Catechesi GMG Toronto 2002

Catechesi GMG Toronto 2002

“Lasciatevi riconciliare con Dio”


Una grande ambizione


Cari amici, credo anzitutto doveroso che riconosciamo, e ce lo diaciamo, l’ambizione del Papa sui giovani. Due anni fa, alla GMG di Roma, disse: “Non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio!” L’invito che resta attualissimo. Ieri, riprendendo l’immagine del lago di Galilea, ha ripetuto a tutti l’invito di Gesù rivolto ai discepoli di seguirlo. Sa bene che il mondo, se vuole guardare con speranza al futuro, ha bisogno di giovani santi. Ecco perché questa prima GMG del nuovo secolo è come una chiamata a puntare in alto. “Duc in altum!” ha detto all’intera Chiesa all’inizio di questo millennio. E lo ripete a noi. E noi abbiamo ascoltato questo invito e abbiamo preso il largo; siamo venuti fin qui, in Canada, a Toronto. Chi ci guarda da fuori continua magari a chiedersi: “perché tanti giovani continuano a seguire questo vecchio Papa? perché si sobbarcano non pochi sacrifici per ascoltarlo? Il perché, cari amici e care amiche, noi lo sappiamo bene. E lo sappiamo da anni. Noi continuiamo a seguire Giovanni Paolo II perché ci fa sognare ancora. Guardatevi attorno e cercate tra i grandi della terra: chi ha un sogno di amore sul mondo intero? Chi è davvero un padre appassionato per tutti i popoli, a partire da quelli più poveri e più disgraziati. Chi? Purtroppo, i sogni, in genere, riguardano gli interessi nazionali o di gruppo, gli interessi personali o comunque particolari. Giovanni Paolo II ha un sogno grande e largo sul mondo e sui popoli. Per questo siamo partiti da varie città del mondo, in un pellegrinaggio giovanile verso il futuro del mondo. Un ‘pellegrinaggio di fraternità’ ha detto il Papa, perché accenda “un fuoco di speranza per la Chiesa e per l’umanita’”. Un pellegrinaggio di giovani del mondo e, – debbo dirlo – ci sentiamo vicini anche ai tanti guiovani di paesi poveri a cui non e’ stato permesso di venire e diciamo loro tutto il nostro affetto e tutta la nostra fraternita’. Perché non da soli ma assieme a loro costruiremo un futuro nuovo. E con un oceano di applausi vogliamo raggiungerli. E noi che siamo venuti dall’Italia, è vero, ci sentiamo fratelli e sorelle dell’Italia ma qui ci sentiamo soprattutto fratelli dei giovani del mondo intero. Si, voi siete i giovani di Giovanni Paolo II, ossia i giovani dal cuore largo come è largo il mondo. E solo se si è così si è fratelli universali. “Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo!” (Mt 5, 13-14).


Certo, se comprendiamo solo un poco cosa vuol dire essere sale e luce restiamo stupiti e forse anche un po’ timorosi. Qualcuno di voi potrebbe dire: “Ma come è possibile che noi siamo sale e luce per il mondo e anche sale e luce per l’Italia? Noi che stiamo qui, neppure moltissimi e per nulla potenti, noi che non abbiamo né i cordoni della borsa né quelli della politica, noi che non possediamo le grandi reti di informazione e tanto meno la struttura militare, come possiamo essere il sale e la luce del mondo?” Eppure il Vangelo lo afferma: voi siete il sale della terra e la luce del mondo. E Giovanni Paolo II, facendo eco a queste parole, vi dice dove salare e dove illuminare: “Sono tante le persone ferite dalla vita, escluse dallo sviluppo economico, senza un tetto, una famiglia o un lavoro; molte si perdono dietro false illusioni o hanno smarrito ogni speranza…Nel cuore di una città multiculturale e pluriconfessionale diremo l’unicità di Cristo Salvatore e l’universalità del mistero di salvezza di cui la Chiesa è sacramento. Pregheremo per la piena comunione tra i cristiani nella verità e nella carità, rispondendo all’invito del Signore che desidera ardentemente che tutti siano una cosa sola”(Messaggio, n 4,5). C’è una fretta del Papa: sa che non è più possibile attendere oltre. E’ la fretta richiesta dal Vangelo ma anche sollecitata dal grido di questo nostro mondo, dal grido dei poveri e dei deboli. Non possiamo più essere spettatori distratti e pigri.


