Saluto al sinodo valdese e metodista

Saluto al sinodo valdese e metodista

 


Cari amici,


 


desidero anzitutto rivolgervi il ringraziamento e il saluto del cardinale Camillo Ruini, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, per l’invito rivoltogli a questa vostra assemblea. E vi porgo anche il saluto di altri vescovi che mi hanno chiesto di augurare a tutti voi un proficuo lavoro. Il vostro Sinodo, infatti, interessa da vicino la Chiesa cattolica in Italia. E l’interesse non è sul piano della pur doverosa informazione religiosa ma su quello della coscienza della preziosità della vostra assemblea. Se per ogni assemblea cristiana, piccola o grande che sia, si può applicare la parola evangelica: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”(Mt 18,20), a maggior ragione la si deve intendere per gli incontri sinodali. C’è in affetti una particolare grazia che il Signore dona alla sua comunità quando si raduna, una grazia che va oltre quelle stesse assemblee.


Per me, cari amici, che fin da giovane sacerdote ho avuto modo di conoscere fratelli della comunità valdese, la presenza al vostro Sinodo segna un momento di amicizia spirituale che mi richiama con particolare forza il primato della Parola di Dio nella nostra vita. E non è senza significato ricordare in questo anno il quarantesimo anniversario della Costituzione Conciliare Dei Verbum che ha segnato profondamente la vita dei cattolici in rapporto alla Sacra Scrittura e che ha avuto una parte importante anche nel cammino ecumenico. E sono lieto di salutare sin da ora chi di voi parteciperà al Congresso internazionale su “La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa” che si terrà a Roma nel settembre prossimo a cura della Federazione Biblica Cattolica. E sento l’obbligo di ringraziare anche per la fattiva collaborazione che, attraverso alcuni di voi, ho trovato con la Società Biblica in Italia. Credo che per noi cristiani sia decisivo ritrovare la centralità della Parola di Dio nella vita sia personale che comunitaria. E oggi, ancor più che in passato, questo impegno deve vederci gli uni accanto agli altri perché possa crescere in tutti i credenti un rinnovato entusiasmo per le Sacre Scritture; quello stesso entusiasmo che ebbero Pietro Valdo e Francesco d’Assisi. Di uomini come questi hanno bisogno le Chiese e il mondo. Solo così rinasce la Chiesa e con essa l’ecumenismo.


Si parla oggi sempre più spesso di ecumenismo spirituale, anche per superare una impasse che tutti constatiamo. Ma non si tratta di trovare nuovi accorgimenti tattici e neppure di inventare equilibri più avanzati tra noi. L’ecumenismo passa certamente attraverso ridefinizioni di ordine teologico, ma credo che sempre più esiga un profondo rinnovamento spirituale dei credenti: più siamo evangelici, più saremo ecumenici, si potrebbe anche dire. L’incontro tra le diverse Chiese e confessioni cristiane può avvenire solo sulla via di una radicalità evangelica che ci rende tutti più fraterni e più perspicaci anche teologicamente. Questa prospettiva ci richiama lo spirito dei padri dell’ecumenismo che amavano cercare anzitutto quel che univa i cristiani anche per l’urgenza dell’annuncio evangelico al mondo che esigeva la comunione reciproca. Fu proprio la prospettiva missionaria a far nascere il primo movimento ecumenico che, peraltro, nacque nel mondo protestante. Forse tale orizzonte deve tornare in primo piano. Non è questo il momento per ripercorrere i motivi della crisi dell’ecumenismo, ma se dobbiamo indicarne qualche ragione essa va trovata in un ritorno di auto referenzialità da parte delle singole chiese nel corso degli ultimi anni del Novecento. Le divisioni non vanno taciute o sottovalutate e le identità non debbono essere attutite.


Nella Relazione della Commissione d’Esame sono apparse distanze e divergenze tra voi e la Chiesa Cattolica. Ma certi temi, importanti ma forse non centrali, non debbono essere motivo di astio e di distanza. Nessuna chiesa prende decisioni a cuor leggero. Se comunque ci sono divergenze è bene dircele con correttezza e con fraternità. E credo che una più chiara e fraterna conoscenza reciproca ci aiuterà a crescere anche nella stima tra noi. Le differenze ci sono. Ma non dobbiamo considerarle né una condanna né un ostacolo insuperabile al cammino ecumenico. Forse dobbiamo parlare non solo di “dignità della differenza” – come scrive il rabbino Sacks a proposito della diversità tra le religioni – ma, post factum, anche di una “provvidenzialità” delle differenze. Il confronto fraterno deve aiutarci – come in certo modo la stessa Relazione esortava a fare – a realizzare l’antico detto: “In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas”.


