Laici e credenti a confronto: all’inizio del nuovo secolo

Intervento all'incontro "Uomini e religioni" - Lisbona 2000

Anche nell’incontro di questo anno non manca una tavola rotonda che vede a confronto laici e credenti. Vi è però nel titolo un’aggiunta che specifica il tema: confronto all’inizio del nuovo millennio. Alla riflessione sul rapporto tra queste due culture si aggiunge il contesto storico: l’inizio di un nuovo secolo. E come ad ogni inizio si fanno bilanci e si intravedono prospettive.


Un pittore italiano, all’inizio del Novecento, rappresentò il secolo che stava per iniziare con una singolare immagine: un treno che correva alto sull’Oceano. E’ una immagine suggestiva qui in Portogallo, da dove per tanti secoli si è partiti verso gli oceani. Il pittore esprimeva una convinzione comune a tutti. Sia la destra che la sinistra, infatti, pensavano che la storia del XX secolo sarebbe stata un progresso inarrestabile, appunto come un treno imbandierato che correva indisturbato verso la felicità. Bastarono pochi anni e quel treno era già pieno di cadaveri. Sappiamo tutti come è proseguito il viaggio. Il treno è arrivato pesante all’ultima stazione. Ma non è terminata solo la corsa del secolo. E’ terminato un mondo, quello del Novecento; un mondo che ha visto progressi incredibili, ma anche tragedie inaudite, mai accadute prima nella storia.


E’ terminato il mondo diviso in due blocchi e siamo entrati nella zona grigia di un mondo divenuto improvvisamente più complesso. Non ci sono più le sicurezze di ieri, anche se erano terribili, e tutti siamo come circondati da insicurezze, anch’esse non meno drammatiche. Per di più, quello che doveva essere un nuovo ordine mondiale, si è trasformato in un disordine pericolosissimo. Chi aveva parlato di fine della storia oggi fa autocritica e parla piuttosto di caos ingovernabile, mentre si fa avanti la tesi di un futuro fatto di “conflitti tra le civiltà”. I conflitti, è vero, sono quasi tutti regionali, ma si moltiplicano velocemente. Basti pensare che i peace keeping, negli ultimi dieci anni del Novecento, sono passati da 10.000 soldati a più di 80.000.


Il crollo delle utopie e la fine delle ideologie, ci ha resi tutti più deboli. Si potrebbe dire che siamo entrati nel nuovo secolo un po’ a testa bassa, come ripiegati su noi stessi. Ovunque scarseggiano speranze, sogni e progetti globali. Sarebbe difficile oggi per un pittore immaginare il XXI secolo come un treno che corre veloce, imbandierato e alto sull’Oceano. Si potrebbe dire che oggi i treni corrono dappertutto (è la globalizzazione), ma corrono in basso e senza ordine: è ovvia la frequenza degli scontri. Aldilà della metafora, ci troviamo in un momento delicatissimo della storia umana che richiede un sussulto di coscienza da parte degli spiriti più attenti, sia laici che credenti, ben sapendo che non ci si salverà da soli, che non si arriva alla meta se ciascuno persegue la sua corsa indipendentemente dagli altri e senza una visione comune. Le riflessioni del presidente Giuliano Amato era più che evidenti: un mondo che vede allargarsi sempre più la distanza tra ricchi e poveri, per fare un solo esempio, non può evitare il tracollo. Ecco perché le diverse tradizioni culturali e religiose, pur salvaguardando le rispettive identità e la loro autonomia, debbono stringere un nuovo patto. E’ in gioco non solo la loro sopravvivenza ma la salvezza stessa del pianeta.


La Comunità di Sant’Egidio, dopo lo storico incontro di Assisi del 1986, accanto al dialogo tra credenti di diverse fedi, ha sentito l’urgenza di favorire anche il dialogo tra umanesimo laico e umanesimo religioso, come Andrea Riccardi ieri ricordava. Già il Concilio Vaticano II aveva aperto il campo al dialogo tra credenti e non credenti. Possiamo ricordare, tra l’altro, l’enciclica di Paolo VI, “Ecclesia suam”, tutta dedicata al dialogo, sia dentro che fuori la Chiesa. Le condizioni culturali e politiche di quegli anni portarono a restringere il dialogo con i non credenti al mondo socialcomunista, in riferimento al blocco dei paesi che avevano fatto dell’ateismo una componente essenziale del sistema politico. Era, pertanto, più che un confronto tra due culture, un confronto tra due “religioni”, tra due fedi che avevano nel “messianismo” uno dei loro cardini. Ovviamente, erano ben presenti in questi incontri una serie di risvolti “politici” tesi a stringere legami tra Est ed Ovest. Tali incontri rappresentarono comunque momenti importanti soprattutto per l’Europa.


