Messa con i Neocatecumeni
Questa santa Liturgia è chiamata “Gaudete”, dalla prima parola latina del canto d’ingresso, ed esprime la gioia della Chiesa per l’avvicinarsi del Natale. Oggi, questa gioia è come accresciuta per il dono dello Statuto che il Cammino Neocatecumenale ha avuto da parte del Pontificio Consiglio per i Laici. E’ una tappa significativa per il Cammino. Non che tutto ciò tocchi il cuore profondo del’esperienza evangelica. Sappiamo bene tutti che l’unica nostra vera, indispensabile, essenziale, alta e irrinunciabile regola è il Vangelo ascoltato e vissuto senza aggiunte. Su questo saremo giudicati, non certo sugli Statuti. E tuttavia, non avendo raggiunta la pienezza del Regno abbiamo bisogno di sostegni che ci aiutino a vivere e a convivere nell’armonia della grande e complessa famiglia ecclesiale. So quanta fatica e quanta sofferenza sono costate queste pagine. Ma eccoci ora alla conclusione di questa tappa. Siano rese grazie a Dio!
Era il 1969 quando il cardinale Dell’Acqua, allora Vicario di Roma, mi disse di andare ai Martiri Canadesi per partecipare alla liturgia domenicale. Desidero ricordarlo qui anche perché è stato il vescovo che mi ha consacrato sacerdote, ed è stato lui ad accogliere il Cammino a Roma. Gli anni che sono seguiti hanno visto espandersi il Cammino in ogni parte del mondo. Come voi tutti sapete non sono mancate le difficoltà, ma il Signore giuda i passi dei suoi discepoli. E li benedice. Certo, tutti siamo chiamati a seguire Lui e non noi stessi; tutti siamo chiamati a cogliere i segni dei tempi da Lui posti e non i nostri segni o la nostra ora; tutti siamo chiamati ad edificare quel popolo santo che Egli, e non noi, si è acquistato a caro prezzo. Ma se obbediamo a Lui non ci mancherà mai il suo sostegno.
Oggi, siamo radunati in questa cattedrale, casa comune della nostra Chiesa diocesana, per fare festa, per stringerci attorno a voi, care sorelle e cari fratelli del Cammino, e ringraziare assieme il Signore. E’ un ringraziamento che ci rende felici e festosi, ma assieme ci spinge a rassodare e a rafforzare l’impegno di comunicare il Vangelo in questa nostra terra. Noi tutti, infatti, esistiamo non per noi stessi ma per il Signore. Egli ci ha scelti per annunciare la guarigione ai malati, per proclamare la liberazione agli schiavi e ai prigionieri, per portare la consolazione ai poveri e agli angosciati, come scrive Isaia. Questa Santa Liturgia spinge tutti i credenti ad affrettare la preparazione del proprio cuore per accogliere il Signore. Egli è vicino; è vicino alla sua Chiesa; è vicino al mondo; è vicino a ciascuno di noi. Giovanni Battista ci viene incontro per ricordarcelo. Anche il Cammino, e ogni parrocchia e comunità, sono come il Battista: entrano quasi con forza, con violenza, per scuoterci dal torpore di una vita triste e grigia senza più attesa mentre le voci di questo mondo ci stordiscono con il loro chiasso. Sì, di chiasso ce n’è tanto, ma di profeti che sanno indicare un futuro giusto e bello per tutti ce ne sono davvero pochi. Per questo, con attenzione, poniamoci in ascolto del Battista, il più grande tra i profeti. Non è lui il Salvatore, non è lui il messia, e lo dice con chiarezza; non si è lasciato travolgere dalla gloria e dal successo nel vedere tanti che accorrono a lui. Noi, per molto meno, ci sentiamo dei piccoli messia e, comunque, pretendiamo testardamente di stare sempre al centro dell’attenzione. Quanto protagonismo, tante volte! Nella sua umiltà, tuttavia, Giovanni non si tira indietro, né si nasconde, anzi, cosciente della responsabilità che gli è stata affidata, afferma davanti a tutti: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore”.
Alla lezione di umiltà segue quella sulla responsabilità; una particolare responsabilità: essere “voce”. Ogni cristiano dovrebbe applicare a sé stesso le parole di Giovanni: “Io sono voce”. I credenti, per vocazione, sono “voce”, ossia comunicatori del Vangelo. Per questo ogni cristiano ha il grave e affascinante compito di comunicare il Vangelo al mondo. Paolo ammoniva se stesso: “Guai a me se non predicassi il Vangelo”(1Cor 9,16). Il credente, perciò, prima che un cumulo di opere, è una voce, è un testimone. Questa è l’unica vera forza del Battista. Certo, è una forza debole. Cos’è, infatti, una voce? Poco meno che nulla: un soffio. Basta davvero poco per non farci caso. E non ha poteri esterni che possano imporla. Eppure è forte, tanto che molti si accalcano attorno a quella parola per ascoltarla e accoglierla. La ragione sta nel fatto che quell’uomo non indica se stesso; non parla per attirare su di sé l’attenzione altrui; non blocca la gente desiderosa di guarigione e di salvezza sulle sponde di quel fiume, anche se benedette. Quella voce rimanda oltre, verso qualcuno ben più forte e potente: “In mezzo a voi c’è uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali”, dice Giovanni; e lo afferma ancora oggi.
E’ vero, infatti, che nella nostra terra c’è uno non si conosce. Fa impressione constatare quanto poco si conosca Gesù. Tutto ciò chiede a noi un nuovo sforzo missionario. Troppo spesso rischiamo di essere silenziosi, pigri, fiacchi, dimentichi dell’annuncio evangelico. Se il Battista è una voce che grida, noi invece ci scopriamo non di rado malati di afonia evangelica, pronti magari a farci tornar la voce quando si tratta di reclamare e difendere i nostri diritti o le nostre pretese. Questa festa di ringraziamento ci spinge ad essere sempre più “voce”. Le nostre città hanno bisogno di una voce forte che indichi il Signore; hanno bisogno di cristiani che testimonino e parlino con chiarezza del Signore e della sua misericordia. Gregorio Magno ammoniva i cristiani: “guardatevi dal rifiutare al prossimo l’elemosina della parola”. E sono in tanti a chiedere questa elemosina. Quanto amara è la constatazione del libro delle lamentazioni: “i bambini chiedevano il pane e non c’era chi lo spezzasse per loro”(4,4). Compito nostro è essere una voce che sa parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo per dire loro che il Signore è vicino, vicino a tutti e particolarmente ai poveri e ai deboli. In questo senso possiamo applicare anche a ciascuno di noi le parole di Isaia: “Lo spirito del Signore è su di me…mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri…a promulgare l’anno di misericordia del Signore”. E a ragione Gregorio Magno, nel brano citato, aggiunge: “Se non trascurate di annunciare la sua venuta per quanto siete capaci farlo, meriterete di essere annoverati da lui, come Giovanni Battista, nel numero degli angeli”. Siate anche voi, care sorelle fratelli del Cammino, gli “angeli” di questa terra.