Riflessioni su Assisi

Riflessioni su Assisi

Sono passati 16 anni da quel 27 ottobre del 1986 quando più di cento rappresentanti delle confessioni cristiani e delle grandi religioni mondiali si riunirono ad Assisi, “luogo che la figura serafica di Francesco – così disse Giovanni Paolo II che li aveva convocati – ha trasformato in Centro di fraternità universale”. Non ci furono discussioni tra loro. Fu una giornata di solo digiuno e preghiera. Ciascuna comunità pregò per suo conto: ma la vicinanza tra i diversi luoghi di preghiera era eloquente. Tutti, infatti, manifestavano la fiducia nelle energie spirituali e nella forza debole della preghiera: una preghiera senza commistioni sincretistiche, ma rispettosa delle diversità, fiduciosa della sua forza disarmata.


Giovanni Paolo II, nel suo discorso conclusivo sulla piazza di S. Francesco, disse: “Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace… la preghiera è già in se stessa azione, ma ciò non ci esime dalle azioni al servizio della pace”. E proseguiva: “insieme abbiamo riempito i nostri occhi di visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie. La pace attende i suoi artefici…”. In molti partecipammo all’evento. E coloro che ebbero l’opportunità di avvicinare e accompagnare in quei giorni i capi religiosi videro la loro forte e commossa partecipazione. La Comunità di Sant’Egidio sentì l’urgenza di raccogliere questo “spirito di Assisi”. Si trattava non solo di non farlo cadere, quanto di estenderlo e di allargarne l’influsso. Non fu semplice. I diretti responsabili di quella giornata pensavano che dovesse restare un evento unico e irripetibile, tanto era alto. Continuarlo sarebbe stato ridurlo. Il Papa stesso sciolse l’obiezione esortando invece a continuare gli incontri. Perciò dall’ottobre del 1987 sino ad oggi, anno dopo anno, la Comunità di sant’Egidio ha continuato a radunare i responsabili delle grandi religioni mondiali per un incontro di preghiera per la pace. Ne è nato come un pellegrinaggio di pace che ha attraversato le principali città europee, da Varsavia a Malta, da Bari a Milano, da Assisi a Bruxelles, da Venezia a Padova, da Gerusalemme a Lisbona, da Barcellona a Palermo nel prossimo settembre. E’ stato un pellegrinaggio che man mano si è arricchito di uomini e di donne, i quali, pur rispettando le rispettive fedi nella loro diversità, si sono stretti sempre più attorno al comune anelito alla pace. Non è stato sempre facile superare barriere e diffidenze, pregiudizi e incomprensioni radicati. Ma la fedeltà al dialogo e l’amore per l’unità, ha fatto compiere di volta in volta miracoli impensabili. Il dialogo non ha mai appiattito le diverse confessioni religiose in una sorta di minimo comune denominatore religioso. Né c’è mai stata confusione. Al contrario, ogni volta ciascun credente è stato come costretto a scendere al fondo della propria fede e della propria esperienza religiosa. Ma le diversità non sono state motivo per scontrarsi; al contrario, hanno rappresentato una ragione in più per confermare la propria fede e per allargare il proprio cuore alla comprensione altrui.


Ne è nata come una passione per la pace. Del resto il grido di pace dei paesi in guerra veniva portato dentro questi incontri. Come era possibile non ascoltarli? Varie iniziative di pace sono nate da questi incontri, da quella che portò alla pace in Mozambico, all’impegno per l’Algeria, per i Balcani, o all’incontro avvenuto dentro le mura di Gerusalemme tra le tre religioni monoteistiche. Il ritrovarsi per la preghiera ha suscitato inoltre il bisogno di momenti di riflessione e di dibattito. All’ombra della preghiera si sono sviluppati sempre più luoghi e momenti sia per approfondire la conoscenza reciproca sia per la comprensione dei grandi problemi del mondo, cercando piste di intervento e di approfondimento. E’ maturata sempre più la convinzione che il dialogo è non solo una delle frontiere di questo nuovo tempo ma ancor più una costante della vita. Si potrebbe dire che fa parte di quella sapienza che nasce dalla frequentazione del Vangelo. Come negare che il dialogo è forse l’unica strada che può allontanare conflitti laceranti e distruttivi della convivenza umana? In tale orizzonte il dialogo si è allargato anche ai laici e agli uomini di buona volontà. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli appuntamenti che hanno visto credenti e non credenti confrontarsi con grande libertà e tolleranza. Per il mondo europeo in particolare essi assumono un valore non poco significativo. Si tratta, infatti, di raccogliere le diverse tradizioni culturali per porre un argine alla crescita di un individualismo generalizzato che percorre trasversalmente individui e collettività e che conduce inesorabilmente ad una società conflittuale ove il più forte ha sempre ragione sul più debole. Gli stessi ripiegamenti sul proprio gruppo, etnia, regione, nazione, non fanno altro che fomentare rigurgiti di una cultura del disprezzo dell’altro e del diverso da sé.
In tale contesto, “Duc in altum!” allo “spirito di Assisi”. Deve davvero “prendere il largo”, e divenire una condizione permanente della vita. Il sogno ? Una “esistenza dialogale”. Il dialogo non è semplicemente un metodo, una sorta di tecnica nel rapportarsi tra le persone, tra i popoli e tra le nazioni; è piuttosto un modo di vivere e quindi di relazionarsi che richiede pazienza e saggezza, fermezza e tolleranza, curiosità e ricerca. Qui è nascosta la sua forza nel cambiare i cuori e l’esistenza. Giovanni Paolo II lo propone come una nuova conquista spirituale della stessa Chiesa cattolica: “Oggi dobbiamo essere grati allo spirito di Dio, che ci ha portati a capire sempre più chiaramente che il modo appropriato e insieme più consono al Vangelo, per affrontare i problemi che possono nascere tra i popoli, religioni e culture, è quello di un paziente, fermo quanto rispettoso dialogo”.


