Intervento finale all’Assemblea Ecclesiale

La parola di Dio nella Chiesa

Ripartire dalla Parola di Dio


Nell’assemblea dello scorso anno raccolti attorno al nuovo altare, segno di Cristo. Vi dicevo: “Ripartiamo dall’altare!”, ripartiamo da Cristo. E citai le parole dell’apostolo Pietro: “Stringendovi a Lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione, di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo”. E per ricordarci che l’altare non lo troviamo solo nelle nostre chiese, ma lo incontriamo tutti i giorni: Citai le parole di San Giovanni Crisostomo: “L’altare si trova ovunque, a ogni angolo di strada, in ogni piazza”. In effetti, tra l’altare delle chiese e gli altari della vita di ogni giorno c’è un legame inscindibile. Ma è dall’altare della domenica che riceviamo la forza per servire gli altri altari: quelli dei poveri e dei malati, delle nostre case, delle scuole, dei luoghi di lavoro. E’ dall’Eucarestia della domenica che nasce anche il culto quotidiano dell’amore, della misericordia, della compassione.


Questa sera ci stringiamo nuovamente in assemblea attorno a questo stesso altare per ripartire ancora una volta. E, in ideale continuità, diciamo con la stessa forza di ieri: “Ripartiamo dalla Parola di Dio”. L’altare e la parola sono i due fuochi, i due centri, della vita cristiana. Questo sta a dire che la Bibbia, assieme all’Eucarestia,  deve ritrovare il suo posto nella nostra vita nella vita della chiesa diocesana. Sì, la Sacra Scrittura non sopporta più di essere uno dei libri del credente. La Bibbia è “il” nostro libro, perché è la fonte della nostra vita. Potremmo dire: il Calice e la Bibbia sono “il culmine e la fonte” dell’intera vita della Chiesa.


Sono passati quasi 40 anni dalla Dei Verbum e da allora la Bibbia è tornata nelle mani dei fedeli. Anche nella nostra Chiesa diocesana è ormai normale leggere la Bibbia, in varie parrocchie sono nati gruppi biblici o scuole del Vangelo. Resta però ancora moltissima strada da fare perché la Bibbia diventi “il” libro dei credenti. Nonostante i notevoli progressi la Sacra Scrittura è spesso sconosciuta. E quindi entra poco sulla nostra vita, nei nostri pensieri, nella nostra pastorale, nelle nostre scelte quotidiane. In fondo crediamo poco che la Bibbia sia davvero Parola di Dio, che manifesti il cuore di Dio e che quindi sia efficace, che operi cioè quel che dice. E senza questa “fede”, la Parola è come incatenata: non può agire.


Durante il primo millennio dell’era cristiana la Sacra Scrittura era il libro della vita della Chiesa. Vescovi e preti, monaci e teologi, si confrontavano continuamente con la Bibbia. E i fedeli erano esortati ad un rapporto quotidiano con la Bibbia. Santa Cecilia, ad esempio, portava sempre nel suo petto il Vangelo. E san Giovanni Crisostomo rimproverò un cristiano che non sapeva quante fossero le lettere di san Paolo. Insomma la lettura della Bibbia era raccomandata a tutti. Non vi è traccia di proibizione in quei secoli. Un vescovo, Cesario di Arles, era talmente convinto della necessità della lettura quotidiana della Bibbia da esortare gli analfabeti (ricchi) a pagare qualcuno perché leggesse loro la Bibbia. “Se coloro che non conoscono la scrittura assoldano delle persone che scrivono a pagamento per procurarsi terreni, tu, chiunque tu sia, che non sai leggere e scrivere, perché non cerchi a pagamento e dietro un compenso uno che ti legga le Scritture divine, per poter ottenere le ricompense eterne?” (Pred.Par, 106). E conosciamo tutti il diffondersi nelle chiese della cosiddetta “Biblia pauperum”. Erano le scene bibliche dipinte nelle chiese. Chi non sapeva leggere poteva “leggere” la Bibbia attraverso le immagini dipinte nelle pareti delle chiese. Insomma era chiaro che non si poteva essere cristiani senza leggere la Bibbia.


E quando, agli inizi del secondo millennio, si predicava ancora in latino, san Francesco imparò a memoria brani del Vangelo in italiano e lo ripeteva nelle strade e nelle piazze perché tutti potessero comprenderlo. Purtroppo in seguito, per motivi che non sto qui a elencare, la lettura della Bibbia da parte dei fedeli si rallentò. Si leggeva meno la Bibbia e aumentarono le devozioni. Si giunse persino a raccomandare cautela nel leggerla. Con il Vaticano II la Bibbia è tornata nelle mani di tutti. E’ stato senza dubbio uno dei rivolgimenti più importanti portati dal Concilio. Ma è necessario un ulteriore impulso perché i fedeli prendano familiarità con la Bibbia. Potrei dire che, purtroppo, c’è ancora troppo poca Bibbia nella vita dei cristiani e anche nella pastorale. Ecco perché sono convinto che è necessario riscoprire il Libro Santo, così come accadde al popolo d’Israele. 


