Predicazione all’apertura del Sinodo valdese e metodista

Predicazione all’apertura del Sinodo valdese e metodista

Salmo 119,1-8; 1 Giovanni 2,1-6


Marco 8,31-9,1


 


Care sorelle e cari fratelli, deputate e deputati delle chiese evangeliche metodiste e valdesi, pastore e pastori, diacone e diaconi, invitati e rappresentati di altre chiese evangeliche provenienti dall’Italia e da altri paesi del mondo, rappresentanti delle Chiese ortodosse e della Chiesa cattolica romana in Italia, quest’oggi, nel Culto di apertura del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, il tema centrale dell’annuncio dell’Evangelo è: “sequela”.


Per questo motivo, all’inizio della predicazione, vorrei ricordare un breve racconto che tanti anni fa lessi in un testo di cristologia del Nuovo Testamento. Il tema riguarda proprio il camminare al seguito di Gesù, per indicare in particolare il ruolo del credente e della credente, e direi anche il ruolo della Chiesa.


 


“Se in una valle di alta montagna all’improvviso cade una fitta nevicata, il bambino che era andato dalla nonna per una visita, non può più tornare a casa. Ma il babbo, che torna a casa dal lavoro, lo va a prendere, e precedendolo gli apre con la sua forza la strada attraverso la neve caduta. Il bimbo lo segue calcando passo per passo le stesse orme del padre, ma con andatura diversa. Se il padre volesse essere soltanto di “modello” al figlio, allora il figlio dovrebbe aprirsi la propria strada di fianco, a dieci metri, e nello stesso tempo imitare il padre soltanto nel metodo con cui compie la sua fatica. Se il padre volesse essere “rappresentante” di suo figlio nel senso proprio del termine, allora questi rimarrebbe presso la nonna e penserebbe: il babbo va a casa al posto mio.”


Cosa deve fare il bambino? Egli va a casa ed è felice di giungervi, fa un cammino cercando di uniformare il proprio passo a quello del padre, ma “dietro”. “…si uniforma in modo tale che osservando impara ciò che il padre fa davanti a lui e cerca di imitare passo per passo ciò che vede.”[1]


 


Questo racconto ci permette di comprendere cosa vuol dire essere oggi dei credenti e vivere come la comunità dei credenti:


 


Gesù Cristo è “colui che cammina davanti a noi”

 


Carissimi, vi chiedo di trattenere questa immagine così fondamentale della Bibbia: quella del camminare. Essa è presente nei momenti cardine della storia dell’incontro tra Dio e l’umanità.


Dio incontra Abramo e gli chiede di “mettersi in cammino” per andare in un paese che Egli gli indicherà.


Dio incontra Mosè sul monte Oreb e lo chiama perché ritorni in Egitto per rendere possibile il “cammino” del popolo verso il paese della promessa.


Nel Nuovo Testamento, Gesù incontra molti da Levi il pubblicano a Pietro il pescatore per chiamarli a mettersi in “cammino” con lui, affinché il mondo possa conoscere l’annuncio del Regno di Dio che giunge.


 


L’inizio di questo cammino è costruito da Gesù nell’incontro con donne e uomini del suo tempo. Ma questo inizio è caratterizzato da una parola paradossale:


“se vuoi seguire, se vuoi camminare dietro a me, devi rinnegare la tua vita e portare la croce”.


Le parole “rinnegare” e “croce” colpiscono ogni lettore biblico per la loro forza dirompente tanto da capire che nel seguire il Maestro non è possibile avere delle vie di fuga e dei luoghi ove trovare lo spazio per la propria libertà umana. Tutto viene mescolato e tutto viene relativizzato perché il cammino dietro al Signore è fatto solo di abbandono di sé e di giudizio sul proprio vivere.


Ma abbandono per rinnegare se stessi e per accettare il giudizio della croce sulla propria vita, vuol dire porre un ostacolo sul nostro cammino. Il paradosso diviene come una pietra di inciampo, tanto che nella storia dell’interpretazione di questo testo biblico molti hanno cercato di superare l’ostacolo posto da Gesù rendendo più fragile la forza della frase ritenendola una metafora del vivere cristiano più che una radicale trasformazione di questa vita.


Altri, invece, hanno accettato il paradosso affermando, con la classica frase del nostro popolo meridionale di fronte alle tragedie del vivere umano: non vi è nulla da fare per opporsi al tragico destino, nella vita umana bisogna rassegnarci e non è possibile opporsi al destino nefasto. Il portare la croce diviene la tipica indicazione per il cammino nella rassegnazione.