All’inizio di questo nuovo secolo è ancor più necessario parlare e, soprattutto, vivere il dialogo. Jean Daniel, direttore di “Le Nuovel Observateur”, ha scritto: “la scomparsa degli imperi, cioè del cemento federativo o imperiale, la fine delle ideologie unificatrici, la soppressione delle distanze, ma anche l’immensa pressione di coloro che non hanno niente e bussano alla porta o varcano la soglia di coloro che hanno qualcosa, portano a un’accellerazione del cosmopolitismo nella babelizzazione delle lingue, nella sovrapposizione delle culture e nell’aggressività urbana”. E’ sotto i nostri occhi il fatto che, gente di fede, etnia, cultura diversa, convive nelle stesse città, negli stessi orizzonti nazionali. E se da una parte si perseguono disegni di omogeneità attraverso la pulizia etnica, dall’altra persone diverse vivono insieme senza distruggere le identità nazionali, ma ponendo nuovi problemi. Convivere è la realtà di molti popoli, di molte religioni, di tanti gruppi. E non sempre è facile. Una convivenza con troppe differenze, orizzonti troppo ampi quali quelli della mondializzazione, inducono fenomeni preoccupanti: individualismi irresponsabili, tribalismi difensivi, nuovi fondamentalismi. C’è gente che si sente aggredita e spaesata di fronte a nuovi vicini e a un mondo troppo grande. Donne e uomini spaesati hanno paura del presente e del futuro; chiedono alle religioni di proteggere la loro paura, magari con le mura della diffidenza. Ne nascono fondamentalismi di generi diversi che, come fantasmi, pullulano e inquietano. Crescono anche fondamentalismi di carattere etnico o nazionalista, che giungono sino al terrorismo. I fondamentalismi sono semplificazioni che possono affascinare giovani, disperati, gente spaesata per cui questo mondo è troppo complesso, inospitale, ma che possono interessare politici spregiudicati alla ricerca di scorciatoie per il potere. E i fondamentalismi hanno il marchio dell’odio e della lotta al diverso. Ebbene, le religioni in questo nuovo contesto hanno una responsabilità decisiva nell’evitare i conflitti e nella costruzione della convivenza. Il loro dialogo tesse una trama pacifica, respinge le tentazioni a lacerare il tessuto civile, a strumentalizzare le differenze religiose a fini politici. Ma questo richiede agli uomini e alla donne di religione di essere davvero coerenti. E di avere coraggio e impegno nell’abbattere con la forza morale, con la pietà, con il dialogo, i muri che giorno dopo giorno gli uomini innalzano tra loro. Le religioni sono chiamate ad educare all’amore perché tutti sappiano convivere anche se diversi. E’ un grave compito delle religioni ricordare che il destino dell’uomo va al di là dei propri beni terreni, e si inquadra in un orizzonte universale, nel senso che tutti gli uomini sono creature di Dio. Sappiamo bene che le religioni hanno risposte diverse. Ma il dialogo tra di loro è già un segno di speranza: che gli uomini non si uccideranno più in nome di Dio e non chiameranno Dio per santificare i loro odi. Gli uomini, scoprendo il volto di Dio, scopriranno il valore della pace. Per questo c’è bisogno di un avvicinamento amichevole dei diversi mondi religiosi, per fare emergere il comune messaggio di pace. II dialogo non è perdita di identità: senza identità non c’è neppure dialogo. Attraverso l’incontro degli uomini di religione anzi emerge l’arte del convivere; un’arte divenuta necessaria in una società plurale come la nostra. E’ arte della maturità delle culture, delle personalità, dei gruppi. E’ l’arte di cui oggi c’è bisogno in tante parti del mondo, proprio perché facilmente crescono le passioni conflittuali e identitarie. Nell’icona di preghiera per la Pace di Assisi, e nello spirito che ne è scaturito, si trovano le indicazioni per ritrovare la misteriosa unità del genere umano, e le risorse per decidere della coabitazione pacifica dei popoli e dei gruppi. Amicizia, conoscenza, stima reciproca, resistenza al demone del conflitto. C’è una cultura di Assisi da far rifiorire nello studio, nella pratica, nell’ospitalità. Sì, la via della pace e del dialogo passano per incontri come questi di Assisi. Se non è possibile determinare le scelte dell’altro, a noi resta la fiducia nella forza della preghiera che si sviluppa in un clima di perdono e di concordia. E’ l’insegnamento del Vangelo, seguito da Francesco di Assisi, e dagli incontri che dell’86 si sono realizzati sino a questo del 2002.