Incontro diocesano dei giovani

Incontro diocesano dei giovani

Incontro diocesano dei giovani 
Dov’è la pace sulla terra? Dove gli uomini e le donne vivono felici, amandosi, aiutandosi, sostenendosi, consolandosi, volendosi bene? E’ una domanda che ci brucia.


Per questo ci siamo radunati. Vogliamo entrare con Gesù dentro Gerusalemme, simbolo di ogni città del mondo. Gesù non poteva assistere impassibile a quanto stava, a quanto sta accadendo. Certo, poteva restarsene a parte, chiuso nella sua tranquillità. Del resto che ci poteva fare lui di fronte alla potenza dell’Imperatore romano, al potere di Pilato, alla ferocia di Erode, alla violenza dei Sommi sacerdoti?
No, non poteva restare lontano dalla vita della gente. Gesù sa bene che se la gente resta sola viene uccisa, com’è stato ucciso Marco Biagi; se non c’è chi grida contro la violenza e l’ingiustizia i poveri continueranno a soffrire; se non c’è chi si sdegna di fronte alla guerra, ai morti per fame, per droga, per schiavitù tutto resterà come sempre.


Noi questa sera siamo qui per dire che non ci rassegniamo. Sì, non ci rassegniamo al mondo così com’è. Non ci rassegniamo ad una vita mediocre e senza sogni, non ci piacciono più giornate che non trasformino almeno un poco la vita di questo mondo.


Non ci stiamo più a sostenere un mondo ove chi soffre è condannato a sparire per fame e chi è ricco a morire per noia. E per questo scegliamo di andare dietro Gesù per entrare con lui dentro Terni, dentro Narni, dentro Amelia, per citare le tre cittadine più grandi. Ma non ci fermiamo: vogliamo entrare in Albania e nel Congo, in Guatemala e in Perù, in Bosnia e nel Kossovo, insomma ovunque c’è bisogno. E nessuno potrà fermarci. Questa croce che ci sta accanto rappresenta tutte le croci del mondo. Sono le nostre croci. E, come possiamo, ce ne facciamo carico, almeno sentendone il peso, almeno scandalizzandocene. E’ facile dimenticarci dei crocifissi della terra. Dopo qualche giorno, anche quelle che ci giungono attraverso la televisione, diventano subito immagini di repertorio. Vanno in archivio. E andranno in archivio le colonne dei deportati, andrà in archivio lo sguardo spaurito dei bambini, andrà in archivio lo sguardo rassegnato dei vecchi. Alcune tragedie poi neppure giungono sui nostri schermi. Esse fin dall’inizio sono e restano nell’archivio segreto della storia di questo mondo; non certo sulla pelle di coloro che le hanno subite e che ancora le subiscono. E poi è pronta anche la scusa per potersene dimenticare: “non possiamo essere oppressi da queste immagini; abbiamo bisogno di vivere anche noi; e poi la vita è diventata più dura per tutti, anche per noi”. E una volta accantonata la croce, per cercare la propria tranquillità, si costruisce una società crudele, perché ciascuno cerca solo se stesso e la propria individuale soddisfazione. E tutto ciò che reputi non consono a te o a certi canoni imposti, lo elimini. Hai paura che un figlio resti handicappato? lo elimini. Hai il terrore di fare una bruta figura agli esami? ti autoelimini. Cari amici il rischio è grande: stiamo costruendo un mondo di soli, di uomini e donne soli, di ragazze e ragazzi soli, di anziani soli…L’amicizia, quella vera, è rara, davvero rara.


Gesù ci insegna cos’è l’amicizia. E ce lo insegna proprio dalla croce. Mentre stava crocifisso gli gridavano: “salva te stesso!”. Era un coro unanime, senza nessuna dissonanza: “salva te stesso!”. Era ed è il Vangelo unico di questo mondo: “salva te stesso! Che t’importa degli altri!” Gesù era vissuto per salvare gli altri. Per questo entrò a Gerusalemme, anche a costo della propria vita.


Questa sera vorrei ricordare Mons. Romero, un vescovo ucciso 22 anni fa il 24 marzo mentre celebrava la Messa. Anche lui entrò dentro l’ingiustizia del suo piccolo paese, El Salvador, dove dieci famiglie possedevano l’intero paese e tenevano in schiavitù la stragrande maggioranza. Romero, ascoltando il Vangelo, imparò ad amare il suo popolo, appunto come Gesù, il buon pastore che dava la sua vita per le pecore. Fu minacciato, fu invitato a lasciare il paese, ma egli rimase, come Gesù rimase a Gerusalemme. E fu ucciso. Questa croce che porto al collo è la croce di questo vescovo. A poche centripeti da essa è passato l’unica pallottola che gli scoppiò dentro il cuore. Era il momento dell’offertorio. Aveva messo le ostie sull’altare, quando dal fondo della chiesa un killer fece partire un solo colpo. Romero, centrato al cuore, restò un attimo immobile, e poi aggrappandosi alla tovaglia cadde al suolo portandosi addosso le ostie. Quella sera era lui l’ostia, la vittima.


Cari amici, abbiamo bisogno di uomini come questi, di uomini e di donne che sanno amare così. Questo secolo iniziato in modo così tragico ha bisogno dell’amore. Di un amore capace di superare la morte, così come la croce ce lo mostra. La vita muore se non si trasmette; finisce se non si dona; non ha senso se è isolata. La croce di Gesù è la vita. E ce ne da una lezione anche di lì. Sulla croce non piange su di sé. E ne aveva non solo ragione, forse anche diritto. Gesù morente vede l’anziana madre e il giovane discepolo. Forse pensa: “Che ne sarà di loro?” Rivolto alla madre le dice: “donna ecco tuo figlio”, e al giovane discepolo: “ecco tua madre”. E “da quel momento il discepolo la prese con sé”, chiude l’evangelista. La solitudine di quell’anziana fu vinta, come pure fu superata la solitudine di quel giovane. Da quella croce nasceva una nuova amicizia tra quella donna e quel giovane.


Cari amici, anche noi possiamo far fiorire dalle croci di questo mondo una nuova amicizia. Anche a noi vien detto: “prendi con te” quella donna anziana, quel malato, quel carcerato, quel povero, quell’amico solo. Con l’amore, anche la croce più dura, può fiorire.