Natale, messa dell’aurora

Natale, messa dell'aurora

Omelia per la messa dell’aurora in Duomo a Terni


 


 


Care sorelle e cari fratelli, questo che celebriamo è il primo Natale del nuovo secolo. Quello che è passato ci ha lasciato un’eredità di problemi, di attese, di sofferenze. Il nuovo secolo che viene come aperto da questo Natale chiede a tutti un nuovo slancio, anzi una vera e propria rinascita. Sì, il Natale torna non per fare un memoria vuota, non per passare un momento di intimità che poi viene come risucchiato dalla ordinarietà della vita. Il Natale torna perché tutti possiamo rinascere, perché questo nuovo secolo possa iniziare con una speranza nuova. Ma da dove iniziare questo nuovo tempo? Da dove prendere l’energia e la speranza? Scrive il Vangelo che abbiamo ascoltato che “appena gli angeli si furono allontanati, i pastori si dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. E l’evangelista aggiunge: “Partirono senza indugio”. Ecco come iniziare, ed ecco da dove partire. Da quella grotta, da quel bambino. Vorrei dire qui che per la nostra diocesi questo si è come avverato alla lettera, quando questa notte abbiamo iniziato le celebrazioni del Natale a partire dalla Messa di Mezzanotte celebrata sotto la tenda davanti la chiesa di San Faustino lesionata gravemente dal terremoto dei giorni scorsi. Se il terremoto ha impedito di celebrare dentro la chiesa, noi abbiamo accolto il Signore sotto una tenda, prendendo quasi alla lettera le parole del Prologo di Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto a porre la sua tenda tra noi”. Sì, da quella tenda dobbiamo ripartire. I pastori infatti si recarono in quella stalla e lì trovarono “Maria e Giuseppe e il Bambino che giaceva in una mangiatoia”. Il Natale è tutto qui. Raccoglierci attorno a quel Bambino che sta in una mangiatoia perché non c’era posto per lui nell’albergo. E’ un mistero d’amore incredibile. Noi facciamo bene ad allestire il presepe, e a commuoverci almeno un poco. Ma questa bella e delicata tradizione non deve farci dimenticare la realtà ch’essa esprime, ossia una città, Betlemme, che non ha accolto Gesù che nasceva. “Non c’era posto per loro”, scrive Luca amaramente. E quante volte anche oggi dobbiamo scrivere questa stessa frase! “Non c’è posto per gli stranieri, per i poveri, per i soli, per i malati, per gli antipatici, per i deboli, per chi non conta, per chi è lontano…!” Vorrei dire che il Natale visto dalla parte degli uomini ha i tratti dell’inaccoglienza se non della crudeltà. Ma oggi, giorno della nascita di Gesù, siamo sorpassati dalla misericordia e dall’amore di Dio. Sì, il Natale, dobbiamo vederlo dalla parte di Dio, allora scopriamo che è un amore incredibile, fuori ogni misura. Il Signore Gesù scende dal cielo e pur di starci accanto nasce in una stalla. Come, allora, non commuoversi ?


E’ incredibile che Dio venga sulla terra e accetti anche una stalla; ma quel che ci lascia ancor più sconvolti è che si presenti come un bambino, che tra tutte le creature è il più debole. Chi mai avrebbe solo potuto pensarlo? Eppure il Natale è tutto qui: un Dio fragile bambino. “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”, dice l’angelo ai pastori. Essi vennero e si strinsero attorno a quel bambino. Quei pastori, ritenuti tra la gente più disprezzata del tempo, sono i primi ad accorrere in pellegrinaggio attorno a quel bambino. Essi, in certo modo, anticipavano un detto caro a Gesù: “i primi saranno gli ultimi e gli ultimi primi”. Quella piccola famiglia nella grotta, circondata dai pastori, è l’immagine della comunità cristiana, della Chiesa di Dio. Anche noi vogliamo unirci a quei pastori in uno spirituale pellegrinaggio verso la grotta di Betlemme. Anche questo duomo diviene una nuova Betlemme. Come in quella grotta di duemila anni fa, anche oggi è il Bambino che sta al centro, non noi stessi come di solito facciamo e imponiamo. E’ il bambino che viene posto davanti ai nostri occhi. E come tutti i neonati, non sa parlare, anche se è la Parola fattasi carne. Forse si esprime solo con un pianto implorante: vuole toccare il cuore di ognuno. Il Natale, che ci vede immersi in una sorta di “ecumenismo” consumista che tutto omologa e confonde senza peraltro soddisfarci, chiede ad ognuno di noi almeno di ascoltare questo pianto che implora aiuto e protezione.


Assieme al Bambino di Betlemme lo chiedono i bambini poveri, sfruttati e violentati di ogni parte del mondo; lo chiedono gli anziani, anch’essi esclusi dalla vita. Non chiedono molto, implorano solo di far parte della famiglia umana. E lo domandano anche gli stranieri, quelli che hanno fame e sete, gli oppressi dalle guerre e dalle ingiustizie, i disperati e gli angosciati del nostro mondo. In loro nome, implorando e piangendo, il Bambino di Betlemme chiede a tutti un po’ d’amore. Sì, Natale è una domanda di amore per i deboli. Il Natale ci esorta ad uscire dalla cura delle proprie greggi, ad abbandonare l’orgoglio prepotente e capriccioso che costringe alla notte dell’egoismo, e ad avviarci verso quel bambino, come i pastori. Quel bambino, infatti, è la persona decisiva per la nostra vita e per quella del mondo intero. Chi guarda il Signore e non se stesso o i tanti idoli di questo mondo, ritrova la felicità e il senso della vita. A Natale non importa la condizione in cui siamo, non contano neppure i pesi che ci opprimono o i problemi che ci attanagliano. Tutto ciò fa ancora parte della nostra notte. Quel che conta è andare a vedere Gesù; è trovarsi attorno a quella mangiatoia, come noi questa mattina. E’ trovarsi assieme al pranzo di Natale con un gruppo di anziani che si svolgerà oggi nell’episcopio; è andare nel carcere di Terni, come farò oggi pomeriggio, per stare assieme ai carcerati e far sentire a loro, lontani dalla casa e dagli affetti, almeno un pò di calore, quello che scaldò il bambino nel freddo della notte di Betlemme. Questo è il Natale di cui abbiamo bisogno. Buon Natale a ciascuno di voi! Buona rinascita all’amore e alla misericordia!