Accolitato di Andrea Piccioni

Accolitato di Andrea Piccioni

Care sorelle e cari fratelli,


il Vangelo della risurrezione di Lazzaro che ci è stato annunciato in questa ultima domenica di quaresima, potremmo dire che ci introduce nella settimana santa, nei giorni nei quali contempleremo fin dove giunge l’amore del Signore per noi. Ed è in questo contesto che tu, Andrea, ricevi il ministero dell’accolitato. Come sai, questo ministero ti avvicina all’altare, sia per aiutare i sacerdoti nella celebrazione che per distribuire, come ministro straordinario, l’Eucarestia. Sei pertanto chiamato a vivere sempre più intensamente del mistero dell’altare, ossia a conformarti a Gesù, venuto per offrire la sua vita per la salvezza di tutti. Il suoi amore per il Padre e la sua passione per gli uomini siano davanti ai tuoi occhi, caro Andrea, come anche davanti ai nostri occhi, care sorelle e cari fratelli.


Lo vediamo accorrere accanto all’amico malato. Non voleva stargli lontano, anche se questo poteva significare per lui la morte. I discepoli glielo fanno notare. E tentano di fermarlo, una volta saputo che Lazzaro era morto. Che senso aveva rischiare per nulla? I discepoli non comprendono l’amore del Signore. Essi volevano tenerlo lontano da quell’uomo su cui ormai tutti avevano posto una pietra sopra. Come non pensare ai tanti uomini e alle tante donne la cui vita ancora oggi è schiacciata da una lastra pesante? E’ la lastra della guerra, della fame, della solitudine, della tristezza, della disgrazia, del pregiudizio. Talora sono popoli interi ad essere oppressi.


Ma i discepoli di Gesù, anche oggi, spesso vogliono tenersi lontano dai tanti Lazzaro sepolti e oppressi. Penso ai venti milioni di italiani appiccicati al televisore durante Sanremo, mentre si moriva a Gerusalemme, a Lampedusa, in Afghanistan. Può anche capitare di essere rassegnati come Marta e Maria, e dire che non c’è nulla da fare e che non possiamo rattristarci troppo. E se proprio insiste rinfacciamo a Gesù: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” E’ come dire: “Se tu fossi stato vicino, non sarebbero accadute quelle disgrazie”, e così via. Il Vangelo, in verità, ci dice che non è Gesù a stare lontano, ma gli uomini. Non dovremmo chiederci dove siamo noi, mentre milioni di persone muoiono di fame? dove siamo noi mentre migliaia di persone sono sole e abbandonate negli ospedali? dove siamo noi mentre vicino e lontano da noi c’è gente che muore senza nessuno, che soffre senza che alcuno se ne accorga? e si potrebbe continuare. Ebbene, vicino a costoro troviamo Gesù. Solo lui sta lì accanto, e piange su questi suoi amici abbandonati, come pianse su Lazzaro. Accadrà anche a lui tra qualche giorno, al Getsemani, quando resterà solo e, per l’angoscia, suderà lacrime di sangue.


Gesù sta da solo davanti a Lazzaro, a sperare contro tutto e tutti. Persino le sorelle cercano di dissuaderlo mentre egli vuol far aprire la tomba: “Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni”, gli dice Marta. Si ! già puzza. Come puzzano i poveri; come puzzano i campi profughi con centinaia di migliaia di persone; come puzzano tutti coloro sui quali si abbatte la cattiveria degli uomini. Ma Gesù non si ferma. Il suo affetto per Lazzaro è molto più forte della rassegnazione delle sorelle; è molto più saggio della stessa ragionevolezza, e della stessa evidenza delle cose. L’amore del Signore non conosce confini, neppure quelli della morte; vuole l’impossibile. Quella tomba non è l’abitazione definitiva degli amici di Gesù. Per questo Gesù grida: “Lazzaro, vieni fuori!” L’amico sente la voce di Gesù, appunto, come sta scritto: “le pecore conoscono la sua voce”. Lazzaro ascolta ed esce. Gesù non parla ad un morto, ma ad un vivo, semmai ad uno che dorme, per questo forse grida. E invita gli altri a sciogliere le bende all’amico. Ma sciogliendo Lazzaro “morto”, Gesù in verità scioglie ciascuno di noi dal proprio egoismo, dalla propria freddezza, dalla propria indifferenza, dalla morte dei sentimenti. Racconta un’antica tradizione orientale che Lazzaro, una volta risuscitato, non mangiasse altro che dolci, per sottolineare che la vita donata dal Signore è dolce, bella; e per dire che i sentimenti che egli deposita nel nostro cuore sono forti e teneri, robusti e amorevoli, e sconfiggono ogni amarezza e asprezza.


Gesù è la vita, è la nostra vita. Marta con delusione risponde a Gesù che Lazzaro resusciterà l’ultimo giorno. Ma è lontano, quel giorno, pensa Marta. E Gesù, che forse comprende questa delusione, le risponde: “Io sono la resurrezione e la vita!” In queste parole è raccolto il segreto di questa pagina evangelica. Gesù non viene a prolungare la nostra vita fisica. Viene a comunicarci la “vita”, ossia Lui stesso. Chi lo accoglie, accoglie in sé la vita. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà mai”, dice Gesù. E ancora: “Chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato, ha la vita eterna; è ormai passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24). Per questo, sorelle e fratelli, ancora oggi è possibile il miracolo di Lazzaro, ancora oggi è possibile che i morti risorgano, che i cuori freddi come una lastra di ghiaccio si sciolgano e riprendano la vita divenendo dolci, teneri, amorevoli, come fu per Lazzaro, amico del Signore.