Nel II Re 22 si racconta che mentre si facevano i lavori nel tempio fu ritrovato il libro della legge. Il sommo sacerdote Chelkia disse allo scriba: “Ho trovato nel tempio il libro della legge” (v.8). Il re fece informare il popolo e fu letto il libro davanti a tutti. E il popolo riconfermò la sua alleanza con Dio.


La Scrittura deve riprendere il primo posto nella vita della Chiesa. Questo vuol dire che, quantitativamente e qualitativamente, tutta le nostre giornate devono dipendere dalla Bibbia. La Sacra Scrittura deve riprendere la sua egemonia sulla nostra vita. Dico egemonia, non esclusivismo. Però, tutto nella vita del credente (e della Comunità cristiana) deve essere dominato, in proporzione quantitativa e qualitativa maggiore di quanto sia oggi, dalla Parola di Dio. La cultura, le scienze, la psicologia, la sociologia, la pastorale, la vita spirituale, la stessa politica, tutto deve ispirarsi più direttamente dalla Bibbia. Tutti i ruoli o le funzioni o i ministeri, sia dentro la Chiesa che fuori di essa, debbono subire un influsso determinante della Parola di Dio. Così che non solo il vescovo, il sacerdote, il teologo, il diacono, il seminarista, la religiosa, il religioso, il catechista, il lettore, l’accolito, il ministro straordinario dell’Eucarestia, ma ogni cristiano deve consumare i propri occhi sulle pagine della Bibbia.


Tutti perciò dobbiamo chiederci: “Quanto tempo dedico alla lettura e all’ascolto della Bibbia? Quanti libri della Bibbia ho letto?” Cari sacerdoti e diaconi, care sorelle e fratelli, occorre fare scelte ben precise nella propria giornata. C’è anzitutto una questione di tempo. Sì dobbiamo dedicare più tempo alla lettura della Bibbia. E non dite che non abbiamo tempo. Perché tutto possiamo rimandare meno che la lettura della Parola di Dio. La poca lettura della Bibbia è all’origine della fiacchezza della nostra presenza nella città. Senza un rinnovato ascolto della Scrittura langue la profezia, crescono le inimicizie, prolifera il male. La gente è sbandata e i giovani non sanno dove andare. 


La Parola di Dio deve riplasmare il volto della nostra Chiesa diocesana. Tutto deve trovare la sua sorgente nella Scrittura. Gesù, al termine del discorso della montagna, afferma: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde perché era fondata sulla roccia”(Mt 7,24-25). Queste affermazioni chiariscono il primato della Parola di Dio nella vita del credente. Un monaco del Sinai, Anastasio, diceva: “L’assiduità del tempo dedicato alle sacre Scritture, è madre di tutte le virtù”(Disc.Euc). L’assiduità all’ascolto della Scrittura è davvero la madre delle virtù, è la via della santità. 


Per parte mia non cesserò, come vi ho promesso, di commentare ogni anno un libro della Bibbia e consegnarvelo. E’ tra le prime mie responsabilità. Molti sono i doveri del vescovo e numerose le richieste che gli vengono rivolte. Quanti drammi e problemi bussano alla mia porta! Ne ascolto tanti; e tutti presento nella preghiera al Signore. Non sempre è facile rispondere come vorrei. Una cosa però mi è chiesta di assicurare in ogni modo: non far mancare a nessuno il pane della parola di Dio. Per questo, infatti, sono stato inviato a Terni. Faccio mie perciò le parole del grande vescovo d’Ippona, sant’Agostino: “Non mi è possibile distribuire a ciascuno di voi il pane visibile e materiale, ma distribuisco questa Parola: eccola veramente, la vostra porzione. Io vi do un nutrimento di cui io stesso vivo, metto sulla vostra tavola gli alimenti di cui mi sazio io stesso. Io sono il vostro compagno di servizio: non sono il padrone di casa” (S.Ag.Past.an, 942-3). La prima domanda, infatti che viene fatta al vescovo nel giorno della sua consacrazione è se sia disposto ad insegnare al popolo che gli viene affidato la sacre Scritture. Ebbene, ho desiderato che nella vita della nostra chiesa diocesana fosse vissuto il più profondamente possibile quanto il Vaticano II auspica, ossia che nella vita dei sacerdoti e dei fedeli sia “frequente la lettura delle divine Scritture”(DV). Il patriarca di Venezia, san Lorenzo Giustiniani, diceva al suo popolo: “Nulla in questa vita rende forte il nostro intelletto e lo mostra tale, quanto lo studio della Sacra Scrittura; nulla di più dolce si sperimenta in questo pellegrinaggio, nulla di più dolce si riceve, nulla di più vero si accoglie; nulla maggiormente distoglie l’anima dall’amore del mondo, nulla tanto rafforza lo spirito contro le tentazioni e l’intelletto contro gli errori, nulla tanto ravviva l’uomo e lo soccorre per ogni opera e ogni fatica, quanto l’assidua meditazione delle parole di Dio” (De pers, IV).


