Notte di Natale a Terni

Notte di Natale a Terni

Care sorelle e cari fratelli, questo notte, da questo pulpito nuovo è risuonato l’annuncio dell’angelo ai pastori: “Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: nella città di Davide vi è nato un salvatore”. L’angelo bianco, come a farsi voce del bianco Cristo che guida questo pulpito, è torna per annunciare a Terni la nascita di Gesù. E c’è bisogno che un angelo torni perché il Natale non sia una memoria vuota, un momento di intimità risucchiato poi dalla grigia ordinarietà della vita. Il Natale torna perché tutti possiamo rinascere. Un antico mistico diceva: “Nascesse Cristo a Betlemme, mille volte, ma non nel tuo cuore, saresti perduto in eterno”. Ma come rinascere? Il Vangelo che abbiamo ascoltato dice che “appena gli angeli si furono allontanati, i pastori si dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. E l’evangelista aggiunge: “Partirono senza indugio”.


Ecco come iniziare, ed ecco da dove partire. Da quella grotta, da quel bambino. I pastori infatti si recarono in quella stalla e lì trovarono “Maria e Giuseppe e il Bambino che giaceva in una mangiatoia”. Il Natale è tutto qui. Raccoglierci attorno a quel Bambino che sta in una mangiatoia perché non c’era posto per lui nell’albergo. E’ un mistero d’amore incredibile. Noi facciamo bene ad allestire il presepe, e a commuoverci almeno un poco. Ma questa bella e delicata tradizione non deve farci dimenticare la realtà ch’essa esprime, ossia una città, Betlemme, che non ha accolto Gesù che nasceva. “Non c’era posto per loro”, scrive Luca amaramente. E quante volte anche oggi dobbiamo scrivere questa stessa frase! “Non c’è posto per gli stranieri, per i poveri, per i soli, per i malati, per gli antipatici, per i deboli, per chi non conta, per chi è lontano…!” Vorrei dire che il Natale visto dalla parte degli uomini ha i tratti dell’inaccoglienza se non della crudeltà. Ma oggi, giorno della nascita di Gesù, siamo sorpassati dalla misericordia e dall’amore di Dio. Sì, il Natale, dobbiamo vederlo dalla parte di Dio, allora scopriamo che è un amore incredibile, fuori ogni misura. Il Signore Gesù scende dal cielo e pur di starci accanto nasce in una stalla. Come, allora, non commuoversi ?


E’ incredibile che Dio venga sulla terra e accetti anche una stalla; ma quel che ci lascia ancor più sconvolti è che si presenti come un bambino, che tra tutte le creature è il più debole. Chi mai avrebbe solo potuto pensarlo? Eppure il Natale è tutto qui: un Dio fragile bambino. “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”, dice l’angelo ai pastori. Essi vennero e si strinsero attorno a quel bambino. Quei pastori, ritenuti tra la gente più disprezzata del tempo, sono i primi ad accorrere in pellegrinaggio attorno a quel bambino. Essi, in certo modo, anticipavano un detto caro a Gesù: “i primi saranno gli ultimi e gli ultimi primi”. Quella piccola famiglia nella grotta, circondata dai pastori, è l’immagine della comunità cristiana, della Chiesa di Dio. Anche noi vogliamo unirci a quei pastori in uno spirituale pellegrinaggio verso la grotta di Betlemme. Anche questa cattedrale, rinnovata nell’intero presbiterio, diviene una nuova Betlemme. Come in quella grotta di duemila anni fa, anche oggi è il Bambino che sta al centro, non noi stessi come di solito facciamo e imponiamo. E’ il bambino che viene posto davanti ai nostri occhi.


“Ripartiamo dall’altare” dicevo nell’ultima asemblea diocesana. L’altare è Cristo. E dall’altare vogliamo che rinascano i nostri cuori. Di qui la scelta di proporre all’intera nostra diocesi di fare la comunione sotto le due specie dal Natale in poi in ogni celebrazione eucaristica. Non si tratta di un semplice cambio di pratica, o di una bella e originale novità. E’ una tappa significativa del nostro itinerario per rendere la celebrazione eucaristica il centro della vita personale di ciascuno di noi e dell’intera comunità diocesana. C’è una ragione profonda che mi spinge a proporre per la nostra diocesi la comunione sotto le due specie come il modo ordinario di farla durante la Liturgia Eucaristica. E la ragione sta nel fatto, molto semplice, di obbedire alla lettera alle parole di Gesù. Noi infatti siamo cristiani non per una appartenenza ad una cultura, ad una razza, ad una nazione, o ad una tradizione ma unicamente perché mettiamo in pratica il Vangelo. Questo è ciò che ci distingue dagli altri. Nella santa Messa vogliamo con maggiore evidenza obbedire a Gesù che ci dice: “Fate questo in memoria di me”. Noi ripetiamo quel Gesù ha fatto; ripetendolo lo comprendiamo e comprendendolo cresciamo nell’amore. Ma cosa Gesù a fatto e cosa ha detto nell’Ultima Cena? Dopo aver preso il pane disse ai discepoli: “prendete e mangiate” e poi dopo aver preso il calice disse: “Bevetene tutti”. Ebbene, care sorelle e cari fratelli, desidero ardentemente che l’intera Diocesi si unisca ancor più visibilmente a quanto Gesù ha fatto nell’ultima cena, perché possiamo prendervi parte fino in fondo. Vogliamo mettere in pratica, alla lettera, queste parole di Gesù per divenire come lui, per amare come lui, per voler bene come lui.


Ma vedete che c’è anche un’altra mensa, potremmo dire un altro altare quest’oggi in cattedrale. E’ la mensa per il pranzo dei poveri che si terrà subito dopo la Messa di mezzogiorno. C’è come una continuità tra l’altare e questi tavoli per il pranzo dei poveri. Un testo antichissimo esorta così i vescovi e i diaconi: “Vescovi e diaconi, abbiate cura dell’altare di Cristo, cisoè delle vedove e degli orfani” (Didascalia degli Apostoli). E ancora: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non tollerare che egli sia ignudo. Dopo vaerlo ornato in chiesa con stoffe d’oro, non permettere che fuori muoia di freddo perché non ha di che vestirsi”(Giovanni Crisostomo). Oggi desidero che questa continuità emerga in modo chiaro e visibile. Voi sapete che ogni giorno nella Mensa di San Valentino i poveri sono accolti e nutriti. Ma oggi deve essere chiaro il mistero che c’è in questo servizio. E’ il mistero dell’amore di Dio per i più poveri. Questa volta non sono i pastori che portano i doni al Bambino. E’ piuttosto il Bambino che offre a chi ha fame e a chi è solo una bella casa, la cattedrale, perché non abbiano più fame e non siano più soli. Il pranzo dei poveri è un segno dell’amore smisurato di Dio per i poveri. E ci sarà un regalo per ciascuno di loro, perché tutti si sentano a pieno titolo membri della famiglia di Dio. Per una singolare coincidenza Betlemme, che significa “città del pane”, dà come un nuovo nome alla cattedrale di Terni, appunto “Cattedrale del pane”, nuova Betlemme che dona il pane del corpo e del cuore, il Vangelo e il cibo a chi ha fame.