Il mondo dopo l’11 settembre


Davanti ai nostri occhi c’è il mondo del dopo 11 Settembre, un mondo frantumato e fragile. L’attentato alle due torri di New York resta tragicamente emblematico della fragilità della convivenza tra gli uomini. Con quel crollo si sono sbriciolate speranze e sicurezze. La storia del mondo da quel giorno è cambiata. C’è chi fa iniziare il millennio proprio in quel giorno. Ed è iniziato davvero male. Si continua a dire che il mondo si trova in guerra, anche se si tratta di una guerra molto diversa da quelle passate. Tutti sono più incerti, insicuri sulla propria vita, preoccupati della propria sicurezza, ansiosi sui pericoli che il domani potrà riservare. Si parla di nuovi e terribili attacchi di tipo terroristico mentre finita una guerra se ne sta preparando un’altra. Il mondo di oggi appare davvero più insicuro di ieri. E poi c’è odio in giro; c’è rabbia in tanti luoghi; ci sono poteri oscuri; ci sono disegni di violenza e di terrorismo. E c’è tanta gente che può sfruttare il dolore e la rabbia di tanti. E’ senza dubbio urgente combattere e sradicare il terrorismo perche’ non colpisca più. Non c’è dubbio su questo. Ma c’è un ulteriore rischio da evitare: è il pericolo di pensare solo al presente, al proprio presente e a poco altro. Eravamo già entrati nel nuovo millennio senza grandi sogni e senza grandi utopie. La caduta delle ideologie e una omologazione generale avevano come abbassato e ridotto gli orizzonti della vita. Dopo l’11 Settembre l’emergenza terrorismo ha spinto a chinare la testa ancor più in basso, a ripiegarsi ancor più su di sé. E si sono moltiplicati individualismi irresponsabili, tribalismi difensivi e fondamentalismi pericolosi. La stessa globalizzazione, assieme al progresso, ha portato anche paure e divisioni. C’è gente che si sente aggredita di fronte a nuovi vicini (pensate alla legge sugli stranieri approvata in Italia!, e quanto era bello lo slogan ‘diamoci la mano, non diamoci le impronte’) oppure si sente spaesata di fronte a un mondo divenuto troppo grande. Ecco perché è urgente alzare lo sguardo sul mondo e sul suo futuro. Ma chi pensa al futuro del pianeta? Con quali sogni pensiamo al nostro domani? Con quali speranze i poveri pensano al loro futuro? E quali immagini del domani si disegnano davanti ai vari popoli? La paura, l’egoismo, l’insicurezza, ci stanno rubando il futuro schiacciandoci tutti verso un ansioso presente? Guardandoci attorno: c’è come un grande silenzio sul futuro del mondo; salvo il Papa, che continua a sognare e a farci sognare. Senza questo sogno ci si accontenta di difendere il proprio oggi e poco altro. Dopo il G8 qui in Canada cos’è successo per i popoli poveri? Chi oggi sente con la necessaria responsabilita’ i gravissimi squilibri sociali, economici, culturali e politici che lacerano la vita del pieaneta? Pensate solo al conflitto isarelo-palestinese. Impotenti continuiamo a veder morire bambini israeliani e bambini palestinesi uccisi o dai kamikaze o dai missili. Ma Gesu’ e’ assieme bambino ebreo e bambino palestinese; cosi’ pure Maria. Ambedue hanno conosciuto i campi profughi e ambedue hanno pregato in sinagoga. Per il Signore Iddio ambedue sono suoi. Ma per il mondo? Cari amici, in quel conflitto sono nascosti tutti i conflitti. In quella terra si gioca il destino di tutta la Terra. Potremmo dire che e’ il segno delle tante divisioni e delle tante tragedie del pianeta, segno di un mondo non riconciliato che non vuole liberarsi dal circolo infernale della vendetta. Se vogliamo un mondo di pace, non possiamo tacere di fronte a questo conflitto e ai tanti altri conflitti che lacerano la vita dle pianeta. Come, noi cristiani, possiamo dimenticare il dramma dei milioni di persone che continuano a morire di fame nei tanti paesi poveri? Ci sono 40.000 morti per fame ogni giorno: circa 10 torri di New York al giorno che cadono: lo stesso numero di morti dello scoppio della bomba atomica a Hiroscima. Come possiamo assistere, senza insorgere, di fronte alla crescita della disparità tra il Nord ricco del mondo e il Sud povero? Come possiamo restarcene tranquilli di fronte alle masse di profughi che continuano a lasciare le loro terre a motivo della guerra e della fame? Potremmo continuare a lungo tali interrogativi: da quello sulla piaga dell’AIDS a quello sulla emarginazione di milioni di poveri nei paesi occidentali, da quello sui pregiudizi verso gli zingari a quello sulla solitudine degli anziani, e così via. Quel che non può più continuare è la nostra indifferenza e quella del mondo.


