Ordinazione sacerdotale di Marco Decesaris, Stefano Monai, Sergio Rossini

Care sorelle e cari fratelli,

i nostri occhi sono ancora pieni della visione del pellegrinaggio che ci ha visti numerosissimi ieri uniti attorno al Papa, e voi, carissimi Marco, Stefano e Sergio, venivate benedetti da lui. Questa santa liturgia, durante la quale sarete consacrati al Signore, è un momento di festa e di gioia per tutti. Lo è certamente per voi, e siamo lieti di starvi accanto e di gioire con voi. Ma coloro che davvero debbono far festa questa sera sono coloro ai quali il Signore vi invia per essere nutriti, sostenuti, accompagnati, amati. Sì, sono loro che anzitutto gioiscono di quanto sta accadendo questa sera. Forse né li vediamo né li conosciamo, ma la ordinazione di nuovi sacerdoti riguarda soprattutto loro.
E’ una riflessione che faccio a partire dalle parole che aprono il brano del libro dell’Esodo che in questo giorno ci è stato proposto: “il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua” ed era così esasperato da pensare con nostalgia al tempo della schiavitù. Non è una notazione lontana da noi. Anzi, sembra descrivere la condizione nella quale vivono oggi tanti uomini e tante donne, tanti adulti e tanti giovani, tanti anziani e tanti bambini. In effetti, m anca l’acqua dell’amore, l’acqua della felicità, l’acqua della solidarietà; la vita è diventata spesso un deserto di amore ove ciascuno pensa solo a salvare se stesso. Ieri abbiamo portato davanti al papa la sete di lavoro, di stabilità, di sicurezza, che preoccupa tante famiglie tra noi. Ma possiamo allungare la lista delle seti: quanti hanno sete di essere amati, di essere ascoltati, di essere considerati, qui, nella nostra terra! E, se allarghiamo lo sguardo, quanti nel mondo hanno sete di pace, di libertà, di una vita che non sia segnata dai bombardamenti, dalla fame, dalla violenza! Chi risponderà alla sete di tutti costoro? “Chi manderò”, dice il Signore? “Eccomi, manda me”(Is 6,8) rispose il profeta prefigurando la risposta piena e definitiva di Gesù.
Carissimi Marco, Stefano e Sergio, anche voi avete risposto positivamente. E il Signore, come fece con Mosé, vi chiede di “passare davanti al popolo”, ossia di non spendere la vita per voi stessi, per i vostri disegni, per i vostri sogni, per realizzarvi, vi chiede di partecipare ai suoi disegni, ai suoi sogni, all’opera di salvezza del suo popolo, come aveva fatto con Mosé e vi invia perché abbiate davanti ai vostri occhi le numerose domande di amore, di aiuto, di sostegno che occupano i cuori degli uomini. E’ lo stesso invito che Gesù fece ai discepoli: “Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura”. L’immagine è diversa da quella dell’Esodo ma dice la stessa cosa: c’è bisogno di persone che dedichino la loro vita a rispondere alla sete di amore che c’è nel mondo. E vi manda in suo nome. Vi invia perché come lui vi sediate accanto ai cuori degli uomini e delle donne come lui fece quel giorno al pozzo di Samaria. Alzò gli occhi da sé, era davvero stanco e assetato, vide la solitudine e il vuoto del cuore di quella donna e divenne fonte d’acqua viva per lei.
Carissimi Marco, Stefano e Sergio, siete ordinati per essere “roccia” da cui sgorga l’acqua viva e per dissetare la sete di amore della gente che vi viene affidata o che comunque incontrerete. E’ un compito da far tremare i polsi. E, se lo comprendessimo davvero, dovrebbero uscire dalla nostre labbra le stesse parole della giovane di Nazaret appena le fu annunciato che sarebbe diventata la Madre di Gesù: “Com’è possibile?”. In effetti, è impossibile agli uomini. La Chiesa che conosce bene la nostra povertà e la nostra fragilità, non a caso vi chiede questa sera, prima di procedere all’ordinazione, di prostravi a terra. Vuole ricordarvi che siete deboli e fragili.
Ricordatevi sempre – e ricordiamocelo anche noi, cari sacerdoti e diaconi – ricordiamoci sempre che la prostrazione dobbiamo farla durare per tutta la vita, altrimenti la tentazione dell’orgoglio, la tentazione di sentirci padroni e non servi, spunta subdola e veloce. E avvelena la fonte. E’ questo il senso della obbedienza che il vescovo vi chiede. Non si tratta semplicemente di una norma etica o di un prezzo da pagare. E’ la disposizione del cuore a lasciarsi guidare da Dio e non da se stessi. Possiamo applicare anche a noi sacerdoti quello che san Francesco chiedeva ai suoi frati: “Vi sono molti religiosi che, col pretesto di vedere cose migliori di quello che ordinano i loro superiori, guardano indietro e ritornano al vomito della propria volontà. Questi sono omicidi e sono causa di perdizione per molte anime con i loro cattivi pensieri”(FF 151).