La Bibbia, un libro per tutti 


La Bibbia è per tutti. Ridona il “cuore” a chi l’ascolta, il senso della vita ha chi non lo trova, la luce a chi è nel buio, la forza a chi è stanco, l’amore a chi è freddo, la via a chi è smarrito, la consolazione a chi è triste, la compagnia a chi è solo. Tutta l’esistenza umana: la vita, la morte, l’amicizia, la fraternità, la solidarietà, il dolore, la solitudine, la malattia, l’amore, la famiglia, il lavoro, i segreti del cuore, i grandi fenomeni umani, la fame, la guerra, l’ingiustizia, tutto viene illuminato dalla Santa Scrittura con una luce nuova. Sì, la Bibbia è un libro per tutti. E non è così difficile da essere riservata solo ad alcuni. Semmai, può essere difficile accoglierla e accettarla: appena si apre, infatti, interroga e inquieta perché chiede una risposta. E’ un libro per tutti, ma non è come gli altri libri. Può essere rifiutato o messo da parte, magari dicendo che è un libro “sacro” per i credenti. Ed è anche vero. Tuttavia, la Bibbia non perde l’ambizione di essere una parola rivolta ad ogni uomo e ad ogni donna, una parola che vuole liberare i cuori di tutti, rendendoli buoni e forti. La Bibbia non è un libro per specialisti; non è un libro per i preti, per i religiosi. E’ stata scritta per tutti. Anzi, è un dono per tutti. Non solo per i credenti; non solo per l’Occidente; non solo per quelli del mondo semita; è per gli uomini e per le donne di ogni tempo e di ogni condizione, di ogni cultura e di ogni razza, di ogni lingua e di ogni civiltà. La Bibbia raggiunge il degli uomini e fa ritrovare loro la verità di se stessi. Gregorio Magno ricordava: “Dove si rivolgono le parole di Dio se non verso i cuori degli uomini?” (Ez, i,VI, 16). E, con grande sapienza, aggiungeva: “Se vogliamo penetrare in fondo a noi stessi, ci possiamo arrivare in un modo più sicuro mediante la preghiera che mediante l’analisi” (Mor,1,47).


  La Bibbia, fonte di sapienza


La Bibbia è un libro pieno di sapienza religiosa ed umana. Essa muove i cuori verso il vero e il bene. E’ un libro che mette al centro Dio come padre di tutti i popoli. Ogni sua pagina fa emergere quel primato della persona umana che continua a irrorare non poche culture contemporanee e che sta alla base della radicale uguaglianza di tutti gli uomini, dell’incancellabile dignità di ogni persona, della fondamentale unità della famiglia umana e della insopprimibile universalità della salvezza. Queste considerazioni hanno spinto alcuni – anche del mondo laico – a suggerire che la Bibbia venga studiata in tutte le scuole come testo che ha sostenuto in passato la nostra storia e che può ispirare anche il nostro futuro. Per questo desidero che nella scuola cattolica diocesana si inizi la mattina con la lettura di un brano biblico. In effetti, la Bibbia rende saggio chi la legge, anche chi cristiano non è e forse mai lo diventerà. Un vescovo di una città quasi totalmente musulmana mi raccontava questo significativo episodio. Ad un cristiano fu permesso di tenere tre trasmissioni sul Vangelo alla radio pubblica. Il capo tecnico che curava la trasmissione, al termine della terza puntata, si avvicinò al predicatore e gli disse: “Ho ascoltato quello che lei ha detto sul Vangelo in queste trasmissioni radiofoniche. Sono entrato in questa sala (la sala di registrazione) che ero musulmano; ne esco che sono ancora musulmano; ma sono un uomo diverso”. Anche per chi non è cristiano la Bibbia resta un libro di grande sapienza spirituale che può cambiare il cuore.


