Notte di Pasqua 2003

Notte di Pasqua 2003

Care sorelle e cari fratelli,


il Vangelo di Marco ci parla di tre donne che si recano al sepolcro all’alba del primo giorno della settimana. Sono venute a Gerusalemme dalla lontana Galilea; avevano accettato l’invito di Gesù a seguirlo e lo hanno seguito nei tre della vita pubblica, fin sotto la croce. Ed ora, dopo la sua morte, mentre tutto ormai sembrava finito dietro quella pietra pesante, volevano compiere un ultimo atto d’amore verso il corpo senza vita del loro maestro. Non erano fuggite come i discepoli. Non riuscivano a separarsi da quel maestro perché le aveva capite e amate come nessun altro. Si erano lasciate travolgere dall’amore di Gesù: non lo volevano lasciare neppure da morto. E’ una grande lezione  per noi che ci dimentichiamo così facilmente di Gesù anche da vivo.
Queste tre donne stanno davanti a noi. Abbiamo inziato con loro questa santa liturgia recandoci al sepolcro. La Pasqua inizia sempre davanti alla tomba. Certo, loro pensavano che ormai non c’era più nulla da fare. Non sapevano, in verità, che Gesù, com’era vissuto da vivo, così si comportava anche da morto. Si potrebbe dire che anche da morto Gesù: “non aveva neppure una pietra dove posare il capo” (Mt 8,20). Neanche da morto Gesù pensò a se stesso. Non si è fermato nella tomba. La compassione per gli uomini è stata più forte della sua stessa morte. Nel Credo noi diciamo che “discese agli inferi”. I Santi Padri commentano che è andato a liberare tutti coloro che lo avevano preceduto, da Adamo sino al Battista. E a tutti ha detto: “Oggi, sarete con me in Paradiso”.
Ma Gesù continua a scendere negli inferi di questo nostro mondo, continua a scendere nei luoghi dimenticati dagli uomini, là dove la vita è come sotto terra, là dove gli uomini e le donne sono schiacciati dal male, dalla guerra, dalla violenza, dall’ingiustizia, dalla fame, dalla solitudine, dalla dimenticanza, dall’attesa della condanna a morte. Gesù è sceso nelle città irakene, è sceso nelle fosse piene di cadaveri, è sceso tra i morti sotto le macerie, è sceso a consolare il pianto delle vedove e degli orfani. Care sorelle e cari fratelli se non scendiamo anche noi con Gesù negli inferni di questo mondo non potremo né capire né gustare la risurrezione. Anche noi dobbiamo porci la domanda di quelle donne: “Come togliere la pietra pesante dal sepolcro?” Come togliere le tante pietre pesanti che schioacciano la vita dei deboli, che opprimono a volte popoli interi, che rendono questo mondo come un grande cimitero di vittime? E loro, le tre donne, entrarono nel sepolcro. Così noi dobbiamo entrare nei sepolcri dei tanti “poveri cristi” di questo mondo. Così inizia la risurrezione.
Ne avremo la forza? “Non abbiate paura!” dice anche a noi l’angelo vestito di bianco. E ci annuncia che “Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui”. Gesù è risorto e ha vinto la morte. Sì, la morte non è più l’ultima parola sulla nostra vita. Le tombe non sono più chiuse per sempre. La risurrezione toglie la lastra pesante e fredda che schiaccia i cuori e la vita. La risurrezione dà inizio ad un mondo nuovo dove la guerra non è più inevitabile, anzi è bandita, e non ci sarà più. La risurrezione cambia i cuori, perché cancella gli odi, disperde la violenza, scardina la logica dell’amore solo per sé; sconfigge la paura di amare gli altri. Sì, i figli della risurrezione vivono un mondo ove i poveri sono amati, per questo Gesù può dire: “Beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli”; vivono un mondo che appartiene ai miti e non ai violenti, per questo Gesù può dire “Beati i miti perché erediteranno la terra”; vivono un mondo ove chi piange e afflitto è consolato, per questo Gesù può dire “Beati gli afflitti perché saranno consolati”; vivono un mondo pacificato, per questo Gesù dice “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. Noi, questa notte, siamo generati come figli di Dio.
L’angelo vestito di bianco vuole coinvolgere ciascuno di noi nel mistero della risurrezione. Questi nostri fratelli e sorelle che vedete rivestiti di una veste bianca ci fanno vedere visibilmente quel che deve avvenire nel cuore dui ciascuno di noi, come dice l’apostolo Paolo: “Rivestitevi dunque… di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza…al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione” (Cl 3, 12). Il Battesimo che viene amministrato ad alcuni bambini questa notte di Pasqua è il segno dell’amore di Dio che ci avvolge e ci libera dal male e dalla morte. Sì, Dio ci rigenera ad una nuova vita, ci rende cittadini di un nuovo mondo, ci dona un cuore nuovo, ci dona pensieri nuovi. Noi non siamo più figli della tristezza e della morte, ma figli della risurrezione.
L’annuncio della Pasqua non si ferma a quelle donne, non si chiude nelle mura della nostra cattedrale, non riguarda solo noi, bensì il mondo intero. “Ora andate”, dice l’angelo bianco alle tre donne. Sì, bisogna andare e annunciare che Gesù è risorto, che la vita ha vinto la morte, che l’amore è più forte dell’odio. Non possiamo più indugiare. C’è fretta di annunciare la risurrezione a Terni e ovunque andiamo. Quelle donne, ancora una volta, ci stanno dinnanzi indicandoci che l’amore è l’unica forza che salva, l’unica via della pace stabile. Seguiamole! Quelle donne, anche se piene di timore e di spavento, avevano compreso che Gesù non era morto e che sarebbe rimasto con loro per sempre. Dobbiamo dirlo anche noi: la morte non ha più potere sulla vita; le tombe di questo mondo non sono più chiuse per sempre! Il Signore è risorto.