Fiaccolata per la pace ad Assisi

Fiaccolata per la pace ad Assisi


Intervento di monsignor VINCENZO PAGLIA

Durante questa marcia silenziosa per le vie di Assisi, città della pace, faremo memoria di tanti luoghi e di tante persone che sono state private della pace. Ma anche di tanti operatori di pace che hanno imitato il Signore e Francesco, ed hanno dato la loro vita perché la violenza, la guerra, la malattia non fossero più l’ultima parola sulla vita degli uomini.
Con i nostri passi ci mettiamo sui loro passi.
Spesso lo spirito del dialogo e della comprensione ha guidato percorsi di riconciliazione. Purtroppo, nuovi conflitti sono sorti, anzi si è diffusa una mentalità per cui il conflitto tra mondi religiosi e civiltà è considerato quasi un inevitabile lascito della storia.
Non è così! Sempre la pace è possibile! Sempre si deve cooperare per sradicare dalla cultura e dalla vita i semi di amarezza e incomprensione in esse presenti, come anche la volontà di prevalere sull’altro, l’arroganza del proprio interesse e il disprezzo dell’altrui identità. In tali sentimenti infatti stanno i presupposti di un futuro di violenza e di guerra. Il conflitto non è mai inevitabile! E le religioni hanno un particolare compito nel richiamare tutti gli uomini e le donne a questa consapevolezza che è, allo stesso tempo, dono di Dio e frutto dell’esperienza storica di tanti secoli. Questo è quello che ho chiamato lo “spirito di Assisi”. Il nostro mondo ha bisogno di questo spirito. Ha bisogno che sgorghino da questo spirito convinzioni e comportamenti che rendano solida la pace, rafforzando le istituzioni internazionali e promuovendo la riconciliazione. Lo “spirito di Assisi” stimola le religioni a offrire il loro contributo a quel nuovo umanesimo di cui il mondo contemporaneo ha tanto bisogno.


I testi

I BAMBINI

Insieme, in tanti, ci incamminiamo in silenzio, per le vie di Assisi, segnate dal passaggio di San Francesco e dalla sua preghiera.
Vogliamo accogliere il bisogno di pace dei deboli.
Vogliamo fare questo cammino, ricordando le vittime della violenza, ma anche gli operatori di pace.
Ogni passo è una memoria, un ricordo, una testimonianza.
La prima tappa di questa marcia silenziosa è dedicata ai bambini, ai piccoli di ogni parte del mondo.
Anna Frank era una ragazzina ebrea. Aveva solo quattordici anni, quando venne catturata dai nazisti e condotta al campo di sterminio.
Per due anni aveva vissuto nascosta con la sua famiglia. Nel suo diario, pochi giorni prima di essere arrestata, aveva scritto queste parole di fiducia nel futuro.


Anna Frank


“Ecco che cosa è difficile in quest’epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele. E’ molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché ancora credo all’intima bontà dell’uomo.
Mi è proprio impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria e della confusione. Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto tornerà a volgersi al bene, che anche questa durezza spietata finirà, e che nel mondo torneranno la tranquillità e la pace”.


Ricordiamo, insieme ad Anna Frank, i bambini che sono vittime della guerra, in ogni parte del mondo.
Ricordiamo le piccole vittime di Beslan, e con loro tutte le giovani vittime del terrorismo.
Ricordiamo i bambini che sono discriminati per la loro etnia, per la loro religione, perché poveri, stranieri o nomadi.
Portiamo nel cuore il loro desiderio di un futuro di pace.


L’Uganda è uno dei nove paesi dell’Africa dove sono in corso conflitti o guerre civili. Sono guerre lunghe e sanguinose: in Uganda, il conflitto dura da diciotto anni. I bambini sono le prime vittime di questa guerra: tanti vengono uccisi, altri sono rapiti e obbligati con la violenza a combattere: si calcola che siano più di 25.000 i bambini e le bambine ugandesi costretti a diventare bambini-soldato. Nelly – così la chiameremo per rispettare la sua vera identità – era una di loro.