Per i cristiani la Bibbia è la sorgente della fede. L’apostolo Paolo scrive ai romani che “La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la Parola di Cristo” (Rm 10, 17), ossia dalla predicazione della Parola di Dio. La comunità cristiana, ogni comunità cristiana, nasce dall’ascolto della Parola e da essa è custodita, alimentata, nutrita, edificata e sostenuta sino a diventare essa stessa una parola vivente. Lo stesso apostolo Paolo, rivolgendosi i cristiani di Corinto, dice: “La nostra lettera siete voi, una lettera di Cristo, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente” (2Cor 3,3). Quando l’evangelista Giovanni afferma che la “Parola si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi”(Gv 1,14), in certo modo, indica la via della vita della comunità cristiana. Essa è la Parola di Dio incarnata nella vita di tutti i giorni. Infatti, Gregorio Magno, per sottolineare questa realtà, afferma: “La scrittura cresce con chi la legge”. Quindi fra Scrittura e Chiesa c’è quasi una identificazione. La Bibbia è il fondamento dell’edificio ecclesiale, è un fondamento vivente e continuamente sostiene, illumina e guida i credenti. Della Parola di Dio si deve dire, come per l’Eucarestia, “La Parola di Dio fa la Chiesa”. I cristiani non solo non possono fare a meno della Bibbia, ma ad essa debbono continuamente tornare, come ad una fonte inesauribile di conoscenza e di amore. Sant’Efrem Siro, un antico padre della Chiesa, non esita a paragonare la Bibbia ad una fontana. Ognuno, dice sant’Efrem, può recarvisi per attingere acqua e la fontana continuerà a zampillare senza esaurirsi mai; e quel che resta nella fonte è sempre molto di più di quel che ciascuno riesce a portare via. E continua: “Il Signore ha nascosto nella sua Parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla”. E in uno dei suoi discorsi sul paradiso termina con questa preghiera: “Nel libro sacro, o Signore, la carità e la scienza elevano lo spirito in alto e gli dischiudono una luce sempre più splendente. Io desideravo vedere il paradiso. Lo vidi: è il porto preparato al termine della mia navigazione. O grande Iddio che me l’hai fatto conoscere, te ne prego, non negarmene l’entrata”.



 La Bibbia, libro del credente


Imparare a pregare con la Bibbia significa riprendere a parlare con Dio come facevano Adamo ed Eva. Sant’Ambrogio: “Quando l’uomo inizia a leggere le divine Scritture Dio torna a passeggiare con lui nel paradiso terrestre”.


In quest’anno vorrei che riprendessimo con maggior coscienza la lettura della Bibbia, di tutta la Bibbia.


Vi dico con le parole che il beato Giovanni XXIII, quando era Patriarca di Venezia, scrisse ai suoi fedeli: “Voi comprendete, miei diletti fratelli e figli, come tutti i richiami alla Sacra Scrittura… rispondano non ad uno scrupolo, ma al sentimento di un dovere e di un impegno preciso e grave, impostomi dalla responsabilità del mio ministero pastorale. Insegnare la Sacra Scrittura, particolarmente il Vangelo al popolo, rendere questi figliuoli, commessi alle nostre cure, familiari al libro sacro, è come l’alfa delle attività di un vescovo e dei suoi sacerdoti. L’omega – vogliate concedermi questa immagine dell’Apocalisse – è rappresentato dal calice benedetto del nostro altare quotidiano. Nel libro, la voce di Cristo sempre risonante nei nostri cuori; nel calice, il sangue di Cristo presente a grazia, a propiziazione, a salute nostra, della santa Chiesa e del mondo. Le due realtà vanno assieme: la Parola di Gesù e il Sangue di Gesù. Fra l’una e l’altro seguono tutte le lettere dell’alfabeto: tutti gli affari della vita individuale, domestica, sociale; tutto ciò che è importante pure, ma è secondario in ordine al destino eterno dei figli di Dio, e che non vale se non in quanto è sostenuto dalle due lettere terminali: cioè la Parola di Gesù sempre risonante in tutti i toni nella Santa Chiesa dal libro sacro: ed il sangue di Gesù nel divino sacrificio, sorgente perenne di grazie e di benedizioni”.


Riprendendo questa bellissima immagine di Roncalli potremmo dire che noi ci siamo fermati a riflettere sul Calice, sulla Eucarestia. E dobbiamo continuare a fare della Liturgia Eucaristica domenicale il centro delle nostre attenzioni. La scelta di fare la comunione sotto le due specie eucaristiche sta ad indicare tutto ciò. E spero che là dove ancora si è titubanti si giunga presto ad accogliere questa comune indicazione che deriva, per altro, da Gesà stesso che continua a dirci: “Prendete e mangiate…Prendete e bevete”. Nutrirsi del Corpo e del Sangue del Signore ogni volta che si celebra la sua Santa Cena, significa gustare con maggiore evidenza la grandezza e la larghezza dell’amore di Gesù che si dona a noi nel suo corpo e nel suo sangue.