 


Io credo che dobbiamo scartare queste o altre letture perché non è possibile eliminare il paradosso in quanto esso stesso costituisce il compendio della vita cristiana. Un cristianesimo che non accetta queste due condizioni, cioè rinnegare se stessi e portare la croce, rimane solo una idea astratta, una ideologia del momento. Il riformatore Giovanni Calvino scriveva: “Non apparteniamo a noi stessi: la nostra ragione e la nostra volontà non dominino dunque nei nostri propositi e in ciò che dobbiamo fare. …. Al contrario, apparteniamo al Signore: la sua volontà e la sua sapienza presiedano dunque a tutte le nostre azioni.”[2]


 


Il cammino della nostra vita, che accetta il paradosso indicato da Gesù, diviene ancora più radicale quando il Signore rovescia i termini forti del vivere:


“…chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà.”


Dopo il paradosso, ecco l’assurdo: camminare dietro Gesù vuole dire vivere in un sistema di vita che assume i contorni dell’impossibile perché il guadagno sta nel perdere. Assurdo perché tutta la nostra esperienza umana e di Chiesa sta ad indicare qualcosa di altro; i nostri propositi e i nostri progetti si basano sulla esaltazione della vittoria, del guadagno e della conquista. Vi è una sete irresistibile di successo, tanto che la tensione di molti è quella di realizzare, durante il cammino del proprio vivere, solo fatti importanti e vincenti.


Molte volte, proprio per amore del vangelo (se poi non sia veramente per amore di se stessi…!) assumiamo delle decisioni, anche come Chiesa, che mirano a conquistare e affermare la nostra forza più che la sconfitta e la nostra debolezza. Il cammino nel dialogo ecumenico, ad esempio, è segnato troppe volte dal progetto dell’imporre se stessi invece di “perdere tutto per amore del Signore Gesù”.


 


Questo assurdo evangelico costituisce la parte essenziale dell’annuncio evangelico accolto da chi si mette in cammino dietro Gesù. Non è possibile allontanarlo. Ma esso mette in luce tutto quanto è nostro: il cammino di una Chiesa che si illude di seguire Gesù mentre insegue i propri valori umani; illusione di essere Chiesa “discepola” mentre si opera per essere Chiesa detentrice di ogni verità sulla vita della umanità.


 


Il nostro cammino dietro a Gesù è fermato da questo paradosso e da questo assurdo, e la sequela diviene impossibile perché per realizzarla realmente occorre adeguare il nostro passo a quello di Gesù: rinnegare se stessi, prendere la croce e perdere la vita!


È praticabile questa via? È una via valida da indicare ai credenti di ogni tempo? È all’ordine del giorno del nostro progetto di Chiesa? È la strada per sbloccare la paralisi della nostra vita di chiese evangeliche in Italia, oggi?


 


Un mio giovane amico mi ha detto, dopo avergli spiegato cosa vuol dire “sequela” nell’evangelo:


“Belle parole, caro pastore, ma nella quotidiana esistenza altre vie e altre mete sono invece quelle praticabili e auspicabili. Nessuno può accettare di rinnegare, essere reietto (la croce) e perdere ogni cosa. Nessuno oggi viene formato per diventare adulto partendo da questo paradosso e da questo assurdo.”


 


Si potrebbe sconfessare il mio giovane amico? Chi di noi ogni giorno non cerca di affermare se stesso, le proprie idee, i propri progetti? Chi di noi vive di vera “agape”, cioè l’amore nel dono piuttosto che di ”eros”, cioè l’amore nella conquista? Chi di noi, anche a dimensione comunitaria, accetta di educare le nuove generazioni seguendo la linea indicata da Gesù?


Sorelle e fratelli è necessario accettare le parole di Gesù come un annuncio senza seguito di realizzazione; accettare che in noi vi è la convinzione della impossibilità nel “camminare come egli camminò”; accettare di non essere uomini, donne e Chiesa caratterizzati da uno spirito di totale rinuncia. In fondo non siamo esseri straordinari perché le condizioni della “sequela” portano allo straordinario e all’impossibile.


 


Ma Gesù non vuole degli eroi della fede. Non vi è e non deve esserci eroismo al seguito di Gesù, solamente “andare dietro”. Questo è importante ricordare quando, rileggendo il Nuovo Testamento, scopriamo che la sequela subisce un netto cambiamento con la morte e la resurrezione di Gesù: non è più un girovagare al seguito del maestro, perché la presenza del Signore è e sarà sempre più presenza dello Spirito Santo. Questa presenza è forte come forte ci appare la realtà delle nostre debolezze e fragilità.


