Te Deum 2002

Te Deum 2002

Care sorelle e cari fratelli,


ci ritroviamo assieme in questa liturgia che, mentre chiude l’anno 2002, ci consegna all’anno che viene. E vogliamo che questo passaggio avvenga cantando, questa sera, l’antico inno del Te Deum. E domani, 1 gennaio 2003, con il canto del Veni Creator Spiritus imploreremo da Dio la pace per il mondo. Questa cattedrale, lieta per il presbiterio rinnovato, si pone come luogo di ringraziamento e di pace. Di qui, ascoltiamo l’antica benedizione: “il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio”. Il Signore rivolga su di te il suo volto, Terni, Narni, Amelia, Vacone, Giove, Calvi, Penna, Guardea, Otricoli, Stroncone, Configni, Sangemini, Attigliano, Alviano, Lugnano e vi conceda pace.
La presenza delle autorità della città, a partire dal Prefetto, e poi dei sindaci delle nostre città, rendono questo momento liturgico particolarmente significativo. Conosco bene la distinzione dei ruoli. Ma permettete, carissime autorità, che questa sera vi esprima la mia gratitudine per aver accettato l’invito al Te Deum che la nostra chiesa rivolge a Dio per l’anno trascorso. La vostra presenza manifesta un’ideale partecipazione di tutte le comunità cittadine a questo momento di preghiera. Il dono del calice che il Comune di Terni ha fatto alla diocesi, all’inizio della santa liturgia, e che destinerò ad una nostra parrocchia, mentre ricorda alle comunità civili il forte legame con la cattedrale, rammenta alle comunità ecclesiali l’obbligo di portare sull’altare di Dio le gioie e le ansie dell’intera città. Sì, è dovere di ogni comunità cristiana preghare per la propria città e il proprio paese. L’anno scorso, proprio il 31 dicembre, decisi che la messa domenicale delle 12 in cattedrale si celebrasse per la città. E vorrei che nelle nostre chiese si riscoprisse l’obbligo di pregare il Signore per le autorità che ci governano, e per voi in particolare, perché possiate svolgere il vostro servizio nel modo migliore possibile per la crescita del bene di tutti, a partire da quello dei più deboli.
Questa mattina sono stato a visitare i carcerati. Per fortuna le carceri del Sabbione non sono nelle tristi condizioni di tante altre. Ma come non pensare alla richiesta del Papa al Parlamento Italiano di dare “un segno di clemenza verso i carcerati mediante una riduzione della pena”?  Giovanni Paolo II premetteva che non voleva assolutamente “compromettere la necessaria tutela della pubblica sicurezza dei cittadini”. Eppure è stata triste la lentezza della risposta e ancor più triste la polemica che ancora ne segue. La giustizia non si può applicare disgiunta dai dettati costituzionali e dall’attenzione alla qualità della vita della società e di ogni singola persona.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci parla di pastori che si recano verso la grotta di Betlemme per guardare un bambino appena nato. Non andarono nei palazzi per incontrare i potenti, ma in una grotta per trovare un bambino. Questo è il Natale e la santa liturgia di questa sera ce lo fa rivivere: noi siamo i pastori e questa cattedrale è quella grotta. E il bambino? A me, come a tanti di noi, tornano le immagini del pranzo di Natale tenutosi qui in cattedrale. E’ stato una sorta di presepe alla rovescia: Gesù, vedendo venire i poveri, non ha fatto come noi che lo abbiamo mandato in una stalla, lui ha aperto le porte della cattedrale perché fosse per loro una casa. Ma non è stato solo un gesto: resta un insegnamento prezioso. Quel pranzo indica un orientamento per la vita, sia quella religiosa che quella civile. Insomma, tutti dobbiamo ripartire da Betlemme, da quel Bambino: è Lui che dobbiamo rimettere al centro, sono i poveri, è l’uomo, che deve essere posto al centro della nostra attenzione con un rispetto sacrale. Come vedete – per prendere un tragico fatto di questi giorni, ma che mostra fin dove si può giungere quando si è fuori di ogni prospettiva morale – siamo all’opposto di coloro che si mettono al posto di Dio per creare una creatura umana. Care sorelle e cari fratelli, la nostra cultura e i nostri comportamenti, anche quelli che ci appaiono più innocui, sono interpellati da queste mostruosità che rischiano di portarci alla distruzione dell’umanità. Tutto, vita religiosa e vita morale, vita spirituale e vita politica, tutto deve ripartire dal Bambino di Betlemme.