Ebbene, come abbiamo ricevuto in dono di nutrirci anche con il Calice, in modo analogo, vorrei che la Parola venga anch’essa spezzata con più abbondanza nella nostra vita. C’è bisogno che il Signore Gesù torni a camminare con noi ogni giorno per parlare al nostro cuore, come fece con i due discepoli di Emmaus. Scrive Luca che Gesù “cominciando da Mosé e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”(24, 27). E, al termine del cammino, i due si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”(24, 32). Ciascuno di noi e l’intera chiesa diocesana deve porsi in ascolto di Gesù come i due di Emmaus. Nei mesi e negli anni che seguiranno le Sante Scritture debbono diventare familiari a ciascuno di noi. Del resto, solo se ci lasciamo scaldare il cuore dalla Parola comprenderemo e gusteremo il Pane della vita e il Calice della salvezza. Se non c’è l’alfa della Parola, non arriveremo all’omega del Calice. Insomma come abbiamo allargato il banchetto eucaristico facendo la comunione anche con il Calice, così vorremmo allargare la mensa della Parola perché tutti possano gustare personalmente le parole del Signore. E’ assolutamente vitale il contatto personale e diretto con la Bibbia, così come ci si accosta personalmente alla comunione. Non basta parlare dell’Eucarestia per realizzare l’incontro con Gesù: c’è bisogno di mangiare il pane santo e di bere il sangue della salvezza. Allo stesso modo non basta parlare della Bibbia: c’è bisogno della lettura personale e diretta del testo biblico per sentire con le nostre orecchie Gesù che ci parla. San Francesco d’Assisi ogni giorno, anche quando non poteva partecipare alla Messa,  ascoltava la pagina evangelica e al termine la baciava con devozione  (Bibbia e spiritualità, p. 280).



Ma quanto ci è familiare la Bibbia? Il cardinale Martini diceva: “La nostra vita è lontana dal potersi dire nutrita e regolata dalla Parola. Ci regoliamo, anche nel bene, sulla base di buone abitudini, di alcuni principi di buon senso, ci riferiamo ad un contesto tradizionale di credenze religiose e di norme morali ricevute…però di solito ben poco sperimentiamo come la Parola di Dio possa divenire il nostro vero sostegno e conforto, possa illuminarci sul ‘vero Dio’ la cui manifestazione ci riempirebbe il cuore di gioia”( In prin.la parola  p.88).



 La Bibbia, lettera di Dio agli uomini

Ma cos’è la Bibbia? E perché dobbiamo leggerla? La Bibbia non è un libro scientifico e neanche un testo di morale. La Bibbia è la “Lettera d’amore di Dio agli uomini”. In essa Dio ci viene rivela, ci mostra, ci spiega il suo mistero d’amore per noi. Attraverso le parole bibliche vediamo l’amore di Dio, il pensiero di Dio, l’agire di Dio, le parole di Dio. Le pagine bibliche ci mostrano come l’amore di Dio si è rivelato lungo la storia. L’autore della Lettera agli Ebrei scrive: “Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”(Eb 1,1-2). In queste brevi parole è come tracciata in due tratti l’intera storia della salvezza, ossia il modo con cui Dio ha rivelato agli uomini il suo amore.


Le pagine della Bibbia sono parole d’amore rivolte a noi, a te, a me. Ecco perché va frequentata personalmente, così come avviene con ogni lettera d’amore, o meglio come accade in ogni rapporto umano. Nessuno intrattiene i rapporti con la persona amata per interposta persona. Può accadere in qualche occasione particolare, non certo ordinariamente. La stessa cosa accade con la Sacra Scrittura. Quante volte sento dire: “Per i libri di preghiere ci pensa mia moglie”; oppure: “i libri di devozione stanno sul suo comodino”; o quando si porta in dono il Vangelo: “ne basta uno per famiglia”. No, ciascun cristiano, ciascuna persona, deve avere la “sua” Bibbia (il “suo” Vangelo); e deve leggerne un piccolo brano ogni giorno e, nel corso degli anni, lo deve conoscere nella sua interezza. Non accade così quando ci troviamo di fronte alla persona amata? Non vogliamo sentirla tutti i giorni e conoscerla interamente?