Il mondo più propriamente laico sfuggiva a questo bipolarismo. E la ragione credo debba cercarsi nel fatto che i laici non hanno mai avuto né una “comunità” di appartenenza, fosse una Chiesa o un partito, né una ideologia messianica vera e propria. Non è mio compito delineare qui i tratti del pensiero laico europeo. L’amico Poulat è maestro in questo e saprà darci indicazioni molto più appropriate. Certo, i laici hanno spesso assunto toni polemici, a volte persino antireligiosi, anche perché dall’altra parte non mancavano dosi massicce di intolleranza. Del resto, è un principio fisico che ad ogni azione ne corrisponde un’altra uguale e contraria. Insomma, ad ogni clericalismo si contrappone un anticlericalismo, e viceversa. Ma non di rado la forza del pregiudizio si è allargata e irrobustita anche in coloro che facevano professione di libertà e di tolleranza. Il noto poeta portoghese, Ferdinando Pessoa, non a caso scriveva nelle sue Poesie esoteriche: “Nao haver deus è un deus tambén” (non aver dio è un dio anch’esso).


Oggi mi pare che le cose siano mutate, sebbene non bisogna abbassare la guardia di fronte a risorgenti intransigentismi. Anche il pensiero laico si muove in un’altra direzione. L’amico Arrigo Levi, per fare un esempio vicino a Sant’Egidio, ha messo in evidenza anche la dimensione della “fede laica” che egli distingue sia dalla convinzione atea che da quella religiosa. Sono seguiti vari interventi che hanno suscitato, in Italia, un notevole interesse. Non possiamo ora affrontare questa pista del discorso, tuttavia almeno un interrogativo credo sia necessario evidenziare: è possibile vivere senza una qualche fede? Insomma, si può vivere solo di ragion pura, per dirla kantianamente? A mio parere, anche la professione di ateismo nasce da una scelta. Come, infatti, la ragione non costringe a credere, così pure non obbliga a non credere. La scelta dell’una o dell’altra posizione non è la conclusione obbligata e stringente della pura ragione, ma appunto una scelta esistenziale alla quale, ovviamente, la ragione non è estranea. Oggi, lo stesso sapere scientifico si distanzia dalle certezze della ragione. Non possiamo fermarci su questo punto che richiederebbe, tra l’altro, anche una riflessione sul concetto di verità, se cioè la cultura occidentale non abbia dimenticato la dimensione ebraico-biblica per accentuarne solo quella greca.


Vorrei, invece, fermarmi su un altro aspetto del dialogo laici-credenti. Gli incontri avuti in questi ultimi anni hanno fatto emergere sempre più quanto sia radicato il rapporto tra i due umanesimi nella cultura europea. Se la parte del leone sino ad ora era stata presa dal confronto tra cristianesimo e marxismo, lo si doveva alla particolare contingenza storica della divisione del mondo in due blocchi. La caduta del muro ha rimesso in gioco le parti. E oggi si scopre quanto le ragioni dell’incontro tra laici e cattolici siano radicate nel cuore stesso della tradizione europea. Certo, dall’illuminismo in poi sono stati percorsi itinerari autonomi e spesso contrapposti, basti pensare alla difesa laica della tolleranza, della libertà, della soggettività, contro una parte consistente del cattolicesimo. Ma all’inizio del XXI, le grandi sfide che abbiamo davanti, da quelle della progettualità politica a quelle della salvaguardia dell’ambiente, da quelle relative alla bioetica a quelle della globalizzazione, richiedono di riscoprire e di rinsaldare il rapporto tra la cultura laica e cultura cristiana. Insomma, se il noto filosofo italiano, Benedetto Croce, affermava: “perché non possiamo non dirci cristiani” per sottolineare appunto l’apporto decisivo del cristianesimo alla cultura europea, anche noi cristiani possiamo affermare: “perché non possiamo non dirci laici”, vista la salda acquisizione nel cattolicesimo di temi come la libertà religiosa, la tolleranza, il valore della persona e la difesa dei diritti dell’uomo e dei popoli.


