Pasqua 2007 – Messa Crismale

Pasqua 2007 - Messa Crismale

Care sorelle e cari fratelli,


 


la Messa del Crisma è un momento particolare nella vita delle diocesi: è una liturgia, come sapete, che si celebra solo nelle cattedrali e vede raccolti tutti i sacerdoti attorno al vescovo. La liturgia evidenzia in maniera chiara sia l’unità della comunità diocesana con il vescovo, i sacerdoti, i diaconi e i fedeli attorno all’unico altare, sia la maternità della Chiesa. Infatti, gli Olii Santi, consacrati dal vescovo in questa liturgia solenne, partono di qui, dalla cattedrale, per raggiungere tutte le comunità parrocchiali ed essere il segno di quell’amore materno che vede la Chiesa piegarsi teneramente sui suoi figli. La cattedrale appare come la madre delle altre comunità particolari, come la casa da dove in certo modo tutto nasce e a cui tutto torna. Ecco perché la cattedrale non appartiene a nessuna comunità particolare – talora non è neppure parrocchia – perché è di tutte. E’ la casa della diocesi. Questa convinzione mi ha spinto a renderla bella, accogliente, splendente. Vi dissi fin dal mio ingresso: voglio che sia il segno della bellezza della nostra Chiesa. Sì, una Chiesa bella che va onorata e rispettata, amata e difesa, ricordata nelle nostre preghiere e contemplata. E, con qualche orgoglio, nonostante tutti i nostri limiti, ho ascoltato le parole compiaciute del Papa di fronte alla relazione inviatagli per la visita ad limina.  Sono lieto, care sorelle e cari fratelli, di accogliervi quest’anno in una cattedrale ancora più bella di prima. Desidero che tutti entrando qui ci sentiamo bene come i figli nella loro casa. Non che vogliamo fermarci tra noi, ma per stringerci ancor più al Signore e allargare il nostro cuore e il nostro sguardo sulla sua misura. E la presenza del vescovo Federico, dell’Uganda, che saluto con tutto il cuore, sta a ricordarci l’universalità dell’amore cristiano che non conosce confini di alcuna natura. Sentiamo tutti che è importante riunirci in questa celebrazione. E la vostra partecipazione, cari sacerdoti, sta a dire il valore che voi stessi date a questo incontro. E così pure i diaconi che ci fanno corona. Come non gioire nel vedere il presbiterio riunito?


Ma per la nostra Diocesi, la celebrazione della Messa crismale, ha una motivazione in più che la rende significativa: la presenza dei membri dei consigli pastorali. In tal modo emerge ancor più chiaro il mistero della Comunione che il Signore ci dona, tanto da dire con Pietro: “è bello per noi stare qui”. Sì, è bello stare qui assieme perché vediamo una comunione concreta, fatta di volti e di storie diverse, ma uniti dall’unico Spirito sino a formare unico corpo. E questo corpo, che la nostra Chiesa diocesana, abbiamo bisogno di vederlo. Se rimanessimo solo nelle nostre realtà locali perderemmo quel respiro diocesano che non solo frena la dispersione e l’inaridimento ma allarga il cuore. Sento urgente, care sorelle e cari fratelli, che la nostra comunione sia concreta, visibile, sperimentabile e quindi vera. E non può non rattristarci il permanere di individualismi e di particolarismi anche pastorali. Il protagonismo ferisce la comunione e impoverisce la stessa azione pastorale. La comunione effettiva tra noi è la garanzia della efficacia del nostro lavoro. E’ in questa prospettiva che si inserisce anche la nuova Lettera Pastorale alla cui stesura ho voluto che tutti voi contribuiste. Al termine della Liturgia accoglierò il lavoro di riflessione svolto in questo senso dai Consigli Pastorali. Anche per le prime due Lettere ho voluto coinvolgere clero, religiosi e laici; e debbo dirvi che ne ho tratto non pochi benefici. Questa volta, anche con questo gesto odierno, vorrei sottolineare ancor più la necessità della comunione effettiva nella vita della nostra Chiesa diocesana. L’elaborazione comune di linee pastorali che dovranno guidare il cammino dell’intera diocesi sottolinea l’indispensabilità di una effettiva comunione. E’ la comunione infatti che rende il vescovo servo e non padrone, i sacerdoti collaboratori e non isolati protagonisti e i laici responsabili e non passivi fruitori. Tutti, care sorelle e cari fratelli, ciascuno secondo il proprio carisma, siamo responsabili dell’unico Corpo di Cristo che è la Chiesa, e tutti dobbiamo cooperare perché questo corpo cresca nella statura di Cristo. La Chiesa è il Corpo di Cristo, oggi. E come Gesù deve parlare, vivere e amare.