Dobbiamo quindi porci davanti alla Bibbia come di fronte ad una Persona che ci parla del suo amore per noi; ed è una Persona che ci conosce, mentre noi la conosciamo poco o la conosciamo solo inizialmente e insufficientemente. La Bibbia, come dicevo poc’anzi, è un invito del Signore a riprendere la conversazione dei giorni antichi, una via per riannodare il dialogo interrotto dal peccato. Dio, con la santa Scrittura, ci cerca per dichiararci il suo amore. Tutta la Bibbia è una grande Parola d’amore. Ecco, perché una lettura seria delle pagine della sacra Scrittura implica un coinvolgimento personale, e non una semplice adesione intellettiva e teorica a delle verità astratte. Le pagine della Bibbia sono una richiesta esplicita di amore che pretende una risposta altrettanto esplicita. Questo vuol dire che l’ascolto della Parola di Dio è sempre “pericoloso”, perché porta a situazioni impreviste che richiedono appunto scelte, tagli, decisioni, impegni. Così come accade in ogni dialogo pieno di amore. Forse è proprio di qui che nasce il rifiuto ad ascoltare la sacra Scrittura; un rifiuto che non è di carattere intellettivo, ma più profondo, ossia la paura di lasciarsi amare da Dio. In questo senso si può dire che l’ascolto della Bibbia è affascinante e assieme pericoloso, perché non lascia come si è. Gregorio Magno scrive che chi ascolta “comincia ad essere ciò che non era e smette di essere ciò che era”(Ez, I, X, 7).



Se la Parola di Dio rivela il cuore di Dio, è ovvio che solo chi si lascia toccare il cuore ne comprende il senso profondo. La Sacra Scrittura, pertanto, va letta come si fa con una lettera d’amore: chi ama desidera cogliere ogni tratto, ogni sfumatura, ogni tensione, ogni avvertimento, ogni suggestione della persona amata. La Sacra Scrittura va frequentata allo stesso modo in cui i discepoli frequentavano con Gesù, con la stessa familiarità, con la stessa assiduità, con la stessa fiducia. Soltanto l’amore ci premette di cogliere il senso profondo della Parola di Dio, appunto perché l’amore ne è il principio e la fine. E’ stato l’amore che ha spinto Dio a parlare; e ha parlato per spingerci ad amare. Gregorio Magno, con una efficacissima sintesi, afferma: “E’ a quest’unico scopo che Dio ci parla attraverso tutta la sacra scrittura: per attirarci all’amore verso di lui e verso il prossimo”( Ez, i, 10,14).




 Parola ed Eucarestia

 Nella lettera pastorale L’Eucarestia salva il mondo ho già accennato al legame che c’è tra Scrittura ed Eucaristia: entrambi corpo sacramentale di Cristo, e ad entrambi va la stessa venerazione. E’ una convinzione comune nella tradizione della Chiesa, al punto da poter parlare dell’aspetto eucaristico della Scrittura. Quando Gesù risponde a satana: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”(Mt 4, 4), stabilisce questo legame tra il pane e la parola. Del resto, nel noto discorso sul pane alla sinagoga di Cafarnao, Gesù si identifica continuamente con il “pane” e la “parola” che scendono dal cielo. La Sacra Scrittura pertanto non è semplicemente un testo, è piuttosto un pane di cui nutrirsi. Alcuni Padri dicevano: “Per corpo di Cristo si intende anche la Scrittura di Dio”. E San Girolamo, attento studioso delle santa Scritture, scrive: “Io considero il Vangelo come il corpo di Gesù…E quando dice: “Chi mangia la mia carne”…benché questo possa intendersi anche del sacramento, tuttavia corpo e sangue di Cristo, in senso più vero, è la parola della Scrittura”(In Ps CXLVII). 


 “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli” (DV 21), scrive la Dei Verbum. E la Costituzione sulla santa Liturgia afferma: “La liturgia della parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto” (Sacr Conc 56).  E’ molto bello un testo di Ruperto di Deutz quando sovrappone i gesti dello spezzare del pane eucaristico e dello spezzare la Parola di Dio: “Gesù prese il libro e lo aprì, cioè ricevette da Dio tutta la Santa Scrittura per adempierla in se stesso… Il Signore Gesù dunque prese il pane delle Scritture nelle sue mani quando, incarnato secondo le Scritture, subì la passione e risuscitò; allora egli prese il pane nelle sue mani e rese grazie quando, adempiendo le Scritture, offrì se stesso al Padre in sacrificio di grazia e di verità” (In Jo VI).



Permane ancora purtroppo quella concezione riduttiva per cui quel che conta è l’Eucarestia, nella quale si riceve la grazia, mentre la Parola è come un di più: essa offre la dottrina, la verità, i principi morali, e così oltre. No, c’è una “presenza reale” di Cristo anche nella Bibbia, come del resto dice il Concilio nella Sacrosanctum Concilium: “il Cristo è presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura”(7) e più avanti, afferma che attraverso la Bibbia “Dio parla al suo popolo, Cristo annunzia ancora il vangelo” (33). La Parola di Dio perciò non trasmette solo una dottrina, non è un contenitore di regole morali, essa anzitutto e soprattutto rende presente Dio che ci parla. Per questo essa dona un’energia di grazia, una potenza interiore che è certamente misteriosa ma realissima: la parola è una forza che cambia, che guarisce, che trasforma, che salva. Va ricordato sempre che la Bibbia non è una parola su Dio. No, la Bibbia è parola di Dio. È Lui stesso che parla a noi. 



