“Il mondo brucia e noi discutiamo”
Il vescovo: bisogna sporcarsi le mani, non fate come Ponzio Pilato
di Gian Guido Vecchi
Monsignore, il clima al solito si scalda: “schiaffoni” più o meno scherzosi, dissertazioni su chi farebbe meglio ad andare e chi no alla manifestazione pacifista…
“Guardi, anzitutto distinguerei tra pacifista e pacificatore: se vogliamo usare un esempio, Pilato rischia di essere un “pacifista” perché per principio o per tranquillità se ne lava le mani. Il pacificatore, invece, è Gesù, che paga di persona…”.
Nel caso in questione?
“Be’, ‘pilatesco’ significa che per difendere un principio astratto rischiamo di fare morti e tragedia. Chi opera per la pace, invece, deve sapersi sporcare le mani ed esporsi anche in prima persona, è questo il senso delle beatitudini evangeliche. Per un cristiano bisogna fare i conti concreti con la storia. Mentre il pacifista può essere succube di ideologie astratte”.
E’ il rischio dell’intransigenza “senza sì e senza ma”?
“Sì, ogni tentazione manichea è sempre forirera di crudeltà, proprio perché significa lavarsene le mani e abbandonare l’altro al proprio destino”.
Monsignor Vincenzo Paglia ha animato sin dall’inizio l’attività della Comunità di Sant’Egidio. Pacificatori veri: e basterebbe il contributo decisivo della pace in Mozambico, dopo 17 anni di guerra e un milione di morti.
Che ne dice di questo clima?
“Guardi, a volte mi sembra davvero come in quella frate latina, dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur: mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata. Il rischio è che il mondo bruci mentre noi stiamo qui a discutere sulle marce.”
E le contestazioni, le liti interne?
“Credo ci dovrebbe essere una sorta di etica del pacificatore. Non è uno che usa linguaggi violenti, per cominciare. Anzi, per un cristiano non bisogna neppure considerare gli altri come nemici di per sé, lasciarsi andare a odii o vendette e magari camuffare tutto questo sotto il nome di “giustizia”. C’è un bellissimo detto di Giovanni Kronstad, un monaco russo morto all’inizio del Novecento: acquisisci in te la pace e migliaia la riceveranno a te”.
E i “pacificatori” allora, cosa dovrebbero fare? Partecipare? Distinguersi dai “pacifisti”?
“No non spetta a ma dare giudizi sulla manifestazione, resta il fatto che chiunque partecipi p no, dovrebbe interrogarsi su come aiutare questo popolo, tutti i popoli. In ogni luogo e modo il cristiano deve testimoniare la sua vita di pace. Ma attenzione: questo non vuol dire lasciare che il male corra indisturbato né abbassare la guardia contro il terrorismo”.
Il cristiano non è un ingenuo…
“Proprio così. Dire che la guerra era sbagliata non significa abbandonare la loro destino la popolazione irachena: tutti quanti – e dico tutti, n particolare chi ha la responsabilità di tutto questo – dobbiamo interrogarci su come aiutare il popolo iracheno a trovare la via della pace”
Magari senza dividersi…
“Bisogna guardarsi dalla tentazione di accaparrarsi Dio dalla propria parte.
Un midrash racconta che il popolo ebreo cantava vittoria dopo l’uscita dal Mar Rosso mentre gli egiziani venivano travolti dalle acque. Gli angeli del cielo, vedendo questo volevano unirsi al canto. E Dio li rimprovera: le mie creature stanno annegando e voi intonate un coro davanti a me? Ecco, il pacificatore la pensa così”.
E adesso?
“Sono convinto che davvero l’educazione alla pace sia pripritaria, all’inizio del millennio. Mi faceva impressione il rapporto presentato l’altro giorno dal Pentagono, quello che mostra scenari di guerre a partire dall’inquinamento. Per questo polemizzare sulla pace o su una marcia è ridicolo: io la marcia la posso fare, ma il problemi è come aiutare gli iracheni a trovare una via d’uscita. Devo saper leggere dentro la situazione internazionale, mondiale. E tenere sempre presente che la pace sgorga dal cuore degli uomini: è lì che si risolve alla radice il problema della pace”.
dal Corriere della sera del 25 febbraio 2004