C’è bisogno di una rivolta spirituale, di un lavoro capillare per alleviare la vita dei deboli e dei poveri, per far scendere la pace nelle pieghe delle società, per far crescere il rispetto dell’altro, per sradicare le radici dell’ira e per sanare le tentazioni della violenza. Questa lunga frontiera della riconciliazione deve vederci tutti impegnati in prima persona.


Un mondo riconciliato


Il primo a percorrere questa frontiera della riconciliazione e’ Dio stesso. E’ lui che supera la distanza, e’ lui che scavalca il muro di separazione per donare agli uomini la riconciliazione. La riconciliazione e’ iniziata dall parte di Dio. Ecco perche’ Paolo non dice :”Riconciliatevi con Dio”, ma: “lasciatevi riconciliare con Dio!” Vuol dire: lasciatevi amare, lasciatevi abbracciare, lasciatevi cambiare, lasciatevi irrobustire. È il Signore che prende l’iniziativa. La prese quel giorno lontano in Egitto, quando udì il grido del suo popolo in Egitto. E la prese più di mille anni dopo quando, come scrive l’evangelista Giovanni, mandò il Figlio sulla terra: “Dio ha tanto amato il mondo da inviare il suo figlio unigenito”. E Gesu’, obbedendo a questo intento del Padre: “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8). Gesù venndo sulla terra ha riconciliato gli uomini – anzi l’intera creazione – con Dio. Egli ha vinto quella estraneità che rendeva gli uomini lontani da Dio e lontani gli uni dagli altri. Paolo scriveva agli Efesini: “Ora, invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini, grazie al sangue di Cristo: Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro che era frammezzo, cioè l’inimicizia…per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia.
Egli è venuto perciò ad annunziare la pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini…Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2, 13-19).
Cari amici, noi eravamo lontani da Dio. Sono stato amato, cercato, trovato e abbracciato. Tu sei stato amato cercato trovato e abbracciato. E’ la storia di Dio con me, con te, con noi. Quella di Duo con noi é una storia tutta in discesa. Sì la vicenda di Dio e’ tutta in discesa verso di noi, fino a lavarci i piedi. L’unica volta che sale è quando sale sulla Croce. Noi siamo invece gli arrampicatori, arrampicatori di gloria, di dignita’, di stima, di considerazione. Ma la dignità, cari amici, sta nel donarsi, non nell’arrampicarsi, sta nel piegarsi sui deboli, non nell’arrampicarsi per sé. Dio si è chinato su di noi e ha vinto l’estraneita’. Rileggiamo, allora, le parabole del perdono di Luca. Dio è come quella donna, come quel pastore, come quel Padre che parla amorevolmente con i due figli. Gesù vuole mostrare ai suoi ascoltatori e tutti noi chi è suo Padre: un padre buono che non resta in casa; che esce incontro ai due figli (uno perduto e ritrovato, l’altro arrabbiato che rifiuta di far festa col fratello). Esce di casa per dialogare con loro e invitarli ad entrare per far festa assieme. Gesù sembra voler dire: “è questo il Padre che ho io e che è anche il vostro Padre”. Sì, cari amici, il Padre che ci ha mostrato Gesù, il nostro Dio, è uno che pensa così, che agisce così, che si comporta così. Non resiste a stare lontano. Appena lo vede corre verso il figlio e gli dona la riconciliazione, ed è ancora lui che la offre a quello maggiore restato in casa ma con il cuore indurito. Nessuno dei due figli aveva conosciuto a fondo il padre. Ambedue erano estranei al suo amore e per questo si comportano