Di qui deve ripartire anche la vita della nostra chiesa diocesana. E’ bello, allora, rendere grazie al Signore per la crescita di attenzione al Bambino di Betlemme che c’è stata nella nostra dicesi: penso all’apertura della mensa dei poveri anche di sabato, alla casa per bambini a Terni, all’ambulatorio medico nel convento di San Martino, al centro di accoglienza di sant’Antonio per i poveri. E vorrei ricordare anche il nuovo centro giovanile inaugurato all’inizio di dicembre ad Amelia. E come dimenticare la gioia dei bambini albanesi di Turovice quando abbiamo inaugurato il centro per loro? E si è aggiunta anche quella dei bambini del Guatemala, o dei poveri del Perù, o delle famiglie del Kossovo, e quelli della nostra Missione a Ntambue e di tanti altri, penso a quelli aiutati dalle istituzioni pubbliche e private delle nostre città. Penso sarebbe opportuno trovare un momento per una riflessione complessiva su questa dimensione della vita della nostra terra. Il rispetto all’uomo e la crescita della stessa nostra società passa per questa strada. Se ci lasciamo toccare il cuore, i Bambini delle tante Betlemme di oggi troveranno consolazione come la trovò Gesù per l’arrivo di quei pastori. Così il Natale è vero anche quest’anno per noi.
Certo, anche oggi, come allora, il Natale viene dall’alto, come quel bambino, appunto, che viene dal cielo e diviene uomo. Egli ci svela con pienezza la vera dignità dell’uomo. Dobbiamo tornare a Lui per comprendere chi è l’uomo, qual è la sua santità: ossia essere figlio di Dio. Il rischio che la cultura dominante ci allontani da questa concezione per rendere l’uomo strumento della produzione, o del mercato o peggio servo di interessi di gruppi di potenti per i quali nulla conta la dignità umana, questo rischio purtroppo in alcuni ambiti è già divenuto realtà. Dobbiamo ripartire da quel Bambino. E’ dall’attenzione a a Lui che sgorga la cura dei poveri e dei deboli, e si comrende l’altissima dignità di ogni persona. E’ anche in questo orizzonte che va compresa l’attenzione della chiesa diocesana alla Domenica e in particolare alla Celebrazione Eucaristica. Molto triste è stata la proposta di abolire la Domenica come giorno di festa. Le motivazioni di tale proposta, prima che la religione, minano la concezione stessa dell’uomo appunto ridotto a una macchina da produzione. Con soddisfazione e, permettetemi, anche con orgoglio, ho visto invece la nostra chiesa crescere nell’impegno a vivere il mistero dell’Eucarestia della Domenica come centro della vita spirituale di ciascuno. Ed è non poco significativo che la nostra diocesi, forse la prima nella Chiesa latina, ha deciso di fare la comunione sotto le due specie eucaristiche in ogni celebrazione.
Potremmo dire che è l’alba di un nuovo tempo. E se già siamo lieti per i primi albori, quanto grande sarà la nostra gioia man mano che il sole della Liturgia Eucaristica illuminerà e scalderà la nostra vita! Quel pane e quel vino ci sostengono sempre, nei momenti lieti e in quelli tristi e difficili. Il Signore non ci lascia, non ci abbandona, ci ama a tal punto da diventare nostra carne e nostro sangue. E nella misura in cui la chiesa diventa eucaristica è come costretta ad un rapporto più forte con la stessa vita della città. Sì, tra l’Eucarestia e la città c’è un legame diretto: mentre la vivifica e l’arricchisce di energia nuova ne contesta i ritardi e le manchevolezze. E’ una riflessione questa che dovremo continuare con maggiore attenzione e più attenta responsabilità. Abbiamo sentito della qualità della vita della nostra terra. Come non porvi una maggiore attenzione? La Chiesa diocesana si sente legata fortemente alla città, a tutte le nostre città e ai nostri paesi. Credo sia chiesta a tutti una vitalità nuova, o forse una nuova nascita: quel Bambino che oggi ci ha riuniti ci spinge a camminare uniti con maggiore decisione, con più passione per creare un futuro comune per tutti.
Tanti altri eventi, sia delle parrocchie che dei diversi uffici e commissioni, hanno segnato la vita della nostra Chiesa. Non è possibile ricordarli tutti, ma permettetemi di ricordare almeno la consegna del Vangelo di Marco e immaginare che in ogni parte della diocesi ogni giorno scorra il sangue comune di quel vangelo. E poi di comunicarvi il valore del convegno fatto a Terni con la Chiesa Ortodossa Russa da cui nasce anche il viaggio di metà gennaio a Mosca per la consegna al Patriarca Alessio II delle reliquie di San Valentino. E’ un evento che sottolinea la dimensione universale che le chiese diocesane possono e debbono coltivare. Davvero rendiamo grazie al Signore per questo dono che fa bene all’intera chiesa cristiana.
E con il salmista cantiamo: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, fra tutte le genti la tua salvezza”. Amen