Ostacoli alla lettura della Parola di Dio




Dobbiamo dire che non mancano ostacoli e difficoltà alla lettura della Parola di Dio. C’è certamente un clima culturale dominante che non favorisce né la lettura né la meditazione. E’ facile riscontrare in noi stessi e negli altri la paura di fermarsi, di sostare, di pensare. Siamo tutti come costretti ad una frenesia di attivismo con l’intento di riempire vuoti altrimenti insopportabili. Ed ecco che si legge poco dovunque. Si leggono pochi libri e pochi giornali. Non  ci si rende conto che se la mente non viene esercitata si sclerotizza ed è assoggettata a quella cultura dominante che comunque tutti subiamo attraverso televisione e pubblicità. L’archimandrita Sophrony, un monaco ortodosso che è stato per tanti anni al Monte Athos e poi si è recato in Francia e in Inghilterra, diceva: “L’ambiente sociale in cui viviamo si oppone alla preghiera, perché organizza la sua vita avendo altri scopi, diametralmente opposti ad essa. Gli spiriti ostili non la sopportano. Ma solo la preghiera permette al mondo creato di rinascere dalla sua caduta”. Questo clima culturale è entrato anche nella vita delle comunità cristiane. Siamo tutti figli di questa generazione e di questa cultura affaristica . Anche nelle giornate del credente si riduce sempre più lo spazio della preghiera e della meditazione. Tutti corriamo senza mai fermarci. Questo avviene ovunque, anche nelle parrocchie. Aumentano gli impegni di ordine pastorale, diminuisce la lettura della scrittura. E cosa accade? L’aridità interiore, per cui diveniamo tutti causa ed effetto della burocratizzazione della vita ecclesiale. Le nostre parrocchie sono diventate spesso un cumulo di attività di ogni genere, senza alcuna vera priorità: tutto è importante e quindi nulla davvero necessario, salvo la propria tranquillità o comunque le proprie ragioni. E’ persino ovvio dire che tra le tante attività può esserci anche il momento della preghiera. Ma quel che manca è la fonte, l’origine da cui tutto dovrebbe scaturire, che è appunto l’ascolto della Parola di Dio. Siamo pieni di pratiche e di devozioni, e il Vangelo rischia di essere secondario, di non far parte delle nostre reali preoccupazioni. Potremmo dire che ciascuno di noi (e le nostre parrocchie) rischiamo di cadere nella tentazione di Marta.



Conosciamo bene la scena evangelica. Mentre Maria sta ai piedi di Gesù per ascoltare la sua voce, Marta è travolta dalle faccende. Si è giustamente riempita la vita, potremmo dire. E pensa anche di far bene. In verità fugge da ciò che più conta. E la prova ne è l’irritazione che prova verso lo stesso Gesù. E si badi bene non si tratta in questo caso della vecchia tensione tra vita attiva e vita contemplativa, per cui Marta ha scelto la precarietà della vita attiva. No, il problema è il primato assoluto della Parola di Dio nella vita del credente. Non importa se uno ha scelto la vita attiva o la vita contemplativa: in ambedue i casi deve essere evidente il primato dell’ascolto della Parola di Dio.



 La preghiera cristiana



E’ necessario riscoprire la preghiera con la Bibbia. Prendo spunto da  alcune affermazioni dei Padri. San Cipriano diceva: “Prega assiduamente e leggi; ora parla con Dio, ora ascoltalo”. San Gerolamo riprese questa indicazione: “Preghi? Sei tu che parli allo Sposo. Leggi? E’ lui che parla a te”. E sant’Ambrogio esortava: “Perché non visitare ancora una volta Cristo, parlargli, ascoltarlo? Parliamo con lui quando preghiamo; lo ascoltiamo quando leggiamo gli scritti ispirati da Dio”. Questo sta a dire che la Bibbia e la preghiera sono strettamente legate. E’ inimmaginabile una preghiera cristiana che non trovi nella Bibbia la propria fonte e il proprio nutrimento. Pregando con la Bibbia entriamo a nel cuore stesso di Dio. Sono da continuare e da arricchire i gruppi o i singoli che praticano la Lectio Divina. Li incoraggio e li benedico.



