Ordinazione don Ioan Ghegurt

Ordinazione don Ioan Ghegurt

Cari sacerdoti e diaconi, care sorelle cari fratelli,


la memoria dei santi Pietro e Paolo è arricchita per noi da questa celebrazione per l’ordinazione sacerdotale di don Ioan Gerghut. Ho scelto questo giorno perché è proprio qui, nella parrocchia di san Paolo, che Ioan ha svolto il suo ministero diaconale. Al ringraziamento ai superiori del Seminario Regionale di Assisi aggiungo anche la mia gratitudine a don Roberto e all’intera comunità parrocchiale di san Paolo. Don Ioan, peraltro, prprio qui inizierà il suo ministero prebiterale. Avete fatto bene, perciò, care sorelle e cari fratelli, ad accorrere numerosi a questa celebrazione. Oggi partecipate alla consacrazione sacerdotale del vostro viceparroco. Sono certo che, in un clima di familiarità evangelica, don Ioan saprà aiutarvi a crescere nella fede e nell’amore. Un saluto particolare va ai tuoi familiari, caro Ioan, che sono venuti per dirti tutto il loro affetto. Cari familiari, benvenuti a Terni, e grazie per il figlio che ci avete dato.

Caro Ioan, la tua ordinazione sacerdotale avviene in un giorno particolare. E non a caso. Direi, anzi, che è un segno della Provvidenza: il sacerdozio che oggi ti viene conferito è segnato dalla testimonianza degli apostoli Pietro e Paolo. Essi tornano oggi in mezzo a noi, direi che ti sono accanto come testimoni del tuo sacerdozio. Ogni volta che ricorderai questo giorno dovrai fare memoria anche della loro testimonianza verso di te, perché in certo modo entrano nella sostanza del tuo stesso ministero pastorale. La Liturgia della Parola è impregnata de loro amore al Vangelo e della loro passione per comunicarlo a tutti. Sono discepoli diversi tra loro, “umile pescatore di Galilea” il primo, “maestro e dottore” l’altro, come canta il prefazio della Santa Liturgia. E, tuttavia, identico è il loro amore per Gesù, identica la loro passione per il Vangelo.

Pietro stava riassettando le reti sulle rive del mare di Galilea. Il Signore lo chiamò a pescare uomini e non più pesci, e a percorrere rive ben più spaziose di quelle del mare di Galilea. E Pietro, o meglio Simone, notano i Vangeli, “lasciate subito le reti, lo seguì”. Lo troviamo poi tra i Dodici, con il tipico temperamento dell’uomo adulto sicuro di sé e certo delle sue idee. In verità, bastò la voce di una serva per portarlo al tradimento, come tante volte accade a chi si ritiene forte e sicuro. Il vero Pietro, non è quello forte di sé e delle sue convinzioni, ma quello debole, quello umile, quello che si lascia dire le cose e che si lascia toccare il cuore. Il vero Pietro è quello della domanda dell’amore. Il vero Pietro è quello che si lascia amare. Su quella stessa riva dell’inizio Gesù disse a Pietro: “Simone, mi vuoi bene?”, e Pietro per tre volte risponde: “Signore, tu lo sai che ti amo”. Caro Ioan accade lo stesso per te oggi. Le interrogazioni che tra poco ti farò, sono domande sull’amore, come quelle che Gesù fece a Pietro. Sia Pietro il tuo esempio di riposta.

Da quel giorno la debolezza di Pietro divenne la “pietra” che avrebbe dovuto confermare i fratelli. Sì, su questa “pietra” debole, ma forte nell’amore, Gesù avrebbe edificato la sua Chiesa. E lo vediamo, Pietro, nel giorno di Pentecoste, quando alla porta “bella” del tempio compì il primo miracolo della Chiesa. Vedendo quel paralitico che stendeva le mani gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, cammina!” E quel paralitico iniziò a camminare, anzi a saltare, dice l’autore degli Atti. Caro don Ioan, come vorrei che il tuo sacerdozio fosse segnato da questo Pietro! Non dal Pietro orgoglioso, sicuro di sé e pieno di una superbia vestita di umiltà e di testardaggine. Se è così, basta una donnicciola per smotare tutto. No, il Pietro che si lascia amare, guidare, sorreggere, sia il Pietro del tuo sacerdozio. E’ questo Pietro che diventa “pietra” e che quindi può aiutare i fratelli e le sorelle, soprattutto i più deboli a rialzarsi dalla tristezza e a ballare di gioia, come accadde per quel paralitico. 