Lo Spirito Santo, allora, ci permette di porre ascolto all’annuncio evangelico: siamo stati conosciuti e siamo stati amati da Dio in Gesù Cristo quando eravamo peccatori. Non siamo noi che abbiamo deciso un giorno di camminare come Cristo camminò; non siamo noi che con il libero arbitrio abbiamo deciso di fare nostro il progetto del Regno di Dio; non siamo noi, perché su questa via non vi è guadagno. È lo Spirito Santo che ci ha fatti nascere di nuovo e ci ha posti con determinazione sul cammino del Signore Gesù.


Possiamo allora accettare di essere discepoli condizionati da tante debolezze e fragilità, perché solo nella condizione di discepoli conosciuti e perdonati dal Signore diviene possibile la sequela, non altrimenti. Il Signore non vuole eroi e martiri, solo uomini e donne consapevoli di essere chiamati a camminare con Lui.


 


In questa condizione ci mettiamo in cammino. Cristo ci ha trovati e ci ha chiamati. In questo incontro ogni nostra pretesa di successo e di vittoria nella vita è stata uccisa e, come dirà l’apostolo Paolo, “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”


Ci mettiamo in cammino, cammino di santità con un crescendo di fatti concreti, ponendo paletti sul cammino per indicare ad altri la via verso il Regno di Dio.


Jhon Wesley affermava: “Dal momento in cui siamo giustificati potrà esservi una graduale santificazione o crescita nella grazia, un avanzamento quotidiano nella conoscenza e nell’amore per Dio.”[3]


Si tratta di un progresso di spiritualità di cui oggi tutti noi e le nostre chiese abbiamo necessità, direi, abbiamo urgenza. È un cammino in novità di vita senza le paure di una Chiesa titubante e sempre perplessa riguardo ai doni ricevuti dallo Spirito Santo.


Una crescita e un progresso nella gioia della fede testimoniata e della pratica dell’amore. Una crescita anche costruttrice di giustizia, in questo mondo, perché la Parola predicata e testimoniata non può non produrre frutti di santità affinché il mondo abbia pace. E di pace il nostro mondo ne ha bisogno dopo le tragedie di queste ultime settimane!


Crescita e progresso sempre sottoposto alla criticità, perché quello che deve essere portato non è la bandiera della propria identità cristiana, né tanto meno della propria identità ecclesiastica (chi ricerca l’identità è solo colui e colei che è debole), ma la croce di Cristo. Essa è il punto di partenza della fede o l’asse intorno al quale gira il mondo, ma in particolare ci accompagna ogni giorno affinché la nostra fedeltà al Signore sia veramente al Signore.


Camminare come Cristo ha camminato …. qui vi è la forza/umiltà della nostra fede, del nostro amore e della nostra speranza.


 


Sorelle e fratelli. Il Sinodo delle nostre chiese metodiste e valdesi fa da spartiacque riguardo alla vita delle nostre comunità. Forse diamo una importanza sproporzionata ai giorni che sono davanti a noi perché li consideriamo come se il presente e il futuro delle nostre chiese si debbano giocare e realizzare solo in questi giorni, come se non ci fosse un prima e un dopo Sinodo.


Comunque sia, in questi giorni la Parola del Signore ci chiede di ritrovare il nostro incontro con Lui e di metterci in cammino senza preoccuparci se tale cammino sarà fatto di corsa oppure fatto con estrema lentezza, se avremo una fede da trasportare i monti o una fede che si manifesta nella debolezza che è in noi. Questo cammino è così segnato dal potere dello Spirito Santo che fa ogni cosa nuova, e oggi il Signore ci incontra per rendere possibile un nuovo cammino e ci ricorda di andare dietro a Lui solo.


Questo messaggio è ancora più importante per voi, candidate e candidati al ministero pastorale. A voi si chiede oggi, e si chiederà sempre, di assumere la responsabilità nell’indicare ad ogni donna e ad ogni uomo il cammino al seguito del Signore, indicare la via del rinnegamento di sé e la via della croce accettando di perdere tutto per amor del vangelo. A voi è chiesto di predicare questo paradosso e questo assurdo affinché il dono dello Spirito Santo possa produrre frutti abbondanti di giustizia e di pace nella Chiesa e nel mondo. A voi è chiesto di non cadere nella tentazione di avere potere, ma di camminare dietro al Signore come discepole e discepoli raggiunti dalla forza dello Spirito Santo che è forza di resurrezione.


Amen

IL SINODO 2005