 Vorrei perciò questa sera offrire alla Diocesi, un metodo semplice di preghiera con il Vangelo. La preghiera che vi propongo è l’antica pratica della “lectio divina”. La chiamo “preghiera cristiana”. Vi consegnerò, all’inizio dell’Avvento, il Vangelo di Matteo con un mio piccolo commento. Sia  il libro della vostra preghiera. Come usarlo? E’ semplice. Si devono trovare anzitutto cinque minuti al giorno (al mattino o alla sera, o in qualunque momento). Si può essere soli  o in famiglia (ho appreso, ad esempio, che una ragazza ha convinto tutta la famiglia a raccogliersi la sera prima di cena e leggere insieme un brano del Vangelo con il mio commento. Che meraviglia! Così si è benedetti da Dio con un’abbondanza di grazia inimmaginabile).



Ecco come si svolge la preghiera. Potete farla già con il vangelo di Marco.



C’è anzitutto l’invocazione allo Spirito Santo. Non si può comprendere la Bibbia senza invocare l’aiuto dell’autore, lo Spirito santo. Cosa c’è di meglio di chiedere l’aiuto a chi ha scritto il libro? Viene quindi il primo momento, ossia la lettura del brano evangelico. Deve essere fatta con calma e in modo comprensibile. E questo è il momento dell’ascolto. Dobbiamo aprire le orecchie del corpo e soprattutto quelle del cuore. Fatta la lettura del brano evangelico viene il secondo momento: si legge il commento da me scritto. E’ la meditazione. Il commento applica la pagina evangelica alla nostra vita. Viene poi il terzo momento che consiste in alcuni istanti di silenzio ove ciascuno riflette su quel che ha ascoltato. E’ la contemplazione di quel che abbiamo “visto” in questi pochi minuti. Di qui scaturisce la breve preghiera conclusiva.


Per aiutarvi in questo metodo semplice che ho chiamato “preghiera cristiana” ho preparato un piccolo segnalibro che vi sarà consegnato con il Vangelo, nel quale sono indicati i diversi momenti di questa preghiera. Dopo l’invocazione iniziale, viene la lettura del brano evangelico, quindi la meditazione scritta da me, un momento di riflessione in silenzio che contempla quanto si è ascoltato, e infine la preghiera finale.








Spunti per la ricerca e la riflessione


1) La Bibbia e la catechesi. E’ sempre più urgente che la catechesi sia nutrita della Bibbia, soprattutto dei Vangeli.



2) L’Omelia. Sant’Agostino: “Quel che vi dispenso non è mio. Io mangio quel che mangiate voi. Abbiamo una dispensa comune in cielo; di là infatti viene la Parola di Dio” (Sermo 95, 1)



Chi predica


Chi ascolta



3) L’arte.  La “Biblia pauperum” nelle nostre chiese



4) I canti.  Cesario di Arles: “”La luce dell’anima e il cibo eterno altro non è infatti se non la Parola di Dio, senza la quale l’anima non può né vedere né vivere: giacché, come la nostra carne muore se non assume cibo, così anche la nostra anima si spegne se non riceve la arola di Dio. Ma qualcuno dice: ‘Io sono un contadino e sono continuamente impegnato nei lavori dei campi: non posso né stare ad ascoltare, né leggere la Scrittura divina’. Quanti uomini e quante donne dei campi ricordano a memoria e cantano canti diabolici lascivi e sconci! Possono ricordare e imparare queste cose che insegna il diavolo, e non possono ricordare ciò che rivela Cristo?”(Pred la Par, 106).



5) La Bibbia in famiglia. Giovanni Crisostomo, il grande vescovo di Costantinopoli, diceva ai suoi fedeli che talora mal sopportavano le sue indicazioni: “Si dirà da parte di qualcuno: Io non sono né monaco, né anacoreta, ho moglie e figli e mi prendo cura della mia famiglia. Ecco la grande piaga dei nostri tempi, credere che la lettura del Vangelo sia riservata soltanto ai religiosi e ai monaci…E’ un grande male non leggere i libri che recano la parola di Dio, ma ve n’è uno peggiore, credere che questa lettura sia inutile…Non ascoltare la parola di Dio è causa di fame e di morte” (in Mat, Omel 2, 5-6).


6) La Bibbia, la città e gli amministratori della cosa pubblica. La Bibbia aiuta ad essere saggi, certamente chi crede ma anche chi non accoglie nel proprio cuore la fede. C’è un bel testo di Sant’Ambrogio che dice essere assicurata la prosperità di una città quando essa ha una moltitudine di giusti: “Come dunque tutta la città è consolidata e resa più prospera dalla presenza di persone sagge o è rovinata dalla loro scomparsa, così un discorso austero e pieno di senile prudenza è in grado di tenere salda l’anima e ferma la mente di ciascuno. Se riusciamo inoltre a utilizzare copiosamente la lettura dei testi sacri, vero e proprio senato di numerosi insegnamenti e di buoni consigli, essa rende addirittura perpetua la stabilità di quella città che è nel cuore di ciascuno” (De Cain et Abel, II,3,12).