Presentazione del congresso sulla Dei Verbum

Presentazione del congresso sulla Dei Verbum

La Federazione Biblica Cattolica fu fondata nel 1969, su iniziativa del cardinale Bea, per accompagnare l’attuazione del capitolo VI della Dei Verbum ove si descrivono le linee pastorali perché la Bibbia diventi il libro di ciascun credente. I padri conciliari, coscienti che “l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”(San Girolamo), esortano i fedeli ad “accostarsi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei pastori della chiesa lodevolmente oggi si diffondono ovunque”. In questo spirito la Federazione Biblica, assieme al Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ha organizzato un Convegno Internazionale per ricordare i 40 anni della Dei Verbum.


La Federazione in questi anni ha cercato di sostenere, nei diversi paesi del mondo la pastorale biblica attraverso un’opera di coordinamento oltre che di aiuto e di sollecitazione. L’orizzonte nel quale opera è quello che sant’Agostino sintetizza quando afferma: “La Bibbia va letta sulle ginocchia della Chiesa”. Sono significative, a tale proposito, alcune riflessioni dell’allora cardinale Ratzinger: “La chiesa non è la parola, ma il luogo in cui abita e vive la parola. Ciò significa che essa è obbligata ad essere veramente spazio di vita e non spazio di morte per la parola. La chiesa non può permettere che la parola si perda nella chiacchiera di una persona qualunque, nelle parole dei tempi che cambiano, ma la deve conservare nella sua immutabile identità. Ma perché la parola sia conservata, la chiesa deve viverla, deve soffrirla. Deve sottoporre le forze vitali di un’epoca al giudizio di questa parola, ma deve anche mettere a disposizione della parola una nuova vita, carne e sangue umani. Limitarsi puramente a conservare sarebbe scansare la sofferenza e non sarebbe certo un portare la parola nel tempo presente” (Dogma e predicazione).


Il Convegno non ha l’intento di esaminare la Dei Verbum nei suoi aspetti teologici – sebbene la relazione del cardinale Kasper non mancherà di sottolinearli – bensì di fermarsi a riflettere sui suoi aspetti pastorali. Si vuole abbozzare una prima verifica del cammino fatto in questi 40 anni e nello stesso tempo studiare alcune prospettive perché la Parola di Dio sia sempre più nel cuore delle comunità cristiane e dei singoli credenti. La numerosa e qualificata partecipazione a questo Congresso sta a dire la rilevanza che è necessario dare a questo tema ha nella vita della Chiesa. È la prima volta che un numero così alto di vescovi, assieme a tanti credenti, provenienti da più di cento paesi del mondo, e con la partecipazione di non pochi rappresentanti delle altre Chiese, si radunano per riflettere e discutere sulla centralità che la Parola di Dio ha nella Chiesa. La presenza di questi ultimi sottolinea quanto sia forte l’incontro tra i cristiani nell’ascolto delle Sante Scritture. La pratica della lectio divina mostra quella unità visibile che ancora non è dato di vivere altrove con pienezza. Per questo, l’ecumenismo spirituale, che Papa Benedetto XVI ha più volte sottolineato, trova nell’ascolto comune delle Sacre Scritture un luogo privilegiato per progredire nel dialogo ecumenico.


In ogni caso, tutti vediamo con quanta abbondanza, in questi ultimi 40 anni, la Bibbia sia tornata nelle mani dei fedeli. Giovanni Paolo II, presentando il documento del 1993 della Pontificia Commissione Biblica dal titolo L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, lo affermava compiaciuto: “È motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da gente umile e povera, che può fornire alla sua interpretazione e attualizzazione una luce più penetrante, dal punto di vista spirituale ed esistenziale, di quella che viene da una scienza sicura di se stessa”. E il cardinale Ratzinger, da parte sua, sosteneva che “il popolo cristiano è il vero proprietario della Bibbia e perciò il suo vero esegeta”(Il sale della terra). Tuttavia, perché la Parola di Dio sia davvero centrale nella vita spirituale dei singoli credenti e nella vita pastorale delle comunità cristiane il cammino è ancora lungo. Ed anche urgente.


