La ragione della religione

Intervista dell'Espresso



di Wlodek Goldkorn




Per Benedetto XVI la razionalità, il Logos, è nel cuore della fede. La fede quindi non è solo carisma ma parola che può essere spiegata e compresa anche con gli strumenti della logica: ragione per cui, a sua volta, ogni dialogo con altre confessioni e religioni passa per la parola. Ecco perché il dialogo con l’Islam, indispensabile e urgente, deve vedere valorizzato l’ambito culturale. Dobbiamo dare una mano ai musulmani per trovare le parole che siano in grado di far fronte alla modernità. Perché anche all’interno di quel mondo c’è chi parla della necessità di «compiere in un’ora un viaggio lungo diversi secoli». Sbaglia invece chi esalta coloro che dicono che il dialogo con l’Islam non è possibile. Però, attenti, è una pericolosa illusione pensare che il pontefice possa da solo salvare il mondo. Intanto perché mentre ogni papa segna la Chiesa con i suoi insegnamenti anche la Chiesa segna ogni papato: il tutto in un mondo che cambia, e dove l’incontro con l’altro muta anche le identità e i modi di essere e di agire di chi a quell’incontro partecipa. E infine, ricordiamocelo: per papa Ratzinger la razionalità e quindi la fede non ammette violenza compiuta in nome di Dio.  



È quanto emerge dal colloquio con Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, presidente della Commissione ecumenismo e dialogo della Conferenza episcopale italiana e uno degli animatori  della comunità di Sant’Egidio. “L’espresso” incontra monsignor Paglia mentre nel mondo islamico la protesta contro le parole del papa a Ratisbona si tramuta in una minaccia diretta di Al Qaeda contro il Vaticano.



Monsignor Paglia, cosa sta succedendo?



«Durante il suo viaggio in Germania il papa ha continuato il suo discorso di sempre, che riguarda la centralità del problema di Dio nel suo rapporto con il mondo. A Monaco ha messo in guardia gli europei dal costruire una società che nega Dio perché ne va di mezzo la società e l’uomo. Il pontefice voleva dire che l’Occidente non fa paura ad altri per il progresso scientifico, ma per la mancanza di Dio».



Fin qui è la continuazione del discorso di papa Wojtyla…



«E anche a Ratisbona ha continuato, a mio avviso, questo discorso: non ha parlato però dell’assenza di Dio, ma della qualità di Dio. Ha detto: noi non abbiamo bisogno di un dio qualsiasi. Perché papa Ratzinger, già fino dalla Enciclica “Deus caritas est”, propone un dio dal volto umano, un dio che entra nell’orizzonte della ragione. Il papa vuole mettere in guardia i credenti, approfondendo l’enciclica di Wojtyla “Fides et Ratio”, da una fede slegata dalla razionalità, e quindi da un dio arbitrario e volontaristico. Sorprende (piacevolmente i laici) caso mai, che il papa per parlare di Dio parla della ragione. E cita l’imperatore Manuele II Paleologo proprio per dire che non agire secondo la ragione (il Logos) è contrario alle ragioni di Dio. Una conseguenza immediata di tutto questo discorso è che la fede non può essere imposta con violenza, ma deve essere proposta con le parole e con il dialogo. Il cuore di quel passaggio è dissociare la religione dalla violenza e legarla indissolubilmente alla ragione».



Parole di buon senso. E allora perché una gran parte dell’Islam è in subbuglio?



«Perché qualcuno ha voluto estrapolare dal suo contesto una frase che poteva sembrare offensiva nei confronti dell’Islam, ma da cui il papa, nel testo stesso, prende più volte le distanze».



Solo una questione dell’esegesi sbagliata di un testo?



«No. Il clima surriscaldato, il complesso antioccidentale e, in quell’ambito, la figura stessa del papa hanno fatto scattare le proteste e le minacce. E non vanno dimenticate le strumentalizzazioni».



Non c’è un errore di comunicazione?



«La domanda più giusta è cosa fare».



Papa Wojtyla avrebbe detto: non abbiate paura.



«Lo dice anche papa Ratzinger. Benedetto XVI dice a tutti non abbiate paura della ragione. Per il pontefice la forza della ragione e della cultura è decisiva nell’incontro tra le religioni».



Dialogare significa mettersi in gioco, assumere le ragioni dell’altro. Scegliendo il terreno neutro del Logos che dialogo è? 



«Il Logos non è astratto. È un ponte che unisce gli esseri umani, che può essere attraversato da ambedue le parti, e per questo ha un peso del tutto particolare. E in questo Benedetto XVI è profondamente europeo e occidentale. Lui, nei suoi studi, sottolinea che il cristianesimo nasce in Medio Oriente, non in Europa. E tuttavia è in Europa che ha assunto la sua maggiore maturità per l’incontro dialettico con la razionalità. E il teologo Ratzinger diceva che il cristianesimo europeo proprio per il suo legame con l’umanesimo ha la forza richiesta per favorire l’incontro tra le grandi religioni del mondo. Il cristianesimo europeo è quindi quello più capace  di aiutare le altre fedi a riscoprire quella dimensione comune a tutti gli uomini che è il Logos».