Anche in questo incontro tra laici e cattolici si deve perseguire la via semplice e profonda auspicata da Giovanni XXIII: cercare quel che unisce e mettere da parte (senza rinnegare, ovviamente) quel che divide. Non si tratta solo di un atteggiamento strategico, ma di uno stile di vita. La piccola esperienza che la Comunità di Sant’Egidio ha fatto in questo campo è significativa. Non faccio la storia degli incontri che abbiamo organizzato, ma già solo uno sguardo veloce ai temi che via via sono emersi mostra la preziosità di tali confronti. Forse il dialogo più elaborato è stato quello ricordato con Arrigo Levi, iniziato proprio all’interno di questi incontri di preghiera per la pace. Era il dramma del futuro del mondo, messo in serio pericolo dalla minaccia nucleare, a esigere a suo parere una sorta di ecumenismo tra laici e cattolici. E se la preoccupazione di Levi si poneva sul piano di politica generale, quella dello Eugenio Scalfari si riferiva al piano etico. In uno dei nostri dibattiti egli chiedeva al cardinale Martini come arginare la crescita esorbitante dell’egoismo che rischiava di travolgere la vita stessa dell’umanità. E non posso non ricordare lo splendido discorso di Mario Soares ad Assisi. In quella occasione egli sottolineò la comune responsabilità dei credenti e dei laici, nell’allontanare ogni intolleranza e fondamentalismo per incamminarsi verso la costruzione di un mondo solidale. E quanti rimasero colpiti dalla conclusione del suo discorso con la preghiera di San Francesco! Vi è poi l’interrogativo, questa volta più filosofico, del laico Norberto Bobbio il quale, di fronte alle certezze del credente e alle incertezze del laico, si chiede se il laico non debba rispettosamente fermarsi sulla soglia del mistero. E Felipe Goncales, in un dibattito tenuto a Barcellona con il sottoscritto, riconosceva, dopo aver riprovato i diversi fondamentalismi religiosi, che “c’è anche un fondamentalismo laico che viene a complicare la scena”, e riprendendo le parole di Machado: “Dios nos libre de un dios existente” auspicava un accordo tra laici e credenti per un comune denominatore etico per costruire assieme il futuro del mondo. Ed in effetti è sempre più forte la tendenza a ricercare “un’etica planetaria” o “un’etica mondiale” che presieda ai gravi problemi posti dalle nuove condizioni del pianeta. E Giuliano Amato, che ha partecipato a vari momenti di questo serrato dibattito tra laici e credenti, riconosce da laico che i credenti “hanno una marcia in più”, o meglio un sovrappiù d’amore. I credenti, dice, e si riferiva in particolare a Giovanni Paolo II, hanno una capacità di radunare le persone e di indicare prospettive che i laici non hanno. I laici, sottolinea Amato, sembrano essere privi della forza dell’amore.


Sono solo alcuni dei temi emersi nei vari incontri, e credo debbano far parte del bagaglio di riflessione all’inizio di questo nuovo millennio. Il XXI secolo si trova stretto tra globalizzazione e frammentazione con tutto ciò che questo comporta. E, seppure in modo nuovo e forse con urgenza maggiore, tornano ad interrogarci le antiche domande di sempre: possiamo sperare di costruire un mondo senza violenza, sena miseria, senza egoismo? Io credo che l’orizzonte comune che può raccogliere i due umanesimi è la via della carità, o se volete la via dell’amore: utopia di solidarietà e di fraternità. Questa dimensione l’ho ritrovata presente, seppure in diversi modi, in tutti gli interlocutori laici che ho potuto incontrare. Ed è una prospettiva che non si riduce semplicemente alla ricerca di un’etica comune, di un’etica planetaria come si dice. Perché non è in gioco solo il comportamento delle persone ma il senso stesso della vita. L’incontro tra laici e credenti, in questo inizio secolo, sarebbe riduttivo se si collocasse unicamente nella ricerca di un minimo comune denominatore etico. Credo sia necessaria un’audacia maggiore.


Luc Ferry, uno dei filosofi laici francesi più attenti a questa problematica, l’ha ben compreso. Riprendo le sue parole: “Dopo il relativo regresso delle religioni, dopo la morte delle grandi utopie che inserivano le nostre azioni nell’orizzonte di un vasto disegno, la questione del senso non trova più un luogo dove esprimersi a livello collettivo…resta confinata nell’intimità della più stretta sfera privata. Traspare solo in occasioni eccezionali, lutti o malattie gravi”. E’ il vuoto. E all’orizzonte – aggiunge il filosofo – non appaiono tracce di un nuovo “grande disegno” che ridia significato alla vita e al mondo. E aggiunge che se si vuol evitare il rischio di cadere nel baratro del nulla, non basta un semplice “ritorno all’etica”. E’ necessario che essa sia irrobustirla con i tratti della religiosità: “La morale è utile e anche necessaria: ma rimane nell’ordine negativo del divieto. Se le etiche laiche, anche le più sofisticate e più perfette, dovessero costituire l’ultimo orizzonte della nostra esistenza, ci mancherebbe ancora qualche cosa, per la verità l’essenziale. E questo qualche cosa, naturalmente, ci è rivelato nel modo più chiaro dall’esperienza di quei valori che i comunitaristi chiamano “carnali” o “sostanziali”. A cominciare dal più alto: l’amore (sia degli individui sia delle comunità di appartenenza)”.


Credo che Ferry, al di là della sua interpretazione sulla fine delle grandi religioni che mi pare ingenua, ha colto il cuore del problema contemporaneo, e particolarmente la questione di questo inizio secolo. Egli auspica la costruzione di una religiosità laica intramondana, non trascendente. Non basta solo l’etica, c’è bisogno del senso della vita e della storia. E’ per lui l’irrinunciabile senso religioso della vita, sebbene resti all’interno del mondo. Mi chiedo se il prologo del Vangelo di Giovanni non venga incontro a questo anelito quando afferma che il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo agli uomini. Comprendo che questa non è la conclusione, ma è una via per incontrarci. Potremmo allora parafrasare la nota frase di Heidegger e dire: “Solo l’amore ci salverà!”