Lo scandalo del Vangelo contro i miti del benessere

Beatitudini, il manuale della felicità

La felicità del Vangelo è una conquista più che un possesso e non è circoscritta a un aspetto o a un momento della vita; concerne l’intera persona e la globalità della sua esistenza. Per questo fede e felicità sono congiunte, è difficile l’una senza l’altra. È vero che tutti affermano di cercare la felicità, ma essa pretende cose che non sempre si è disposti a dare, contentandoci di qualcosa di meno. In un mondo come l’attuale è impossibile trovarla là dove la morte, la violenza e l’ingiustizia fanno da padroni, né in quella piccola parte del mondo dove gli uomini e le donne sono più fortunati: come si può vivere felici pensando che la maggioranza è in condizioni drammatiche? Sono decadute le grandi passioni ideali e le utopie e siamo entrati nel nuovo secolo a testa bassa, scarichi di tensioni e di passioni. Anche di felicità, omologata all’idea di benessere per sé. In una società ricca, tranquilla e consumista, ove è bandito lo spazio per l’altro essa diviene un’aspirazione mediocre, tranquillità e benessere da ottenere subito e a qualsiasi costo. L’apostolo Paolo dice: «Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno amanti di se stessi (philautòi)» (2Tm, 2). Proprio l’amore per se stessi è all’origine della competitività che mette gli uni contro gli altri. Per questo si cerca rifugio negli oroscopi e nello spiritualismo, pur di trovare una sponda a cui aggrapparsi. Uno dei nodi della cosiddetta rinascita religiosa è nel bisogno di credere in qualcosa, in qualsiasi cosa che dia tranquillità. Già presso i Greci essa non è un pacifico e duraturo possesso ma un dono: essa, infatti, appartiene solo agli dei. In qualche modo l’uomo la può meritare ed è frutto fluttuante di una conquista che fa quasi identificare la felicità con la fortuna. Per l’ebraismo la felicità è pienezza di vita: innanzitutto in riferimento ai beni terreni, ma con i libri sapienziali vi è come una progressione, potremmo dire un approfondimento, con l’apertura alla dimensione escatologica, che verrà ripresa più chiaramente dal Nuovo Testamento. Le Beatitudini evangeliche riguardano esplicitamente l’annuncio escatologico. Non per spostare la felicità alla fine della vita o della storia, piuttosto per affermare che essa è già di oggi, anche se impastata con la finitudine della storia, mentre al termine apparirà nella sua pienezza. La felicità è il cielo che irrompe sulla terra per trasformarla. Il Vangelo, parlando della beatitudine, rovescia completamente i valori terreni: è il contrario del benessere individuale, della philautìa. Non si misura sulla propria realizzazione o benessere, ma sul «regno di Dio», ossia sull’utopia dell’amore. Il linguaggio paradossale, e perciò talora contraddittorio, è il modo evangelico di esprimere questa utopia escatologica, profetica e contrastante con l’idea corrente di felicità. La beatitudine evangelica è una proposta piena, persino eccessiva. Ma forse è di questo eccesso di amore che c’è bisogno.


da “Avvenire”