Intervista al settimanale Sette – Da Novi a Cogne: basta la follia per spiegare il mistero del male?

Intervista al settimanale Sette - Da Novi a Cogne: basta la follia per spiegare il mistero del male?

DA NOVI A COGNE: BASTA LA FOLLIA PER SPIEGARE IL MISTERO DEL MALE?


di Michele Brambilla


“Veramente il primo omicidio di cui parla la Bibbia è quello compiuto contro il proprio fratello” fa notare monsignor Vincenzo Paglia quando gli diciamo che – che per quanto possa sembrare assurdo, l’arresto di Anna Maria Franzoni ha fatto sorgere, in molti, questa domanda: è più grave quando un figlio uccide la madre o quando una madre uccide un figlio? Che cosa desta più orrore, che cosa appare più contro natura? Una domanda anche assurda, ripetiamo, ma che è sorta quasi spontanea confrontando il giallo di Cogne con la strage di Novi Ligure, che risale solo ad un anno fa, e che è ancora impressa nella memoria di tutti.


Monsignor Vincenzo Paglia, 57 anni, è il vescovo di Terni Narni Amelia e l’assistente ecclesiastico della Comunità di Sant’Egidio. E’ uno degli uomini di chiesa “emergenti” – se si può usare un termine del genere quando si parla di sacerdoti – e più stimati. E’ noto anche per la sua attività di scrittore: tra i suoi libri Colloqui su Gesù, Il Vangelo ogni giorno, Nel cuore di Dio e il bestseller Lettera ad un amico che non crede.
Ci parla con grande naturalezza, spontaneità: è una di quelle poche “persone importanti” che non mettono soggezione. Ma in fondo è ovvio che sia così per un pastore.


Monsignor Paglia, senza entrare nel merito del caso Erika e del caso di Cogne: che cosa desta più scandalo, il matricidio o l’uccisione di un figlio?


L’omicidio desta sempre, ugualmente, scandalo. E’ chiaro poi che ogni caso va contestualizzato: un figlio che, per esempio, uccide il padre per difendersi da terribili violenze, è diverso da chi uccide per odio o per avidità. Ma , in astratto, in entrambi i casi c’è una violenza contro la trasmissione della vita: di genitore in figlio e viceversa. Poco fa le ho citato il primo omicidio della Bibbia, quello compiuto da Caino, perché ha un alto valore simbolico: ogni omicidio , in fondo, è la soppressione di un fratello. E’ importante ricordarsi il concetto della fratellanza tra tutti gli uomini, perché la fratellanza richiama ad una figliolanza comune, e anche a un destino comune.


Lei dice: oggi l’omicidio è l’uccisione di un fratello. I delitti di Novi e di Cogne, però, hanno suscitato un emozione particolare.


Sì, ma è importante non fermarsi a questa emotività. Bisogna cercare di capire la profondità del male, il mistero del male che si nasconde nel cuore di ogni uomo. La Genesi, al capitolo quattro, ci dice che “il peccato è accovacciato alla tua porta, ammonendo chi crede di essere immune dal male, chi crede che certe cose riguardino solo alcune persone particolari.


Sta dicendo che chiunque potrebbe commettere delitti così atroci?


Sto dicendo che il rischio da evitare è la ricerca del mostro. Ma non vede che ogni volta che qualcuno uccide si ordina una perizia psichiatrica? Si cerca la spiegazione nella follia? Così, se diciamo che chi ha ucciso è un matto, il delitto è cosa che non ci riguarda e quindi il male è cosa che non ci riguarda. Invece certi fatti ci devono interrogare tutti. Volerlo esorcizzare relegandolo solo nel mostro significa lasciarlo operare più liberamente di quanto potrebbe operare se tenessimo tutti la guardia sempre alzata. “non dico queste cose per portare a un senso di colpa generalizzato; lo dico per richiamare tutti a una consapevolezza più attenta al male che è nascosto nel cuore di ciascuno. Non esiste l’uomo senza peccato. E ciascuno di noi ha bisogno di chiedere perdono.


Il perdono sembra una categoria inflazionata da tanti sentimentalismi, anche un po’ ipocriti…


Distinguiamo il perdonismo ipocrita dal perdono vero. Uno potrà anche dire che perdonare è impossibile, ma non si può non prendere atto che senza la capacità di chiedere e dare il perdono non ci può essere amore, e quindi non ci può essere vera giustizia.


Lei parla di peccato: un termine che sembra dimenticato.


Il mondo di oggi ha rimosso la categoria del peccato, e questo è pericolossissimo. Glil’ho detto: se qualcuno uccide, si dice è pazzo. Come se non soi volesse ammettere che l’uomo ha la capacità di compiere il male. Ma questo è assurdo. E’ contro la rrealtà. Se si toglie all’uomo la possibilità di fare del male, gli si toglie anche quella di fare del bene. Perché gli si toglie la responsabilità. In una parola, gli ritoglie la libertà. E allora che cosa resta dell’uomo?


In effetti tutti, di fronte ai delitti che stiamo ricordando, hanno detto:non può essere stato che un pazzo.


Sì, perché il principio è “siamo tutti innocenti, e chi uccide è un mostro”. Questo, ripeto, è pericolosissimo perché ci deresponsabilizza. Con questi criteri neanche Hitler è colpevole. Non si accetta più il limite, la finitudine dell’essere umano. E, in fondo, non si accetta più neanche la sua possibile grandezza, neanche la gioia della vita. E poi voglio dire un’altra cosa: la rimozione del peccato, oltre ad avere deresponsabilizzato l’uomo, oltre ad averlo ridotto a un robot senza libertà, ha anche compromesso la sua possibilità di migliorarsi.


Perché?


Perché se il peccato non esiste, che bisogno avrebbe l’uomo di sforzarsi di diventare migliore? Guardi che questo non è solo un discorso comprensibile da chi ha fede. Anche il laico Albert Camus si chiedeva se è possibile diventare santi. Ma allora c’era un’attenzione per la crescita spirituale, una tensione verso la santità che oggi è dimenticata. Io penso che non porre a tema queste questioni abbia fortemente impoverito l’uomo.


Sembra un paradosso: l’uomo di oggi si sente così “a posto”, evidentemente così “migliore” rispetto a un tempo, da ritenere che solo un pazzo possa uccidere. Eppure secondo lei non è affatto “migliore”, anzi è più povero spiritualmente.


Non è un paradosso. Basta la ragione, per esempio, per capire che se non esiste il peccato non può esistere neppure il perdono. E il perdono è il più grande gesto d’amore che un uomo possa compiere. Insomma solo se riscopriamo il peccato possiamo riscoprire che possiamo essere capaci di amare fino al punto di cancellare l’offesa subita.


Ci sono peccati più gravi di altri?


E’ chiaro che non possiamo mettere a confronto una piccola bugia con fatti come quelli da cui siamo partiti. Tuttavia, per la Bibbia il peccato è sempre una disobbedienza nei confronti di Dio, e uno sconvolgimento dell’ordine della vita. Non a caso nella Bibbia il peccato comincia con la disobbedienza, per diventare inimicizia, quindi fratricidio.
Il peccato, in fondo, è dunque sempre lo stesso: disobbedienza a Dio e idolatria di sé. Idolatria che poi, proiettata sugli altri, può diventare crudeltà.

Dal settimanale del Corriere della Sera “SETTE”
del 18 marzo 2002