Premio San Valentino a David Grossman e Sari Nuseibeh

Premio San Valentino a David Grossman e Sari Nuseibeh


Quest’anno il “Premio San Valentino” è stato assegnato congiuntamente allo scrittore israeliano, David Grossman, e al filosofo palestinese, Sari Nuseibeh. La scelta è stata fatta ancor prima che i noti avvenimenti mediorientali precipitassero; eravamo e siamo, tuttavia, consci che in quella terra si gioca la pace di tutta la terra.


Cosa è pertanto questo incontro e, in fondo, anche questo premio? Prendo in prestito una immagine tratta dal romanzo di Grossamn Un milione di anni fa. L’autore racconta che un bambino, nel bel mezzo dello zoo-safari, mentre il padre cambia una ruota alla macchina, si allontana e sale su un albero, mettendosi a dondolare su un ramo con un grazioso scimmiotto. Il padre, preoccupato che il ramo possa spezzarsi, e per far star buoni i due sventati, si mette a raccontare di come era il mondo un milione di anni fa. Cari amici, vorrei immaginare così questa serata, e questo premio, come un istante almeno di quella fiaba tutta tesa a non far cadere quel ramo.


Le due personalità intervenute – loro sì, sedute su quell’affascinante e terribile ramo – hanno iscritto nella loro vita e nella loro opera il tentativo di renderlo saldo. Sari Nuseibeh, potremmo dire, porta nel sangue l’arte dell’incontro, la passione per la coabitazione, l’attenzione a che ciascuno rispetti i diritti altrui e veda rispettati i suoi. Alla sua famiglia, di tradizione islamica, è affidata la custodia del Santo Sepolcro, luogo cruciale della cristianità, perché sia casa di tutti i cristiani. In quel luogo mentre si mostra l’attaccamento anche fisico da parte dei cristiani, si consuma anche la scandalosa divisione. In questo caso è un musulmano che garantisce la libertà di tutti. Nuseibeh ora, sia come Rettore dell’Università che come Ministro per Gerusalemme in seno al Governo Nazionale Palestinese, unisce all’impegno culturale di scrittore e professore, una fattiva operosità per una pace che sia giusta e duratura per tute e due le parti.


Non è possibile, com’è ovvio, presentare queste due personalità senza parlare delle ferite di un conflitto che sempre più preoccupa l’intera comunità internazionale. Noi tutti viviamo il conflitto israelo-palestinese come se ci riguardasse in prima persona. Ogni sera ne ascoltiamo il “bollettino di guerra”, eppure ogni sera ci convinciamo che un destino di pace, nel mondo, non potrà che scaturire da una risoluzione di questo conflitto.


David Grossman, anch’egli, non ha mai gettato la spugna. E, per un padre di tre figli, non è facile vivere a Gerusalemme senza l’angoscia nel cuore. In un’intervista di qualche tempo fa egli raccontava: “Circa due anni fa è esplosa una bomba in una delle strade principali di Gerusalemme, a cinquanta metri dalla scuola frequentata dai mie due figli maggiori. Per un’ora siamo rimasti senza loro notizie e in quell’ora ho perso dieci anni della mia vita, fino a quando non ci hanno telefonato per dirci che stavano bene”. Ecco cosa significa vivere nel cuore di Gerusalemme: significa poter perdere in un attimo, nel volgere di pochi istanti, dieci anni della propria vita.


E tuttavia, la storia drammatica, con il suo pesante carico di ferite, di assurdità e di stanchezze, non è riuscita ad annientare la forza della fantasia di Grossman, come appare nei suoi scritti. Mai tuttavia ha cessato di gridare: “pace!” Del resto il nome di Gerusalemme è: “Che possa vedere la pace!” Quando Grossman lavorava alla radio – lo ricorda lui stesso – ogni giorno cercava di vedere il conflitto con gli occhi dei palestinesi. Era un’esperienza rischiosa, vista la fatica della maggioranza di cambiare prospettiva, di ribaltare vecchie convinzioni o vecchi e logori sentimenti. Pochi sono disposti a praticare il rischio dell’alterità, il rischio benefico di provare a mettersi nella posizione di chi sta dall’altra parte. Pochi, insomma, sono disposti a capire. A capire, per esempio, che i palestinesi sono costretti a vivere in uno stato di occupazione e che, a lungo andare, le attese ai checkpoints  israeliani, e le altre mille attese, possono anche logorare i nervi. C’è un coraggioso interrogativo di Grossman nel romanzo Il vento giallo: “Come fate voi palestinesi ad avere tanta pazienza? Se fosse capitato il contrario, noi non vi avremmo lasciati in pace un solo secondo!”


Anche per questo vien dato il premio, sebbene il motivo iniziale sia stato l’ultimo romanzo, Qualcuno con cui correre. Il protagonista è un sedicenne di nome Assaf, al quale viene assegnato un compito singolare, e cioè quello di restituire al legittimo proprietario un cane smarrito, e la relativa multa. L’incipit del romanzo è tra i più avvincenti della narrativa degli ultimi anni, perché succede a un certo punto che il cane riesce a liberarsi, per cui Assaf è costretto a rincorrerlo per tutta la città, scoprendo cose incredibili, e dando inizio a quella che si definisce “iniziazione”. Ma è l’amore con la sorella, ossia l’amore fraterno, un amore raramente esaltato, poco coltivato e troppo spesso dimenticato e ferito, è questo amore che sostiene Assaf in questa ricerca terrena e “metafisica” assieme.


Cari amici, questo amore fraterno non indica anche quella via, forse l’unica, che israeliani e palestinesi debbono ritrovare per giungere alla pace? Martin Buber, un grande sapiente ebreo scriveva: “In Palestina, noi non abbiamo mai vissuto con gli Arabi, ma accanto a loro. La coabitazione di due popoli sulla stessa terra diviene fatalmente opposizione, se non si sviluppa nella direzione di un essere-assieme. Nessun cammino permette di tornare ad una pura e semplice coabitazione. E’ invece ancora possibile incamminarsi verso lo “stare assieme”, anche se numerosi ostacoli si sono accumulati su questa via”. Queste parole le pronunciò nel 1929 davanti a un uditorio di personalità sioniste, a Berlino, pochi giorni dopo che decine di ebrei erano stati barbaramente massacrati da alcuni arabi a Hébron.


Le due personalità che sono tra noi questa sera, una israeliana e l’altra palestinese, ambedue copresidenti di People to people, non sono parte di un romanzo. Essi, sono per noi la speranza che la pace è possibile. Come potevamo non dare loro il “Premio San Valentino”?