Convegno del Rinnovamento dello Spirito

Convegno del Rinnovamento dello Spirito

 


Care sorelle e cari fratelli,


 


questa santa liturgia della solennità di Tutti i Santi, che in certo modo chiude questi vostri giorni di convegno, accoglie tutto il lavoro, le riflessioni, i progetti, le speranze nell’icona evangelica delle beatitudini che ci è stata annunciata. Scrive il Vangelo di Matteo che “Gesù, vedendo le folle, salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i discepoli”(Mt 5,1). Sì, care sorelle e cari fratelli, questi giorni vi hanno visti sulla montagna raccolti attorno al Maestro: vi siete, ci siamo, avvicinati a Gesù come quel giorno fecero i discepoli e avete aperto il cuore alla sua parola e alla sua visione. Questa scena evangelica tante volte si è ripetuta. Come non pensare al monte Tabor ove Pietro, al termine di quel che aveva visto e udito, esclamò: “È bello per noi stare qui”? Voi potreste ripetere alla lettera queste parole di Pietro, dopo aver visto e udito quanto il Signore vi ha comunicato e vi fatto gustare. Del resto stare vicini a Gesù è il primum dei discepoli, come nota il Vangelo di Marco quando narra la scelta dei dodici: “Ne costituì Dodici, perché stessero con lui”(Mc 3,14). È certamente uno stare fisico accanto al Maestro. Ma è soprattutto uno stare accanto a lui in maniera spirituale, ossia per essere trasformati nella mente e nel cuore dall’azione dello Spirito sino a poter dire con l’apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”(Gal 2,20). È questo l’esito dell’esperienza del monte. Lo stesso apostolo scrive ai Romani che “quelli che (il Padre) egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati per essere conformi all’immagine del Figlio suo perché egli sia il primogenito tra molti fratelli”(Rm 8, 29).


È questo il senso dell’icona evangelica delle beatitudini. Matteo continua narrando che Gesù “prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo”. E inizia a porre sulla bocca di Gesù la lista delle beatitudini. I Padri della Chiesa, particolarmente sant’Ambrogio, vedono in esse non un elenco qualsiasi ma un ordinato percorso per aiutare i discepoli a divenire immagine di Cristo. È Gesù stesso infatti l’uomo delle beatitudini, è il suo volto che in quelle parole viene descritto. È Gesù il povero di spirito che è venuto a inaugurare il regno dell’amore e della pace. È lui che piange, afflitto, su Gerusalemme che andrà in rovina perché non ascolta i profeti. È lui il mite e umile di cuore che è venuto per consolare gli affaticati e gli oppressi. È lui che ha fame e sete di giustizia perché nessuno si perda nelle spire della morte e del male. È lui il misericordioso, il compassionevole che si è fatto vicino all’uomo mezzo morto e lo ha caricato sulle sue spalle come il buon pastore. È lui il puro di cuore che ha fatto bene ogni cosa. È lui l’operatore di pace che ha abbattuto il muro di separazione che divideva gli uomini. È lui il perseguitato perché ha fatto dell’amore senza limiti la legge suprema. Ed è lui che è stato insultato sulla croce perché non voleva salvare se stesso, come tutti cerchiamo di fare, ma voleva gli altri, come solo lui sa fare. Gesù voleva imprimere nel volto dei discepoli il suo stesso volto, un volto ricco di amore, ricco di sapienza, ricco di umanità.


