è fin troppo facile amare i poveri e gli oppressi con le parole, predicare la loro liberazione sulla carta, o con proclami politici, ma senza sporcarsi le mani, senza stare con loro, conoscerli, ascoltarli da vicino, come hanno fatto Francesco d’Assisi o madre Teresa di Calcutta.


Ebbene, cari amici di Attigliano, voi state provando a mettervi “Sulla strada” in ogni senso: sulla strada della solidarietà, sulla strada della pace, sulla strada dell’amore. Non è una strada facilissima perché ognuno di noi sente più forte il richiamo di ciò che è vicino che non il grido d’aiuto di chi è lontano. E sappiamo bene che il nostro primo “vicino” siamo purtroppo proprio noi stessi: chi può dire di non stare “sulla strada” che conduce a sé stesso? Una strada, però, troppo corta e triste.


Sono contento che vi stiate sporcando le mani, portando luce, acqua, medici e medicine in un villaggio maya del Guatemala; avete costruito una scuola per togliere i bambini dalle fabbriche di fuochi d’artificio dove erano costretti a lavorare tutto il giorno, sostenendo economicamente le loro famiglie.


E in Angola, ora, avete deciso di comprare una casa per accogliere 75 bambini tolti dalla strada, da quella stessa strada in cui siete scesi a lavorare, in mezzo a loro.


È importante, inoltre,  far conoscere a tutti queste realtà che il mondo cerca di nascondere, per sottolineare che tutti siamo responsabili di quello che avviene nel mondo, che nessuno può dire “io che c’entro, io che posso fare”; in questo senso spero possa contribuire anche il vostro sforzo per sostenere la rivista Adesso, perché tutti siamo chiamati a costruire il dialogo e la pace.


Quella pace che tutti dicono di amare ma che pochi hanno il coraggio di realizzare nella loro vita. Perché la pace va costruita, ogni giorno, attraverso il dialogo, la conoscenza reciproca, la tolleranza.  Attraverso il rapporto con la comunità evangelica di Granadilla avete sperimentato in prima persona anche come sia possibile, con la buona volontà, costruire la pace e abbattere le diffidenze anche in situazioni difficili.


Ma la vita quotidiana è piena di piccoli ma insistenti conflitti. La storia del vostro impegno nel Sud del mondo potrà aiutare tanto anche la  vita quotidiana: troppo spesso siamo alla ricerca di un nemico o dividiamo il mondo in buoni e cattivi, sentendoci circondati da avversari. Chi inizia a mettere in pratica il Vangelo non ha né avversari né nemici, né in casa né al lavoro, in ufficio o “sulla strada”. E mai cerca lo scontro, non si sente mai giusto perché non è mai arrivato alla fine della strada: “Non sono venuto a chiamare i giusti ma per i peccatori” (Mt 9,13), così dice Gesù.
È il mese di Francesco d’Assisi, questo: un santo che ha compiuto miracoli con il volto della cortesia e con l’attrazione della vera umiltà.


Se la pace ha trionfato a La Granadilla tra due comunità religiose, se ha trionfato – dodici anni fa – in Mozambico, allora, cari amici, può farlo anche in Afghanistan, in Iraq, in Cecenia, in Palestina, in ogni luogo dove ancora oggi si muore e si soffre per la violenza.


 Dobbiamo continuare ad abbattere tutti i muri: i muri della diffidenza, della paura, dell’ignoranza, dell’odio razziale o politico. Dobbiamo abbattere i muri e costruire i ponti.  Lo dicevo un mese fa, al grande pellegrinaggio a Narni scalo: quel  santuario, significativamente, si chiama “Madonna del ponte”, come – altrettanto simbolicamente – l’associazione di Simona Pari e Simona Torretta si chiama “Un ponte per…”.


Dobbiamo costruire ponti, e poi, su questi ponti, fare una strada, su cui camminare insieme verso la pace e la giustizia.


Possiamo farlo; nella nostra diocesi, in qualche modo, lo stiamo facendo: nel segno di San Valentino, patrono dell’amore, abbiamo costruito una strada di pace e solidarietà con talmente tanti ponti da attraversare tutto il mondo, dal Guatemala al Mozambico, dal Perù all’Albania, dal Kosovo al Congo, dall’Angola al Kosovo.


E allora, cari amici che siete questa sera ad Attigliano, il mio augurio è quello di una buona festa, ma soprattutto di un buon viaggio. A volte vi sentirete deboli e incapaci, quasi inadeguati, con il rischio di dire: che fatica!
Vorrà dire che siete “sulla strada” giusta, quella dell’apostolo Paolo che tanto ha viaggiato: “Quando sono debole,  allora sono forte” (2 Cor 12,10). Buona Festa!