Mentre ascoltavo la Relazione della Commissione d’Esame mi sorprendevo per i numerosi punti in comune: dalle questioni relative alla predicazione e alla formazione dei pastori, all’atteggiamento verso i cristiani immigrati; dai problemi relativi alla gestione dei contributi relativi all’otto per mille, a quelli gestionali delle strutture ospedaliere. Ne vorrei sottolineare tre, quella relativa alla “crisi” della chiesa che dallo scorso anno occupa la vostra attenzione, quella sulla “diaconia” e sulla azione della chiesa di fronte ai grandi problemi posti dalla globalizzazione. Rispetto al prima questione debbo dire che anche nella chiesa cattolica si è pensosi di fronte alla nuova situazione mondiale e alla crescente secolarizzazione che rende particolarmente difficile l’annuncio evangelico. Nelle comunità ecclesiali italiane spesso si affronta tale problema. In tale orizzonte mi permetto di accennare all’incontro dei giovani a Colonia. Cosa è stato Colonia per la chiesa cattolica se non un impegno per aiutare i giovani ad alzare lo sguardo verso la stella del Vangelo perché potessero incontrare, nel pellegrinaggio della vita, Gesù, fermarsi davanti a Lui e intraprendere una nuova vita, come accadde ai Magi? E quanti interrogativi io stesso mi porto nel cuore dopo questo incontro, assieme ovviamente alla gioia nel vedere un così gran numero di giovani cercare il Signore e ritrovarsi fratelli e sorelle al di là di ogni frontiera? Non è forse questo un modo per affrontare la crisi che traversa il mondo giovanile mostrando una via che può essere percorsa con speranza? E in questa prospettiva ricordo con particolare commozione frère Roger Shutz e quanto ha fatto per i giovani e per l’unione tra i cristiani, fino a dare la sua stessa vita.


Per quanto concerne la “diaconia” o, in altre parole, il posto dei poveri nella chiesa, mi pare particolarmente significativo che venga messo a tema della riflessione. Forse discuterete ancora del problema degli ospedali. Ed è singolare che anche la prossima assemblea della Conferenza Episcopale Italiana si terrà sulla questione ospedaliera e sul compito della comunità cristiana nei confronti dei malati. Non c’è bisogno di sottolineare quanto sia decisivo il rapporto tra la comunità cristiana e i malati, al di là delle questioni gestionali delle diverse opere di carattere sociale. Il legame inscindibile tra Evangelo e poveri richiede una attenta riflessione all’interno delle comunità cristiane, perché l’amore per i poveri e i deboli riguarda la salvezza, come sta scritto: “ero malato e siete venuti a visitarmi”. Ai cristiani è chiesto non semplicemente l’aiuto ma la fraternità con i poveri. Questo compresero e vissero Valdo e Francesco.


Sulla terza questione prendo spunto dalla Relazione quando accenna alle grandi questioni relative alla nuova situazione internazionale. E’ un campo ove è auspicabile un confronto e soprattutto un impegno comune di tutti i cristiani. Come, ad esempio, non sentire l’urgenza di un comune impegno di fronte ai problemi che nascono dalla globalizzazione, dalla normalizzazione della guerra come mezzo per risolvere i conflitti, dalla teoria della ineluttabilità dello scontro tra tra etnie, popoli e civiltà? E possiamo restare separati di fronte al dilagare della povertà nel mondo che rischia di far saltare tragicamente l’intero pianeta? Il Patriarca Atenagora, con una frase sloganistica ma efficace, soleva dire: “Chiese sorelle, popoli fratelli”. intraprendere una nuova vita, come accadde ai Magi?Voleva intendere che l’ecumenismo non è solo una questione interna alle chiese ma una vocazione per aiutare i popoli a riscoprire quella fraternità che nasce dall’unico Padre che sta nei cieli. Insomma, le guerre, il terrorismo, il dilagare della povertà richiedono una risposta unitaria da parte dei cristiani; una risposta evangelica prima che politica, perché di quest’ultima più vasta e più profonda. Noi cristiani abbiamo ricevuto in dono l’Evangelo della pace e l’Evangelo dell’amore, una eredità che porta sino al martirio, a mio avviso vera e radicale contestazione del terrorismo: i cristiani la vita la danno per salvare gli altri, non per distruggerli.


E’ in questo orizzonte che va disegnato l’ecumenismo degli anni a venire: le nostre chiese debbono alzare lo sguardo da se stesse e guardare sempre più il Signore Gesù scegliendo con decisione la via della comunione. L’ecumenismo ha senso solo se è una scelta d’amore. Il cardinale Ratzinger in un incontro con il pastore Ricca alla Facoltà Valdese di Roma nel 1993, diceva: “Se Dio è il primo agente della causa ecumenica, il comune avvicinamento al Signore è la condizione fondamentale di ogni vero avvicinamento delle chiese. Con altre parole, ecumenismo è anzitutto un atteggiamento fondamentale, è un modo di vivere il cristianesimo. Non è un settore accanto ad altri settori. Il desiderio dell’unità, l’impegno per l’unità appartiene alla struttura dello stesso atto di fede, perché Cristo è venuto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. La caratteristica fondamentale di un ecumenismo teologico e non politico è dunque la disponibilità di stare e di camminare insieme nella diversità non superata; la regola pratica è fare tutto ciò che possiamo fare noi per l’unità e lasciare al Signore quanto può fare soltanto il Signore”. Questa lunga citazione del cardinale Ratzinger è rafforzata dagli interventi di papa Benedetto XVI, basti pensare a quelli fatti nei giorni scorsi a Colonia. Per questo non possiamo cessare di camminare assieme, di pregare assieme, di sperare assieme, di operare con audacia per la fraternità tra noi e per la pace tra i popoli.


Vari appuntamenti ci vedranno vicini nell’anno che viene: dalla preghiera comune nella Settimana per l’Unità, al Convegno sulla Carta Ecumenica; dagli incontri in preparazione per l’assemblea europea di Sibiu del 2007, alla Giornata per la difesa e la salvaguardia del creato, e così oltre. Per parte mia, mentre ringrazio per l’invito a partecipare ai vostri lavori, prego il Signore perché questo Sinodo non solo lasci alle sue spalle la “grotta” a cui accenna la Relazione di apertura, ma ridia vigore e forza nuova alla vostra testimonianza evangelica. Ne abbiamo bisogno noi cattolici e l’intero nostro paese. Grazie e buon lavoro!