Uganda  (testo letto da Laura Ligreggi)


Nelly ha quattordici anni e viene dall’Uganda. Ora è a Roma, accolta dalla Comunità di Sant’Egidio per essere curata.
Ma Nelly ha conosciuto da vicino gli orrori della guerra: aveva solo sei anni, infatti,  quando è stata rapita dai ribelli.
I ribelli l’hanno costretta con la violenza ad uccidere suo zio, così che lei non potesse mai più tornare alla sua famiglia.
E così Nelly è diventata una bambina-soldato. Una vita terribile, piena di ricordi spaventosi. Ogni volta che prova a parlarne, Nelly scoppia a piangere e dice solo che vuole dimenticare.
I suoi piedi sono pieni di cicatrici: ha camminato giorno e notte, per tre mesi, senza scarpe, nella foresta, fino al Sudan, dove le hanno insegnato a combattere.
Una marcia estenuante e dolorosa: chi, tra i bambini rapiti, è troppo stanco e si ferma, viene ucciso, e con lui anche chi tenta di aiutarlo.
Tutti devono ubbidire al capo: chi disobbedisce viene ucciso sul posto.
Un giorno, durante un saccheggio, è arrivato l’esercito. E un soldato le ha sparato in bocca, per ucciderla.
E’ stata creduta morta e abbandonata lì, nella foresta. Ma Nelly si è trascinata per due giorni ed è arrivata vicino ad un villaggio. Lì qualcuno l’ha raccolta, e portata all’ospedale. Ma non hanno potuto fare molto per lei.
Il suo volto era completamente sfigurato.
Ora, dopo due operazioni fatte qui in Italia, si guarda allo specchio, sorpresa e felice di avere di nuovo la parte inferiore del viso. Nelly può sorridere di nuovo
Noi siamo andati a trovarla in ospedale tutti i giorni.
Siamo diventati per lei come una nuova famiglia, i fratelli e le sorelle che non ha più.
Ora sa che potrà tornare in Uganda guarita. Comincia a guardare al futuro con speranza: sogna di andare a scuola, e dice che imparerà presto a leggere e a scrivere.
Finalmente le sembra possibile cominciare una nuova vita.


Facciamo memoria dell’Africa, del suo dolore e delle sue speranze.
Ricordiamo tutti i bambini soldato, costretti alla violenza, in Uganda e in ogni parte del mondo.
Abbiamo nel cuore i bambini schiavi,
costretti al lavoro in tenera età;
tutti quelli privati della dignità.
Vogliamo anche ricordare tutti coloro che fuggono dalla guerra: i rifugiati, i profughi,
coloro che rischiano la loro vita in mare cercando di raggiungere i nostri paesi.
Sentiamo con forza il loro bisogno di pace e ci uniamo al loro desiderio di una vita sicura, per sé e per i propri figli.
Che il nostro mondo, ancora troppo indifferente, impari ad accogliere chi cerca un futuro migliore.


PRIGIONIERI, RIFUGIATI


Abbiamo camminato insieme, e le nostre luci hanno illuminato il nostro cammino.
Le candele che abbiamo nelle mani rappresentano le speranze di pace di tanti che portiamo nel cuore. Ma sono anche l’impegno a diventare noi stessi luci di pace, nel nostro cammino quotidiano.
Dedichiamo questa sosta alle vittime del razzismo e dell’inaccoglienza. A tutti i prigionieri, e ai condannati a morte.
Ma anche a chi si è messo al loro fianco e, sull’esempio di Gesù, ha insegnato a vincere il male con il bene.


Martin Luther King ha predicato l’amore, il perdono e la non violenza. Seguendo la parola del Vangelo, ha dedicato la sua vita al sogno che bianchi e neri potessero vivere insieme, come fratelli. E’ stato ucciso nel 1968.
Qualche anno prima, insieme a più di 250.000 persone, aveva attraversato gli Stati Uniti chiedendo il diritto di voto per i neri.
Ascoltiamo insieme le parole che pronunciò alla fine di questa grande manifestazione pacifica.