come estranei anche tra loro. Il minore, quando rientra in se stesso e si accorge della lontananza, spera di trovare nel padre solo un po’ di umanità che gli consenta di vivere in casa almeno come un operaio stipendiato. Quando si avvicina trova invece un padre che lo aspetta con amore immutato, che gli corre incontro, lo abbraccia senza neanche fargli dire nulla e ordina immediatamente una festa di riconciliazione. Insomma lo reintegra pienamente nella sua condizione di figlio come se nulla fosse accaduto. Il primogenito che è restato sempre in casa ha visto il Padre più come un padre-padrone che come un padre affettuoso. Egli ha compiuto scrupolosamente il suo dovere, senza però mai sperimentare l’intimità affettuosa di un padre capace di renderlo interiormente libero e sereno. Quel figlio era a tal punto lontano dal cuore del padre che non ha mai avuto il coraggio di far festa in casa con gli amici. E al ritorno del fratello minore emerge tutta la grettezza del suo cuore: non riesce né a capire il cuore del padre né a gioire per il ritorno del fratello. Gesù vuol dire a tutti che il Padre è amore, misericordia, e che vuole la riconciliazione. Quel Padre, cari amici, continua ancora oggi ad uscire; forse ormai sta stabilmente fuori casa, tanto è il lavoro di riconciliazione.
A noi chiede di operare con lui. A noi chiede di uscire con lui. Ha bisogno delle nostre parole per parlare, delle nostre braccia per abbracciare, del nostro cuore per amare. Le comunità cristiane scuole di riconciliazione Noi, uomini e donne riconciliati, abbiamo un compito grande nel mondo, quello della riconciliazione. In un mondo diviso e lacerato, in un mondo ove è raro il perdono, in un mondo che rischia di non sapere più cosa significhi fare festa, le comunità cristiane debbono porsi come quella casa del padre ove tutti sono accolti e apprendono l’arte della riconciliazione, di comunità cristiane che siano scuole di riconciliazione. Questo nostro mondo ha bisogno più che mai del Vangelo della riconciliazione, di comunità cristiane che siano scuole di riconciliazione. Quel che Paolo scriveva: “Non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” e’ di estrema attualita’. Si, per noi cristiani non ci sono più né hutu né tutsi, né israeliani né palestinesi, né del Nord né del Meridione, né giovani né anziani, né zingari né cittadini, né ricchi né poveri, né uomini né donne, perché tutti siamo uno in Cristo. Certo, senza il cuore di Cristo, senza essere riconciliati con il Vangelo, ti sembra impossibile abbattere le numerose mura di divisione. Ma il loro abbattimento e’ l’unica via della pace. E stai certi che senza vivere la riconciliazione con Dio, finisci inesorabilmente per adeguarti alle divisioni, finisci inesorabilmente per essere complice dei tanti muri che si stanno costruendo nel mondo. Non importa se ti accucci alla sua ombra per realismo o se, addirittura, fai il guardiano per sentirti uomo; in ogni caso sei, assieme, complice e vittima. Quale allora la nostra forza? Quella di Gesu’, la Croce. Noi abbiamo la forza della Croce. Quella croce che dall’inizio delle GMG continuiamo ad accogliere. Ma perché quel legno e’ la nostra forza? Perché su quella Croce è stato sconfitto l’amore per se’, é stato sconfitto l’egocentrismo. Quella croce vuol dire amore, riconciliazione, dialogo, preghiera, fraternita’ universale. E’ questa la nostra forza. Ed e’ con questa forza di riconciliazione che noi cristiani possiamo e dobbiamo aiutare