La differenza tra Ratzinger e Wojtyla?



«Ambedue sono autori di “Fides et ratio”. L’uno enfatizza la logica simbolica e il gesto, l’altro predilige la logica della ratio a quella simbolica. Ma è solo una questione di pesi».  



Wojtyla ha chiesto più volte perdono. Chiedere perdono significa donarsi e dire: vi voglio bene. Ratzinger non lo fa. Perché?



«Non bisogna pensare che esista un archetipo del papa. Il ministero del pontefice si incarna nella storia, nella cultura, nelle vicende di ogni singolo papa. E non si deve dimenticare la circolarità tra papa e Chiesa. Non esiste l’uno senza l’altra e si influenzano a vicenda. Il papa poi, non è lo stesso l’anno prima e l’anno dopo».



Ratzinger ha presente la tragicità del contemporaneo, il fatto che si contendano più verità?



«Credo di sì. Essendo uno studioso di Sant’Agostino, il papa sa che il male radicale non esiste ma è sempre opera degli uomini. Scorrendo la bibliografia di Ratzinger si nota un processo culturale che si confronta di volta in volta con le sfide del mondo. E, in questi ultimi anni, il pontefice si confronta anche con il problema del dialogo con altre religioni».



Il papa non è stato compreso dai musulmani. A molti ebrei non è piaciuto il suo discorso ad Auschwitz dove pure ha assunto i temi  della teologia ebraica, quelli del silenzio di Dio. Si può comunicare solo con il Logos, e non con il carisma?



«Guardi che tra i discorsi più belli, mai fatti da Ratzinger sulla Chiesa, vi è una particolare sottolineatura della dimensione carismatica di essa».



Come proseguire con il dialogo, dopo Ratisbona?



«Nella lezione a Ratisbona il papa sostiene che il dialogo non è una questione di diplomazia ma la ricerca dei fondamenti, razionali, comuni a tutti gli esseri umani. E questo non è un tema da banchi di scuola ma una questione di vita, e per questo può evitare lo scontro di civiltà. La preoccupazione è che il dialogo sia fatto davvero. Ed è ovvio che richiede anche la ricchezza dei rapporti umani. In questo contesto si comprende bene Benedetto XVI quando si presenta come un umile operaio della vigna del signore. È un uomo schivo che sa che è compito di tutta la Chiesa e non solo suo personale di promuovere e seguire il dialogo. Il pontefice vuole dare solidità culturale a questo cammino. Ed è una cosa importante».



Perché?



«Le religioni nella società contemporanea toccano i cuori e muovono i popoli. E non sempre sono libere da ambiguità. Una parte dei musulmani, ad esempio, spesso giustifica la violenza con la fede. Il papa si oppone a questo legame, non solo in nome della religione ma anche della ragione. Questo è il cuore del messaggio del pontefice. Sbaglia chi pensa che Ratzinger passi dalla cattedra del professore a quella del pontefice. Lui fa il papa, e si mette in gioco misurandosi con il mondo».


A modo di un credente razionale. È sufficiente per salvare il mondo?



«Facciamo attenzione ad affidare solo al papa la salvezza del mondo. Il dialogo per sua natura è un tessuto di rapporti: è fatto di perdono, tolleranza, scontro, incontro, dialettica. Il dialogo è una vita, e anche testimonianza personale sofferta perché solo così entra nel profondo dei cuori. E la vita dialogante è l’arte più difficile ma la più indispensabile oggi».



Parlando della salvezza del mondo, quante “divisioni” ha il papa?



«Una sola, a cui ha intitolato l’enciclica “Deus Caritas est”. Lui fa parte di questa divisione».



Qualcuno contrappone Dio al Dio degli altri…



«È un abuso. È necessario dire quel che ci unisce. Ma anche dirci con franchezza, sincerità, dialettica le differenze. Non ce ne scandalizzeremo. Quel che conta è l’apprendere l’arte di convivere tra diversi. E se debbo aggiungere una parola sulla situazione attuale, noi, gli occidentali abbiamo qualche responsabilità per lo stato in cui si trova il mondo islamico. Ragione per cui dobbiamo aiutarlo a trovare le parole della modernità».


Di fronte a chi non vuole il dialogo ma la guerra cosa si deve fare?



«Ciascuno deve fare il suo mestiere. Ma tutti dobbiamo seguire Ratzinger: capire che in ogni uomo c’è il germe del Logos. Il dialogo è un’arte che richiede la follia dell’amore e la forza della ragione. Occorre capire quale è la via che convince. Il papa dice che è la parola».



Detto così è tragico…



«Deve essere una parola calda. Come quella di Francesco d’Assisi che ha il coraggio di andare nel campo di Damietta a parlare con il Sultano, durante le crociate. Non lo convince, ma gli tocca il cuore».



Significa oltrepassare le linee senza diventare traditore. È una frase di Alex Langer…



«Lo so. È una frase che porto anch’io nel cuore». 


 


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