Martin Luther King


“L’amore è il potere più duraturo che vi sia al mondo. (..)
Noi procederemo nella fede che la non violenza e la sua forza hanno trasformato ieri oscuri in domani luminosi. Riusciremo a cambiare le cose.
Il nostro scopo non deve mai essere sconfiggere o di umiliare il bianco, ma conquistarci la sua amicizia e la sua comprensione.
L’obiettivo che cerchiamo è una società in pace con se stessa, una società che sa vivere in armonia con la sua coscienza. Quel giorno sarà non per il bianco o per il nero. Sarà il giorno dell’uomo.
So che vi chiedete: “Quanto tempo ci vorrà?”. Oggi vengo a dirvi che, per quanto difficile potrà essere il momento, per quanto difficile potrà essere l’ora, non ci vorrà molto, perché la verità calpestata si leverà.
 “Quanto tempo?”. Non molto, perché i miei occhi hanno visto la gloria del Signore che viene… Anima mia, sii pronta a rispondergli.”.


Dice Gesù “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Ricordiamo tutti coloro che, con mitezza e umiltà, hanno seguito il Signore sulla via della pace e della riconciliazione tra gli uomini.
Ricordiamo gli operatori di pace
e tutti coloro che hanno dato la loro vita per seguire e testimoniare il Vangelo.
Cresca nei nostri cuori e nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, la certezza che l’amore è più forte della morte
e che la forza debole del Vangelo può vincere ogni male.


Dominique Green è un giovane afroamericano di trenta anni. Quando ne aveva diciannove, fu condannato a morte.
Da anni la Comunità è al suo fianco, con l’amicizia, le visite, un sostegno concreto affinché avesse diritto ad un nuovo processo. Come tanti poveri, infatti, nessuno si era preso cura della sua difesa.
La sua esecuzione è stata fissata per il 26 ottobre.
La sua vita ci è molto cara. Siamo addolorati, ma anche fiduciosi nella forza della preghiera e in tutte le iniziative che si stanno prendendo per salvare la sua vita.
Don Marco, un sacerdote della Comunità, più volte ha visitato Dominique nel braccio della morte.
Questa è una lettera che Dominique gli ha scritto dopo uno di questi incontri.


Padre Marco,
da dove posso cominciare? E’ stato bello riuscire a vederci e avere un incontro cuore a  cuore. E’ bello avere amici come te. E’ bello avere una famiglia che posso dire “mia”, parlando della quale…gli ultimi giorni mi hanno lasciato senza parole.
Ho ricevuto un impressionante sostegno da quanti mi hanno scritto per augurarmi un felice compleanno, molto più di quanto non ne avessi ricevuto durante tutti i miei anni di carcerazione. Ne sono stato toccato, profondamente toccato!
E sono felice di tutto l’amore con il quale avete invaso il mio cuore! Spero che sarà messo a frutto e il risultato sarà un’amicizia senza fine. (…)
Spero che ci incontreremo di nuovo. Per favore dì a tutti che li amo. Il loro aiuto e il loro incoraggiamento sono la forza che mi fa continuare a lottare. Senza di voi non avrei mai creduto di poter arrivare fino a qui.


…con il cuore e nella lotta, rimango il vostro
                                                                                                        Dominique


In silenzio vogliamo ricordare tutti i prigionieri e i condannati a morte.
Ci uniamo alle speranze di tutti coloro che, nel braccio della morte, attendono che risuoni una parola di vita e di perdono.
Vogliamo riaffermare che ogni vita è sacra, che va rispettata e difesa.
Il Signore Gesù, condannato a morte, ha vinto la morte con la resurrezione. Possa venire presto per tutti il giorno della vittoria della vita sulla morte e sul male.
 
Siamo tornati qui, davanti a questa grande basilica, luogo santo, che custodisce la tomba di S. Francesco.
S.Francesco, uomo di preghiera, che ha amato i poveri ed ha vissuto il Vangelo della pace.
Con lo sguardo ed il cuore rivolti a lui, vogliamo ricordare tutti quelli che hanno imitato Gesù e ha dato la loro vita per i poveri, per i malati, per i deboli, in ogni parte del mondo.
 
