Incontro di civiltà

Incontro di civiltà

Il  28 ottobre di quarant’anni fa veniva firmata a San Pietro la dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla Nostra aetate: si tratta di un documento – il primo nella storia della Chiesa – in cui si scrive che nel profondo di ogni religione c’è una scintilla di Dio.
In ogni religione: a cominciare dalla cristiana, ovviamente, ma anche nell’ebraismo, nell’islam, nell’induismo, nel buddismo.
Si tratta di un passo storico per la Chiesa, se pensiamo che la teologia tradizionale fino alla metà del secolo XX non consentiva un vero dialogo con le religioni non cristiane. L’atteggiamento di chi entrava in contatto con esse, come ad esempio nei paesi di missione, era quello di chi andava a illuminare con la luce della vera fede le tenebre senza speranza dei pagani.

Trovo, quindi, particolarmente importante e significativo che a quarant’anni dal Concilio che ha prodotto quel documento rivoluzionario, nasca un festival come “Cielo e terra” che, attraverso l’arte del cinema, realizza quell’intuizione del Concilio, mostrando come anche nelle diverse religioni si colga la scintilla divina.

Qualche decennio fa si affermava che le religioni sarebbero scomparse entro poco tempo o sarebbero state relegate nel privato. Invece sono ritornate prepotentemente sulla scena, a volte, purtroppo, con esiti drammatici. Per questo qualcuno le teme, e addossa sulle religioni le colpe dei conflitti e del terrorismo.

In realtà è vero esattamente il contrario: sono le false religiosità, sono le false credenze che approfondiscono determinati conflitti. Basti pensare alle crociate: i fondamentalisti erano sempre i crociati che venivano dall’Europa, mentre i cristiani che vivevano in Palestina avevano maturato una “civiltà della convivenza” fatta anche di scambi economici e culturali con i musulmani.

Non esiste, quindi, lo “Scontro di civiltà”, semmai, esiste lo Scontro di inciviltà!

Il conflitto nasce quando non ci si conosce: questo capita anche tra le persone. Anche marito e moglie entrano in conflitto quando non si capiscono, figuriamoci i popoli.
Il fatto che nell’arte possano confrontarsi e incontrarsi – e con straordinari frutti – popoli e religioni, con tutto il loro bagaglio culturale e spirituale, è la dimostrazione che nella società in cui viviamo non esiste lo scontro tra le civiltà o le religioni, ma piuttosto tra chi ricerca il vero e il bello e chi invece si accontenta dalla banalità del male o dal proprio particolarismo.

Ecco perché dare spazio alla presentazione dell’anelito religioso attraverso l’espressione artistica, aiuta a capirlo e a tirarci fuori da semplificazioni o da banalizzazioni. Ecco perché un festival del cinema. Perché la dimensione dell’arte, nella sua più ampia prospettiva, è quella che riesce a cogliere con maggiore immediatezza le dimensioni profonde della vita umana, del senso della vita,  della felicità, della pace, della concordia.

Particolare significato assume poi il fatto che il festival cinematografico “Popoli e religioni” nasca in Umbria.
E’ la terra da cui è decollato il successo mondiale di Roberto Benigni, un “giullare” che con i suoi film ha unito in un unico abbraccio – fatto di lacrime e di risate – gente di ogni paese, cultura, lingua, religione del mondo.
Ma è anche la terra da dove un altro “giullare” è partito alla conquista del mondo intero: Francesco d’Assisi, uomo del dialogo e della riconciliazione come pochi altri, che andò tra gli ‘infedeli’ non per predicare, non per imporre la propria visione religiosa da una posizione di forza, fosse pure la certezza della verità, ma per portare la pace e riconoscere i semi di verità e di bene che lo Spirito, comunque venga riconosciuto e chiamato, fa fruttificare anche tra coloro che non sono cristiani.

Emblematico il suo viaggio in Egitto e l’incontro con il sultano  Malek Al Kamil:  una vera e propria ‘prova generale’ di quello “Spirito di Assisi” che sarebbe nato settecento anni dopo con il primo grande incontro convocato da Giovanni Paolo II con i rappresentanti di tutte le religioni del mondo, e che oggi viene portato avanti – ogni anno – dalla Comunità di Sant’Egidio.
Francesco parla di Dio con il sultano musulmano, poi torna ad Assisi senza averlo convertito e senza aver perso la certezza della propria fede, ma con dei preziosi doni e con una preghiera nuova, le Lodi di Dio Altissimo, che riecheggia I 99 nomi di  Allah, espressione della pietà islamica.
Altrettanto significativo è poi che nella Regola Francesco scriva che i frati che vanno tra gli infedeli “non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani”.

Anche oggi, come allora, il mondo è pieno di conflitti, basti pensare alla tragica situazione dell’Iraq o dell’India. Il futuro del mondo dipende allora dalla capacità che avremo di conoscere e riscoprire le nostre tradizioni religiose e quelle degli altri popoli.

da Adesso n.37 – autunno 2005