Vedo una provvidenziale coincidenza tra la liturgia crismale e il contenuto della lettera Pastorale. Il Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato esprime la centralità dell’amore nella missione stessa di Gesù. E’ quel che appare nella prima predica a Nazareth. Gesù legge il brano del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore”. Terminata la lettura Gesù commenta: “Oggi, si compie questa parola che voi avete udita con i vostri orecchi”. Care sorelle e cari fratelli, anche noi dovremmo dire da questa cattedrale: “Oggi, si adempiono queste parole”. La nostra Chiesa diocesana deve parlare questo stesso linguaggio, e quindi tutti dovremmo dire alla gente di Terni, Narni e Amelia: “Lo Spirito del Signore è su di me…mi ha mandato a portare un lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati…”. Questa è la missione che viene affidata alla Chiesa: amare tutti, partendo dai più deboli. L’anno di grazia, perciò, è giunto perché gli anziani sono aiutati, i senza casa sono ospitati, gli zingari non sono cacciati, i malati sono accompagnati, i carcerati sono visitati e ai poveri viene comunicato con i fatti che sono amati da Dio. Questa vocazione della Chiesa vorrei emergesse nella Lettera Pastorale. Tutti dobbiamo prenderne coscienza. Tutti dobbiamo ripartire da quella prima predica, ossia dall’amore.


Care sorelle e cari fratelli, la nostra Diocesi (le nostre parrocchie), è chiamata ad essere una Madre che sa fasciare e curare i cuori feriti e abbattuti, ad essere una Maestra che sa indicare la strada della verità dell’amore. E’ questa la Chiesa indicata dal Vangelo e che noi vogliamo vivere in questo tempo. Sì, una Chiesa che sia Madre e Maestra per tutti, e che proprio per questo gode della simpatia di tutto il popolo, come scrivono gli Atti degli Apostoli della comunità di Gerusalemme, assieme all’odio dei persecutori. E’ un compito che spetta all’intera comunità diocesana. Ma non c’è dubbio che a me vescovo e a voi sacerdoti questa vocazione è affidata in maniera tutta particolare. Ed è anche per questo che nella Liturgia crismale è previsto il rinnovo delle promesse sacerdotali fatte nel giorno della consacrazione. Voi, cari sacerdoti e cari diaconi, le rinnovate davanti al Signore mentre siete circondati dai fedeli. E’ un momento pieno di commozione. E’ bello vedervi assieme e ancor più bello sentire quell’unica risposta fatta con la bocca di ciascuno che si unisce in un unico suono, in un’unica risposta. C’è una bellezza nel vederci gli uni accanto agli altri. Anche chi non può esserci lo sentiamo vicino. Mons. Gualdrini mi ha pregato di porgere a tutti il suo saluto. Ricordo anche don Maurizio, don Sergio e don Leopoldo, che sono a Ntambue; don Stefano in nunziatura nelle Filippine e don Riccardo in vista in Africa; don Luca che ha avuto proprio oggi la sorella morta e don Diego che l’ha gravemente malata. Preghiamo per i sacerdoti malati e i più anziani, mentre ricordiamo don Marconi che abbiamo accompagnato nella casa del Padre. Dicevo che c’è una bellezza nel presbiterio riunito, la cui radice sta nel comune sacerdozio che ci rende fratelli gli uni degli altri. Più volte abbiamo riflettuto quest’anno sulla nostra fraternità sacerdotale. E’ un tesoro che dobbiamo gustare di più e far crescere. Sappiamo che ci aiuta nella nostra vita quotidiana sia spirituale che pastorale. La fraternità è come l’amore: superare i limiti che ciascuno di noi ha, ci conforta, ci rende più sereni, ci illumina e copre anche le colpe. Ed è anche una luce per i nostri seminaristi i quali sono spronati sulla via del sacerdozio vedendo quanto ci vogliamo bene. Sono particolarmente lieto nell’apprendere che in qualche vicaria si tiene regolarmente l’incontro comune come a Terni, e a Narni addirittura settimanale. E aspetto con ansia che la casa di Amelia sia pronta per sostenere la vita fraterna dei sacerdoti. Non dobbiamo dimenticare che la fraternità diviene effettiva se è praticata.


Carissimi sacerdoti, sostenuti da questa fraternità, potremo con più facilità compiere la nostra missione di essere padri e pastori. Direi, anzi che la Chiesa potrà essere madre e maestra se noi siamo padri e pastori. Sì, essere padri che sanno amare, commuoversi, comprendere, curare, generare alla vita cristiana; ed essere pastori che sanno comunicare al cuore della gente la Parola di Dio, sradicando così le radici amare dell’individualismo e della violenza e far crescere l’amore. Se saremo padri e pastori aiuteremo la Chiesa ad essere madre e maestra. Il tempo che viviamo è segnato da una grande solitudine, come viene rappresentato nella parte bassa dell’affresco della parete di fondo, e le città sono inquinate dentro e fuori. C’è bisogno di una Chiesa che testimoni la forza del Vangelo che libera dalla violenza e dalla morte. In questa via noi sacerdoti gusteremo il senso delle antiche parole, “Venite, vi farò pescatori di uomini” e tutti comprenderemo la parabola che dice: “Il regno dei cieli è simile ad una rete che raccoglie gli uomini”. E’ il senso dell’affresco che mostra Gesù “buon pastore”, colui che ci salva e ci rende partecipi di questo mistero.