Padre Massimiliano Kolbe ad Amelia

Padre Massimiliano Kolbe ad Amelia

Nel giorno del mio ingresso ad Amelia, come avevo già fatto sia a Terni che a Narni, prima di entrare nel Duomo della città, feci la visita nell’ospedale. Desideravo salutare i malati, uno ad uno. E giunsi anche in una stanzetta ove mi trovai davanti ad un anziano. Appena mi chinai per salutarlo cercò di alzarsi e con voce debole ma decisa mi disse subito: “Ho conosciuto qui ad Amelia San Massimiliano Kolbe…e mi ricordo gli scherzi che gli facevamo tirandogli i sassolini ai vetri della sua finestra…lui però non si arrabbiava”. Mentre mi parlava i suoi occhi si illuminavano di un comprensibile orgoglio. E si lamentava che non gli avevano portato la dentiera: non poteva narrarmi bene i ricordi di quell’antico, e santo, amico. Venni quindi a sapere allora che padre Kolbe aveva soggiornato nell’episcopio di Amelia. Appena giunto nella piazzetta antistante il Duomo vidi subito anche la lapide posta sul portale dell’episcopio a ricordo del soggiorno di San Massimiliano. Mi tornò in mente la cella del campo di Auschwitz, che avevo visitato qualche tempo prima. E anche quella piazzetta si tinse di un colore nuovo per me che la vedevo per la prima volta.


Sono particolarmente lieto di questa pubblicazione che ci fa rivivere la piccola vicenda amerina del giovane sacerdote polacco chiamato dal vescovo di Amelia, suo amico, mons. Francesco Berti, a trascorrere un po’ di vacanze con lui. Leggendo queste pagine, riusciamo a cogliere anche tra noi, tra le nostre strade, le nostre piazze, le nostre chiese e le nostre immagini sacre, le tracce di questo martire dell’amore del Novecento. Le numerose foto che danno corpo alle semplici e suggestive note del suo diario ci aiutano a comprendere meglio quei sentimenti che si affacciavano nell’animo di Massimiliano già travolto dall’amore per la Madonna, o “Mammina” come scrisse nel diario. E’ esagerato pensare che queste poche pagine possono arricchire il bagaglio di conoscenza e di amore per questa nostra terra? Confesso che per me sono state di aiuto. Mi piace pensare, ad esempio, alla sorpresa di Massimiliano, mentre entrava in Amelia, nel leggere la lapide: “Civitas Beatae Mariae Virginis”. Lui lo nota nel diario. E, senza dubbio, fu un motivo in più perché questa città gli restasse nel cuore. Come può averlo accompagnato la visione della cittadina arroccata sul monte e il vasto orizzonte circostante. Dal palazzo dell’episcopio che domina l’intera vallata poteva ammirare, come lui scrive, “i meravigliosi dintorni montuosi”. E lo colpirono le visite fatte assieme al vescovo nelle diverse località, come Foce e Macchie. Con curiosità nota la partenza dall’episcopio della piccola comitiva con il vescovo a cavallo e gli altri sugli asini. Erano “passeggiate poetiche”  – così le ricorda – che rimasero scolpite nel suo cuore. E chissà se, mentre viveva il dramma del campo di concentramento di Auschwitz, non gli siano tornate in mente queste “passeggiate poetiche” e quei “meravigliosi dintorni montuosi” come dolce consolazione che questa terra poteva recargli ancora! Forse ci fa bene pensarlo.


Un testimone del campo di Aushwitz racconta che Massimiliano soleva dire: “Se devo morire, vorrei che accadesse nel giorno della festa della Madonna”. E avvenne così. Sono andato a vedere le note del 14 agosto ad Amelia. E sono rimasto colpito. Il giovane Massimiliano scrive: “Non confidare affatto in te stesso; tutto puoi in colui che ti da forza (Fil 4, 13) attraverso l’Immacolata; quanto più ti senti debole, tanto più sei forte”. Era il 14 agosto 1918. Queste parole saranno vere in pienezza il 14 agosto 1940. E, come ha detto Giovanni Paolo II: “Padre Kolbe non subì la morte, ma donò la vita, come Gesù”. Quel 14 agosto, la forza terribile del mistero dell’iniquità fu sconfitta dalla fortissima debolezza di Massimiliano. Anche attraverso quel piccolo e stremato discepolo, che tanti anni prima aveva vissuto con noi ad Amelia, il male fu sconfitto dall’amore. Massimiliano si è lasciato condurre, per il suo ultimo viaggio, da quell’amore che lo aveva coinvolto sino al punto da spingerlo ad offrire la sua stessa vita per l’altro. Fra Ladislao, presente quel giorno ad Auschwitz mentre i dieci condannati a morte si incamminavano verso le camere a gas, racconta: “Le dieci vittime mi passarono davanti e vidi che Padre Kolbe barcollava sotto il peso di uno degli altri condannati, poiché egli sosteneva quest’uomo che non era in grado di camminare con le sue forze”. E Ted Gajowniczek, l’uomo per cui Kolbe ha dato la sua vita, impietrito di fronte a tale amore, sottovoce, diceva: “Ho appena assistito ad un evento straordinario: un uomo è diventato santo”.


Il 15 agosto del 1918, nel diario, padre Kolbe, nel palazzo episcopale di Amelia, aveva annotato: “Assunzione della B.V.M.: Lasciati condurre”. Racconta uno degli compagni di Kolbe: “I corpi (dei dieci uccisi) dovevano essere portati al forno crematorio la mattina del 15 agosto. Alcuni dei miei amici furono incaricati di portarli fuori nelle casse di legno. Mi dissero: ‘guarda attentamente: il primo che portiamo fuori sarà padre Massimiliano’. Rimasi a guardare. Mentre passavano, mi tolsi il berretto rigato da prigioniero, anche se questo era proibito. Nessuno se ne accorse. Ero ben nascosto. Dovevo guardarlo andare così al forno crematorio…”. In verità, Massimiliano veniva raccolto dalle mani di Maria e condotto nel cielo. Qualche anno prima aveva detto: “Mi piacerebbe essere ridotto in cenere per la Vergine immacolata e che questa cenere venga spazzata via dal vento per tutto il mondo”. 


Questo piccolo libro è un aiuto a spargere ancora una volta nella nostra terra l’amore straordinario di Massimiliano. Egli, testimone d’amore nel drammatico Novecento, può aiutare anche noi, all’inizio di questo nuovo secolo, a trovare la via giusta per un futuro di pace, di giustizia e di amore.