Ascoltiamo ora le parole di Annalena Tonelli. Annalena era una donna comune, che ha dedicato la sua vita ai malati, prima in Kenya e poi in Somalia. E’ stata uccisa il 5 ottobre 2003, mentre si recava a visitare un ammalato di tubercolosi ricoverato nell’ospedale che lei stessa aveva realizzato.


Annalena Tonelli


Carissimi tutti, è Natale. Da Mogadiscio arrivano brutte notizie: i combattimenti stanno aumentando di intensità. Incredibile se si pensa che qui la gente è esausta, terribilmente provata. Arrivano continuamente rifugiati, sia dal sud che da Mogadiscio. L’altra sera sono arrivati due pullman stracarichi di gente, masserizie e armi.
Ho il cuore in una morsa, eppure, quale Natale più vero di questo, nell’attesa di un Salvatore che tutti agognano… il mio cuore ha sete di te, o Dio. Quando verrò e vedrò il volto di Dio? Tutti, consapevoli o inconsapevoli, attendiamo la venuta del Signore, la liberazione, la rinascita, la pace, la misericordia, la giustizia, nuovi cieli e nuova, assolutamente nuova, terra. Non c’è più tempo né possibilità di seppellire i morti… quanti morti insepolti, quanta gente buttata nelle fosse comuni senza neppure sapere chi sono, da dove vengono, perché sono morti e forse perché sono vissuti. Solo in Dio questo ha un senso. Fuori da Lui tutto è autentica follia. Viene il Signore e nessuno lo riconosce… Io lo so e gli sorrido e mi dà una gioia profonda, dilagante, dolcissima vederlo e sorridergli da lontano. Sono certa che anche Lui quando venne al mondo doveva essere uno di quei piccolini tenerissimi che ti sorridono già felici, acquietati, in pace.



Ricordiamo i sofferenti, i malati, chi giace in ospedale, i poveri che non hanno possibilità di essere curati.
Ricordiamo i malati di AIDS, in particolare tutti coloro che, grazie al programma di cura della Comunità in Africa, hanno ritrovato la speranza di vita e di guarigione.
Ricordiamo tutti gli uomini di buona volontà che, sull’esempio di Gesù, amico buono degli uomini, spendono la loro vita per lenire le sofferenze dei poveri e dei deboli.
Ci uniamo alla loro preghiera e al loro impegno, affinché chi soffre trovi consolazione e ogni malato sia guarito.


Le testimonianze che abbiamo ascoltato ci hanno condotto in tanti angoli del mondo: angoli di dolore e di speranza. 
Vogliamo ora concludere questo nostro cammino ascoltando le parole di Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio.
Le ascoltiamo dal suo libro “La pace preventiva”.
Sono parole che esprimono in breve il percorso spirituale della Comunità di Sant’Egidio, che ci ha condotto qui oggi a camminare per la pace.


Andrea Riccardi


“Sulla soglia di un mondo difficile, nuovo, rissoso e bellicoso, quello del secolo che si è aperto, il problema della nostra fede è decisivo. E’ il problema principale, quello che dobbiamo affrontare ogni giorno. Dice Gesù ai discepoli: “Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato” (Mc. 11, 22-24). La fede dei credenti può spostare le montagne. Spesso noi restiamo ai piedi delle montagne, intimiditi dalla loro altezza o dalla loro imponenza. Così rinunciamo a lottare per la pace, anche di fronte alle montagne di odio e di armamenti. Così rinunciamo timidamente a guardare oltre le montagne massicce che sembrano chiudere l’orizzonta a ogni sguardo di speranza così rinunciamo ad aprire il nostro cuore all’amore e alla speranza.
Dobbiamo ripartire dalla nostra fede. Non è il coraggio che ci fa superare la cultura della paura, il senso di impotenza, ma è la fede che ci porta al di là delle frontiere strette dei divieti, dei timori, delle intimidazioni. E’ la fede che sposta – fatto impossibile! – anche le montagne. Ma la domanda è prima di tutto personale: non avete ancora fede? Non hai ancora fede?”