E poi Paolo. Anche lui ha avuto tante passioni, con odi feroci e risentimenti. Da giovane faceva la guardia ai matelli di coloro che lapidavano il giovane diacono Stefano. Saulo era zelante nel combattere i cristiani. Ma sulla via di Damasco il Signore lo fece cadere dal cavallo delle sue sicurezze e del suo orgoglio. Sbattuto a terra alzò gli occhi e vide il Signore. E, come Pietro dopo il tradimento, anche Paolo si sentì toccare il cuore: non ebbe il dono delle lacrime, ma gli occhi rimasero chiusi e non vedeva più. Lui, abituato a guidare gli altri, dovette essere afferrato per mano e condotto a Damasco. E lì, con l’aiuto dei fratelli, ascoltò il Vangelo e gli occhi gli si aprirono nuovamente. Lasciati guidare anche tu, Ioan. Tu che dovrai guidare gli altri, non potrai farlo se prima non ti lasci guidare. Nessuno può essere pastore degli altri se prima non è come un figlio che si lascia amare dal Signore. Paolo, cominciò subito, appunto come fece Pietro, a seguire il Maestro. E da discepolo divenne anche lui annunciatore del Vangelo.

C’è sempre un distacco dalle proprie abitudini, dalle proprie reti o dalle proprie convinzioni, quando si diviene discepoli del Vangelo. E’ la storia di Pietro, è la storia di Paolo. Deve essere anche la tua storia, caro don Giovanni. Paolo, sedotto da Gesù, predicò prima agli ebrei e poi ai pagani, fondando molte comunità cristiane nell’Asia Minore. Chiamato in sogno dal Macedone, sbarcò in Europa per annunciarvi il Vangelo di Gesù. Voleva giungere sino in Spagna, ossia sino agli estremi confini della terra allora conosciuti. Anche tu, lasciando la tua terra rumena, sei giunto qui. Il tuo cammino è passato attraverso la testimonianza di san Francesco. Forse è lui che in sogno ti ha chiamato. E sei venuto nella sua terra. Ma perché, tutto questo? Oggi lo sai. Sì, la vera ragione della tua venuta in Italia è questa: annunciare, come fecero Pietro e Paolo, in questa terra, il Vangelo. Prego per te, caro don Ioan, perché il tuo sacerdozio sia segnato dalla testimonianza di questi due apostoli, perché il tuo presbiterato respiri con il loro spirito: con la fede umile e salda di Pietro e con il cuore ampio e universale di Paolo. Essi vissero la loro fede sino a versare il loro sangue. E noi? E tu?

Caro don Ioan, Non possiamo essere sacerdoti mediocri, non possiamo vivere da impiegati. Tutti i cristiani e particolarmente noi sacerdoti siamo chiamati alla santità, a conformare la nostra vita su quella di Gesù, ad essere uomini buoni, miti, dolci, affettuosi, accoglienti; insomma, ad essere uomini del Vangelo che ti viene consegnato, ad essere come il pane e il vino che vengono posti nelle tue mani perché tu stesso diventi pane spezzato e sangue versato. Dobbiamo vivere nella nostra vita il ministero che ci viene affidato. Maria, la madre di Gesù, ti guidi nell’imitazione del Figlio suo. All’inizio del tuo ministero sacerdotale vorrei ripetere a te le parole che ella disse ai servi all’inizio della vita pubblica di Gesù: “Fai quello che ti dirà”. Sì, non fare semplicemente quello che pen si tu, che giudichi tu. Che decidi tu. No, fa quello che gesù ti dice. E anche tu, assieme a tutti gli invitati, potrai partecipare al miracolo della moltiplicazione della gioia. E così sia.