Il Signore viene in nostro aiuto. E ci dona la ricchezza del suo spirito. Per questo, subito dopo la prostrazione il vescovo impone su di voi le mani seguito da tutti i sacerdoti. E’ un momento solenne e pieno di silenziosa preghiera. In quel momento venite uniti in maniera forte e fraterna all’unico presbiterio di questa Chiesa. E con la preghiera consacratoria il vescovo invoca su di voi la pienezza dello Spirito Santo perché veniate consacrati alla vita sacerdotale. Sono parole antiche. Risuonano da quindi secoli sul capo di tutti i sacerdoti della Chiesa latina. Il vescovo chiede che si rinnovi su di voi l’effusione dello Spirito Santo, una effusione che avete già ricevuto nei tre sacramenti della Iniziazione cristiana. Ora, quello stesso Spirito viene invocato perché siate conformati a Cristo, buon pastore, maestro, sacerdote e servo. La vestizione degli abiti sacerdotali, gesto che ripeterete ogni giorno prima della celebrazione, sta ad indicare questo nuovo avvolgimento dello Spirito Santo che vi rende ministri non di voi stessi, ma della Chiesa. Il libro del Siracide (50,11) descrive così il sommo sacerdote: “Quando indossava i paramenti solenni, quando si rivestiva dei paramenti più belli, salendo i gradini del santo altare dei sacrifici, riempiva di gloria l’intero santuario”.
Vestiti degli abiti sacerdotali venite unti nelle palme delle vostre mani perché siano le mani di cristo che consacra, di Cristo che battezza, di Cristo che assolve, di Cristo che serve i poveri, di Cristo che non conserva nulla per sé e che tutto dona per gli altri. Quel crisma che il vescovo vi spalma siano per voi le stigmate di Cristo. Con le mani così benedette potete ricevere il pane e il vino per la consacrazione con questa splendida esortazione del vescovo: “Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebri, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”.
Carissimi, Marco, Stefano e Sergio, è a questo punto che il vescovo vi abbraccia con le sua mani e assieme a lui tutti i sacerdoti. E’ l’unico presbiterio che il Signore ha scelto per servire questa Chiesa e attraverso di essa tutte le Chiese e il mondo intero. Abbiatene cura. Sì, ve lo dico in questo giorno santo: abbiate cura che la fraternità tra i sacerdoti sia sempre santa, che l’amicizia evangelica cresca tra voi, si irrobustisca e sia tenuta in attenta considerazione. Non si può essere preti da soli. E noi, cari confratelli sacerdoti, questa sera, accogliamo con gioia questi tre nuovi fratelli. Sono per noi un aiuto straordinario. Aiutiamoli con l’esempio e le parole. Ve li affido. E voi carissimi fedeli ringraziate con noi il Signore per questi tre sacerdoti novelli. Pregate per loro.
Carissimi, Marco, Stefano e Sergio, voi conoscete questa vostra Chiesa diocesana, siete suoi figli fin dalla nascita. Oggi ne diventate presbiteri, fratelli maggiori chiamati a farla crescere nella santità e nel numero. La storia della nostra Chiesa è molto più antica di noi tutti: ci precede e ci oltrepassa. E’ una storia santa che va conosciuta, amata e difesa. Voi venite ordinati in un momento particolare di questa storia che in certo modo è racchiusa nel volume che ieri ho consegnato al Santo Padre e che raccoglie le cinque lettere pastorali. Esse sono il frutto di un lavoro collegiale, sinodale, che deve informare anche il vostro ministero pastorale e la stessa vostra spiritualità. Per questo dovete leggerle, sudiarle attentamente, seguirne le indicazioni e coglierne lo spirito che le anima. Ieri il Santo Padre ha voluto citare la prima di esse, L’Eucarestia salva il mondo, dicendo che è dall’Eucarestia che tutto promana. E, durante i brevi saluti ancora una volta ha voluto dirmi che questa importazione pastorale è davvero felice. E’ una piccola conferma del nostro cammino che oggi viene anche a voi consegnato. L’Eucarestia resti il cuore pulsante del vostro sacerdozio. Di qui tutto nasce e qui tutto torna, la vostra missione, la vostra azione pastorale e lo stesso impegno per trasformare la società.
La madre di Gesù a cui questa nostra cattedrale è dedicata con il titolo santo di Maria della Misericordia volga il suo sguardo verso di voi e vi accompagni. Amen.