Messa di Pasqua alle acciaierie

Messa di Pasqua alle acciaierie

Care sorelle e cari fratelli,

i nostri occhi sono ancora pieni dell’incontro che abbiamo avuto a Roma con papa Benedetto XVI nel ricordo della vista che Giovanni Paolo II, trenta anni fa, fece a Terni e qui nelle acciaierie. Recandoci a Roma abbiamo voluto come ricomprendere il senso di quella visita e le parole che il papa disse allora, ma anche mettere nelle mani di Benedetto XVI i nostri problemi e ascoltare da lui una parola di speranza. Oggi, ci troviamo di nuovo qui nel luogo del lavoro abituale per celebrare la Pasqua assieme alle nostre famiglie, alle mogli, ai mariti, ai figli. E’ una splendida tradizione che ci aiuta a vivere meglio la Pasqua. Come voi sapete il termine “pasqua” vuol dire passaggio, ossia passaggio dalla morte alla vita. E noi tante volte dobbiamo fare Pasqua, tante volte dobbiamo fare un passaggio, ossia uscire da una situazione di morte per passare ad un’altra che sia di vita, fino all’ultima Pasqua, quella che ci permette di passare da questa terra al cielo.

Oggi, abbiamo ascoltato il Vangelo della risurrezione di Lazzaro. Per lui accadde una Pasqua straordinaria, un passaggio per certi versi unico. Lazzaro era caduto malato e poi lo raggiunse la morte. Ai familiari e conoscenti non restava altro che avvolgerlo nelle bende e deporlo nella tomba. Ma, ecco Gesù, l’amico, un amico che non abbandona, che non dimentica. Quando seppe che Lazzaro era morto, decise di andare a trovarlo e giunto alla tomba si mise a piangere. Si era intanto preso il rimprovero di una delle sorelle: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. E’ come dire: “se tu fossi stato qui non mi sarebbero successe queste disgrazie”. Una frase che forse tante volte abbiamo detto o pensato anche noi. In verità, il Vangelo ci dice che non è Gesù a stare lontano, ma noi a stare ontani da lui e dagli altri. Anzi, talora siamo noi a impedirgli di avvicinarsi, come fecero gli apostoli, i quali non volevano che Gesù andasse presso Gerusalemme visto che i farisei volevano ucciderlo. E quando Gesù disse di aprire la toma le sorelle volevano fermarlo: sta nella tomba già da quattro giorni! Ma Gesù non si rassegna. E va avanti.

Ma chi è Lazzaro, oggi? Forse non è una persona sola, magari sono tanti, a volte interi paesi. Sì, i Lazzaro oggi sono tanti. Le tombe nelle quali vengono rinchiusi sono diversissime tra loro, ma pur sempre tombe. Da esse infatti è difficile uscire anche perché si viene legati mani e piedi senza poter camminare liberamente. Enumerarle sarebbe lunghissimo. Un cenno però debbo farlo. Non ci troviamo forse di fronte ad una tomba quando il lavoro è fonte di morte? E non si è rinchiusi in una tomba quando, come abbiamo detto al papa, ci sono fabbriche che chiudono per interessi egoistici di parte senza tener conto delle centinaia di famiglie che vengono messe sul lastrico? E quando non c’è lavoro per i giovani, non mettiamo di fatto sulla loro vita e sul loro futuro una lastra pesante come quella che fu messa sulla tomba di Lazzaro? E, per passare ad un altro campo, quando si chiudono le frontiere, non trasformiamo il Mediterraneo in una tomba ben più profonda di quella dove fu messo Lazzaro? E potremmo continuare. Dio ci guardi da stare dalla parte di chi vuole che le tombe restino e che le lastre pesanti non vengano tolte.

Ma ecco il perché noi oggi celebriamo la Pasqua. E la celebriamo qui, nel luogo del lavoro. Deve essere anche questo un luogo di vita e di risurrezione. Vogliamo oggi raccogliere la forza che abbiamo vissuto nel pellegrinaggio a Roma. Da tante parti d’Italia mi hanno chiamato per sottolineare l’importanza di quel nostro gesto per tutto il mondo del lavoro. Davvero, cari amici, abbiamo almeno sollevato almeno un poco quella lastra pesante che oscura un problema, e spesso un dramma che schiaccia la vita di tanti. Ieri finalmente si è alzata una voce contro il lavoro precario. Il papa, che ha accettato di parlare sul lavoro e sulla sua dignità, sicurezza e stabilità, come ha esplicitamente ripetuto, è stato colpito dalla nostra unità d’intenti. Sì, abbiamo vissuto un piccolo miracolo. E va coperto. Sì, non dobbiamo perdere quello spirito di unità e di speranza che abbiamo vissuto in quel giorno. In tanti ci hanno guardato e si è accesa anche in loro una piccola luce. Dobbiamo continuare su questa strada. La lastra pesante dell’ingiustizia e della rassegnazione deve essere rotolata via con decisione e siamo chiamati a sciogliere molte bende.

Le prime da sciogliere però sono quelle che ci legano gli occhi e il cuore, quelle di ciascuno di noi. A volte, cari amici, ci autobendiamo. Lo facciamo ad esempio ogni volta che ci rassegniamo, che ci ripieghiamo su noi stessi; ogni volta che ciascuno pensa di salvarsi da solo; ogni volta che si pensa solo al proprio benessere senza considerare quello degli altri. E potremmo continuare. Le bende, cari amici, dobbiamo però togliercele altrimenti ne resteremo prigionieri. Non dimentichiamo perciò il clima che abbiamo vissuto assieme quel sabato mattina, conserviamo nella mente e nel cuore le parole che il Papa ci ha detto. Vorrei stamparle e consegnarvele a tutti, sono gli auguri per la Pasqua che desidero farvi giungere.

C’è bisogno che tutti assieme aiutiamo questa nostra città a sciogliersi dalle bende che la trattengono là dov’è. Dobbiamo muoverci e muoverci assieme. Tutti dobbiamo ascoltare la voce di Gesù che ci invita ad uscire fuori e aiutarci gli uni gli altri per sciogliere ciò che ci tiene bloccati. Dobbiamo liberare le energie che pure questa città ha. Forse sono troppo i lacci che ci impediscono di camminare con maggiore speditezza. Quelle parole di Gesù sono anche per noi: “Togliete la pietra” e poi “liberatelo e lasciatelo andare”.

Cari amici, forse le nubi possono anche coprire il cielo dei nostri cuori o il cielo di questa nostra città. Non lasciamo ci abbattere, non lasciamoci intristire. E’ Pasqua. O, se volete, c’è bisogno della Pasqua, della risurrezione dei nostri cuori e di questa città. Questa celebrazione che in certo modo l’anticipa sul calendario liturgico, è come l’invito della sentinella del mattino che sulle mura della città dice a tutti: un nuovo tempo può iniziare, qualche germoglio si vede, le acciaierie reggono la sfida, il Fondo di Solidarietà ha bisogno di sostegno ma ancora tiene, qualche prospettiva positiva nel campo della ricerca si è aperta, e il Signore ci sta accanto. Ma come quel giorno di Lazzaro chiede a tutti non di fermarsi a piangere su se stessi, non di rassegnarsi all’odore da morto, ma di adoperarsi tutti per rotolare via la pietra pesante che chiude e che opprime la vita e di impegnarsi tutti a sciogliere ciò che ci lega ad un passato triste. Terni ha bisogno di risurrezione, certo! Ma non temiamo, il Signore ci sta accanto e ci aiuterà. Buona Pasqua, buona risurrezione!