il mondo di oggi, venire incontro ai più deboli come ai superbi, ai miti e ai vinti come ai violenti. Insomma, la riconciliazione deve diventare uno stile di vita del cristiano. Un discepolo, che rinuncia ad essere forza di riconciliazione nella vita degli uomini e nella storia dei popoli perde il suo sapore e spegne la sua luce; diventa scipito e grigio, e – come ho appena detto – lo troverete accovacciato all’ombra di qualche muro. Paolo, nella seconda lettera ai cristiani di Corinto scrive: “Tutto viene da Dio che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. E’ stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori di Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. La riconciliazione non è solo una dimensione da vivere personalmente; e neppure una dimensione da vivere solo tra noi; è anche un ministero da compiere: tutti siamo chiamati a dire agli uomini e alle donne di questo mondo che non sono condannati a restare schiacciati sotto il peso delle loro colpe e che a loro volta non debbono schiacciare gli altri con il peso della loro cattiveria. Si, la parola da dire al mondo è quella della riconciliazione. A volte le nostre abitudini pigre, la nostra incredulità, la nostra poca audacia, la nostra fiacca passione, la nostra avarizia, possono bloccare il processo di riconciliazione. Siamo venuti a Toronto perche’ tutti, anche quelli che non sonpotuti venire, vogliamo liberare quella enorme potenza d’amore che Dio ha effuso nei nostri cuori. C’è bisogno di maggiore generosità e di piu’ chiara audacia. Le comunità cristiane non debbono vivere per se stesse, non debbono essere ripiegate sui propri problemi interni, debbono piuttosto essere scuola di misericordia e case di riconciliazione, luoghi ove tutti i popoli, ove tutti gli uomini sono accolti e amati. Il sale è forse per se stesso? E la luce è forse per illuminare se stessa? No deve il sale insaporire l’altr e non deve la luce illuminare chi sta intorno? Cultura di riconciliazione Ecco perché la fede pertanto deve diventare cultura di riconciliazione, ossia un modo di vedere largo, un modo di amare senza confini, un modo di vivere che non riduce le cose ai nostri schemi, che non restringe il mondo alle nostre abitudini mentali. Ognuno di noi ha bisogno di aprire le finestre della propria mente e allargare le pareti del proprio cuore. E’ facile, molto facile, essere sensibili solo a quello che ci sta vicino, a quello che ci tocca, che ci commuove e ignorare ciò che sta lontano da noi. L’amore è anche un cuore ospitale a ciò che non ci tocca direttamente. Parafrasando una frase di Gesù potremmo dire: “Che merito avete se conoscete solo quello che vi tocca?” Cari amici, l’ignoranza è spesso funzionale al proprio egoismo. E nell’ignoranza appassiscono l’amore, la generosità, l’audacia, la passione. La forza dell’amore spinge ad uscire da sé per recarsi nei cuori degli altri al fine di creare una cultura d’amore, una civiltà dell’amore. La forza della riconciliazione è una energia concreta che fa superare ogni ripiegamento su di sé e aiuta ad alzare il proprio sguardo e la propria azione verso l’universalità della famiglia umana. Questo e’ il sogno che noi, in ogni GMG, vediamo relizzarsi davanti ai nostri occhi. Cari amici, beati i nostri occhi che vedono quel che vediamo. Operiamo perche’ tanti altri vi possano partecipare. E “Non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio!” Non abbiate paura a sognare un mondo riconciliato e pacifico.