Purtroppo, si deve dire che c’è ancora “poca Bibbia” nella vita dei fedeli. In una recentissima ricerca condotta in Italia, Francia e Spagna sul rapporto dei fedeli con la Sacra Scrittura, si riportano i seguenti dati: l’80% dei fedeli cattolici praticanti (sic!) ascolta la Bibbia solo durante la Messa della domenica, e appena il 3%, sempre dei praticanti, la legge ogni giorno. Ovviamente questo comporta non solo un’ignoranza materiale della Bibbia (ad esempio, il 40% crede che san Paolo abbia scritto un Vangelo e il 26% anche san Pietro), ma soprattutto non la sente come il proprio libro, come il libro della propria vita. Sembrerebbe, notano i ricercatori, che per i cattolici praticanti dei suddetti paesi europei la Bibbia sia ancora un libro per lo più “riservato al clero”. C’è però un dato che fa riflettere, ed è il desiderio che i fedeli hanno della parola di Dio. Infatti, il 41% dei praticanti ritiene che l’omelia sia il momento più utile per la crescita della loro fede. Ma qui l’interrogativo si sposta sulla qualità delle omelie: come sono? Uno scrittore italiano le definiva “il tormento dei fedeli”. E qui si apre un fronte di riflessione che a mio avviso è decisivo e forse poco esaminato. Oltre a questo problema, tanti altri se ne aprono. Basti pensare al rischio della interpretazione fondamentalista della Bibbia o, al suo contrario, cioè alla relativizzazione della Bibbia (capita che nelle celebrazioni liturgiche a volte viene preferita a testi letterari!). Vi è poi il problema aperto dall’urgenza che tutti i credenti abbiano la Bibbia. C’è un diritto fondamentale (e quindi anche un dovere) di ogni cristiano ad avere la Bibbia, la sua Bibbia e nella propria lingua. Purtroppo sono ancora molte le comunità cristiane soprattutto nel Sud del mondo che non hanno la Bibbia tradotta nella propria lingua (e qui si dovrebbe intensificare il dialogo con le Associazioni Bibliche dei diversi paesi; loro rappresentanti saranno presenti al Congresso). Ma è un impegno che deve trovarci tutti più attenti. Giovanni Paolo II non a caso notava: “L’impegnativo compito della nuova evangelizzazione passa attraverso la riconsegna della Bibbia all’intero popolo di Dio”.


Il Congresso prevede numerose tavole rotonde nelle quali esperti venuti dalle varie parti del mondo affronteranno i problemi legati alla presenza della Bibbia nella vita della Chiesa e del mondo. In tale contesto sarà posta particolare attenzione alla questione del rapporto dei cristiani con le Scritture d’Israele, come pure con quelle delle altre grandi religioni mondiali, senza dimenticare l’influsso che la Bibbia ha avuto, e può e deve avere, con le diverse civiltà e culture. Forse questo Congresso può essere uno stimolo perché le diverse Conferenze Episcopali facciano una verifica circa l’attuazione della Dei Verbum nei rispettivi paesi, non solo per quanto riguarda la diffusione della Bibbia, ma soprattutto per verificare quanto essa sia centrale nella vita spirituale dei singoli e in quella delle comunità. È nell’ascolto della Parola di Dio, infatti, che il credente si scopre discepolo e anche apostolo, ossia evangelizzatore, come recita l’inizio della stessa Costituzione conciliare. In tale prospettiva la Sacra Scrittura diviene la luce che illumina l’intera vita: la cultura, le scienze, la psicologia, la sociologia, la stessa politica e gli altri campi della vita. Del resto il vescovo, il teologo, il sacerdote, il seminarista, il religioso, anzi ogni cristiano, in quanto tale, non deve forse nascere e formarsi con il seme incorruttibile della Parola di Dio? Gli interrogativi potrebbero moltiplicarsi e certamente appariranno nei giorni del Congresso.


Vorrei infine sottolineare un obiettivo che mi auguro il Congresso raggiunga. Lo traggo da un passaggio dell’omelia del beato Giovanni XXIII pronunciata durante la presa di possesso di San Giovanni in Laterano come vescovo di Roma: “Se tutte le sollecitudini del ministero pastorale ci sono care e ne avvertiamo l’urgenza, soprattutto sentiamo di dover sollevare da per tutto e con continuità di azione l’entusiasmo per ogni manifestazione del libro divino, che è fatto per illuminare dall’infanzia alla più tarda età del cammino”. Questo “entusiasmo per ogni manifestazione del libro divino” che il beato Giovanni XXIII, iniziatore del Concilio Vaticano II, voleva suscitare al suo tempo, è ciò di cui c’è bisogno anche oggi. Noi ci auguriamo che il Congresso possa suscitare un nuovo entusiasmo per le Sante Scritture.