La radicalità del Vangelo

La radicalità del Vangelo

“Il leone che al tramonto sa ancora ruggire”. Così l’autorevole Wall Street Journal ha elogiato il Papa per le sue ultime prese di posizione. In verità, è sin dall’inizio che questo pontefice “ruggisce”, nel senso che non ha mai smesso di indicare mete alte ed esigenti. Lo ricordiamo quel giorno dell’elezione in piazza San Pietro quando, al termine della Messa, brandì il pastorale come una croce e, rompendo ogni cerimoniale, andò verso la folla. Aveva appena gridato: “Non abbiate paura. Aprite le porte a cristo!”. Oggi è l’unico grande leader che ancora “sogna in grande” e con audacia. E questo non a caso e neppure per questione di natura o di carattere. Quel che viene da questo vecchio Papa sgorga dal suo continuo radicarsi nel Vangelo. Egli, se così si può dire, riprende l’essenzialità della predicazione evangelica. Gesù non parlava altro che di regno di Dio: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”, sintetizza Marco. L’audacia a proporre il regno di Dio è “il segreto” di questo Papa. Ma cos’è questo “regno” che Gesù stesso, nella preghiera del Padre Nostro, ci ha insegnato a chiedere a Dio che venga presto? Nella risposta che Gesù diede a Pilato diceva chiaramente che il suo regno non era di questo mondo. Ma, si badi bene, non lo diceva nel senso di una contrapposizione tra una realtà celeste ad un’altra terrestre. In altra parte del Vangelo, infatti, Gesù afferma: “Il regno sta in mezzo a voi”, già in terra, quindi. L’opposizione perciò non è tra terra e cielo, bensì tra il regno di Dio e il regno del diavolo. Ambedue i regni si fronteggiano in questo mondo. Il regno predicato da Gesù è quello dell’utopia della fraternità, dell’amore, della comunione, del perdono, della giustizia, della tenerezza…quello dove i poveri sono soccorsi per primi e i deboli aiutati senza indugio, quello dove gli afflitti sono accuditi prima dei contenti e i malati prima dei sani. Questo regno si contrappone al regno del diavolo, ossia al regno ove domina il male, l’ingiustizia, la guerra, la morte, la prevaricazione, l’odio. Gesù è venuto a lottare contro il potere del diavolo, contro la forza del male. Potremmo dire: è venuto a “sdemonizzare” il mondo, a liberarlo dal peso condizionante delle forze del male, e a immettere nella storia l’energia liberatrice del potere regale di Dio. E’ un’utopia? Certo, nel senso che il regno di Dio non è un progetto delineato in tutti i suoi tratti, o un’idea che sta nell’iperuranio e che noi dobbiamo applicare. Quando gli uomini hanno inteso realizzare un regno perfetto con le loro proprie mani, dimenticando la povertà e la pochezza di ciascuno, sono arrivati i totalitarismi (penso al comunismo) o la violenza armata (penso ad una certa ideologia rivoluzionaria). Il regno è l’utopia dell’amore che cambia i cuori e lievita il mondo. Ed è un’utopia che non dimentica la debolezza radicale dell’uomo (quello che i teologi chiamano peccato originale). In un tempo come il nostro, ove i sogni e le utopie sono crollati, e la ragione sembra diventata più realista o forse più rassegnata, è necessario riproporre in tutta la sua valenza evangelica l’utopia del regno di Dio. Non si vuole ipotizzare uno stato cristiano. Si tratta di non rassegnarsi alla violenza e alla guerra. E di adoperarsi per contrastare il male. L’impegno per il regno perciò è vasto, e va oltre i confini stessi della chiesa, la quale esiste per il mondo intero, anche per chi non diventerà mai cristiano. Alla chiesa, e ad ogni singolo credente, spetta l’affascinante e terribile compito di testimoniare, con i fatti e con le parole, il primato del regno dell’amore. Il mondo in cui il regno di Dio non è più annunciato è come un mondo senza più futuro, senza più speranza. E una chiesa che vivesse solo per se stessa, è destinata alla sterilità e alla scomparsa.