Sacra Famiglia a Colle dell’Oro

Sacra Famiglia a Colle dell'Oro

Care sorelle e fratelli,


 


questa liturgia segue di pochi giorni la celebrazione del mistero del Natale. Quel Bambino, piccolo e debole, che abbiamo accolto e che sta al centro delle nostre chiese, ci ha rivelato la grandezza dell’amore del Signore per il mondo e per ciascuno di noi. E’ un mistero grande che ci è stato donato e che dobbiamo custodire e comprendere. Non sempre il Natale è compreso. Rischiamo anzi di smarrirlo tra il luccichio e la dissipatezza. Sono vere anche per noi le parole che l’angelo disse a Giuseppe: “prendi con te il bambino e sua Madre”. Sì, dobbiamo prendere con noi il Bambino e sua Madre, la Chiesa, e tenerli stretti con noi. E’ facile perderlo. Sappiamo tutti, anche per esperienza personale, che non basta una fedeltà esteriore a riti religiosi per non perdere quel Bambino, e neppure è sufficiente una qualche partecipazione alle tradizioni per conservare nel cuore le forza di “quell’avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2, 15). Se continuiamo a concentrarci su noi stessi, se continuiamo a stabilirci sulle nostre posizioni, se continuiamo a bloccarci sulle nostre convinzioni, anche senza accorgercene, rischiamo di perdere questo mistero che ci è stato donato e affidato. Pensate! Accadde così anche a Maria e Giuseppe. Lo abbiamo ascoltato dal Vangelo. Essi, presi appunto, appunto, dalla confusione della partenza da Gerusalemme, fecero poca attenzione al bambino e, senza accorgesene, come dice il Vangelo, lo persero. Non fu così quando Giuseppe obbedì subito all’avvertimento dell’angelo e salvò Gesù e la Madre dall’ira omicida di Erode. Questa volta, senza l’aiuto dell’angelo, anche Maria e Giuseppe lo persero. E appena se ne accorsero si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti, come era normale pensare, ma non lo trovarono lì. Dovettero tornare indietro per trovarlo nuovamente. Potremmo dire, che per trovare Gesù c’è sempre bisogno di convertire la propria rotta, il proprio cuore, c’è sempre bisogno di tornare indietro. E lo trovarono a Gerusalemme, tra i dottori, nel tempio. Essi, si meravigliarono di questo, al punto da rimproverarlo: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, ti cercavamo!” In verità, non avevano capito. Il Signore non stava dove loro pensavano o dove loro volevano. Stava altrove. E il Bambino glielo spiegò: “Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?” Gesù doveva stare nella casa del Padre. Avrebbe potuto applicare a se stesso, fin da allora, aveva appena 12 anni, la frase della Scrittura che dice: “lo zelo per la tua casa mi divora” (Gv 2,17).


Questa pagina evangelica, care sorelle e cari fratelli, ci richiama al primato del rapporto con la Scrittura da parte di ogni discepolo. Qui potremmo dire: al primato dell’ascoltare e dell’interrogare coloro che conoscono la Parola di Dio. Scrive Luca che Gesù stava “nel tempio seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava”. Lui, Parola fattasi carne, ha avuto bisogno di ascoltare e di interrogare. Quanto più dovremmo farlo noi, così spesso distratti e lontani anche ad una età molto più avanzata di quella del ragazzo di Nazareth? Il brano evangelico che abbiamo ascoltato riassume tutto il segreto della vita di Nazareth: ossia applicarsi all’ascolto e all’interrogazione della Parola di Dio. L’evangelista lo esemplifica parlando di “tre giorni”, potremmo dire, trenta anni, o anche l’intera vita. Sì, ogni giorno deve essere come quei giorni di Gesù al tempio, fitti di dialogo, di domande e di risposte, con chi conosce la Parola di Dio. Ecco il perché ho voluto consegnare il Vangelo di Luca a ciascuna persona della diocesi: perché ogni giorno potessimo ascoltare almeno un piccolo brano del Vangelo.


Quel Vangelo consegnatovi è un po’ come Gesù a Nazareth. Maria e Giuseppe vivevano per lui. Era lui il tesoro di quella famiglia. Così deve essere anche per le nostre famiglie. Maria, la madre di Gesù, ci è di esempio: conservava nel suo cuore tutte queste cose. Anche noi dobbiamo conservare nel cuore le pagine del Vangelo e così cresceremo, come Gesù, “in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e davanti agli uomini”. Dobbiamo crescere nell’amore, nella comprensione reciproca, nel perdono. Sì, all’inizio del nuovo secolo, bisogna far rinascere una cultura dell’amore: una cultura in cui non si viva solo per se stessi; una cultura che faccia stimare la misericordia; una cultura che faccia sperare che la fede e l’amore possano spostare le montagne di odio e di dolore che gravano sulla vita degli uomini. Bisogna far sgorgare dal Vangelo, letto giorno dopo giorno, quella pietà che sembra mancare, quella forza di pace che può vincere i conflitti e appianare la via della felicità.