Questa icona, care sorelle e cari fratelli, continua nella storia ogni volta che i discepoli si avvicinano al Maestro sul monte. Ma il monte delle beatitudini non stacca Gesù e i discepoli dalla folla. La salita sul monte non è una scena di distacco. L’evangelista Matteo non a caso nota che Gesù “vedendo le folle” salì sul monte come per vederle tutte, come per cogliere lo sguardo di ciascuno. Erano quelle folle di cui lui aveva compassione perché erano come pecore senza pastore. Care sorelle e cari fratelli, se il Signore ci ha portati su questo monte è perché i nostri occhi vedano le folle con lo stesso sguardo di Gesù, perché i nostri cuori le amino come le amava Gesù, perché le nostre parole possano giungere al loro cuore come quelle di Gesù. Le folle del Vangelo, infatti, non sono diverse dalle folle di oggi, da quelle che noi vediamo nelle nostre città e nei nostri paesi, in Italia, in Svizzera, in Germania, e anche dalle folle che non vediamo, soprattutto quelle che popolano il grande Sud povero del mondo. È un immenso popolo di poveri e di gente stanca e smarrita: sono gli anziani lasciati soli, sono i bambini sfruttai, sono i malati abbandonati, sono quei popoli che vengono falcidiati dall’Aids, dalle guerre, dalla fame. Chi si prende cura di loro? Chi spende le proprie energie e il proprio tempo per venire il loro soccorso?


Gesù continua a radunare i suoi discepoli perché la sua compassione possa raggiungere le folle stanche e sfinite di questo mondo. In un mondo in cui è facile ripiegarsi su se stessi e sui propri problemi, in un mondo in l’interesse per sé travolge i singoli e le nazioni, è facile che anche i credenti si lascino sorprendere dalla tentazione di rinchiudersi nei proprio piccolo mondo, nella preoccupazione per i problemi interni, nella rassegnazione di fronte alla potenza del male che opprime la vita di tanti. Care sorelle e cari fratelli, il Signore, in questo crinale della storia umana, è salito ancora una volta sul monte, ha radunato attorno a sé i discepoli e li ha inviati come testimoni del suo amore e della sua compassione. C’è stata e deve continuare la nuova effusione dello Spirito che ha invaso la Chiesa. È questo il senso storico della nascita di un così gran numero di movimenti che fanno rivivere nella Chiesa, come tante volte ci ha detto Giovanni Paolo II, una nuova Pentecoste. Il Signore ha raccolto sul suo monte santo un grande popolo carismatico, ricco e vario, perché ancora una volta il fuoco della compassione incendiasse il mondo. Gesù lo aveva detto: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso!”(Lc 12, 49). E ha voluto accenderlo ancora perché il dono della sua compassione possa raggiungere le folle sbandate di questo nostro mondo di cui nessuno si prende cura. E lo Spirito è stato effuso con abbondanza e con una varietà che prima non conoscevamo. E voi siete testimoni del miracolo di questa effusione straordinaria. E ringraziamo lo Santo Spirito di Dio perché continua a infondere nei cuori di tanti la molteplicità dei suoi doni. Stare sul monte vicino a Gesù vuol dire lasciarsi incendiare il cuore dalla compassione di Dio. Nel Vangelo apocrifo di Tommaso Gesù dice: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco; chi è lontano da me, è lontano dal regno”. Se siamo qui, siamo vicini al fuoco. Ne siamo anzi circondati sino ad essere come costretti a divenire uomini e donne delle beatitudini. Sì, a voi del Rinnovamento è affidato il compito di manifestare al mondo la bellezza e la gioia di stare accanto a Gesù per essere da lui inviati a rendere il mondo più misericordioso, più pacifico, più solidale.


E la Chiesa con la festa di oggi vuole farci gustare la ricchezza e la bellezza del grande popolo delle beatitudini. Non sono i santi noti, ma l’innumerevole degli uomini e delle donne che si sono accostati con fiducia alla misericordia di Dio. Scrive Giovanni: “apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti all’agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani”. Nessuno, a qualunque popolo, cultura e fede appartenga è escluso dalla partecipazione a questa vita piena di comunione. E lo Spirito effuso da Dio sul mondo ha varcato ogni limite e ogni confine. Nulla e nessuno gli è estraneo. E noi siamo partecipi di questa moltitudine di “figli di Dio”: è la famiglia dei santi, una famiglia grande, ben più ampia di quel che noi pensiamo. E vi partecipano coloro che hanno accolto la chiamata di Dio, che hanno ascoltato il Vangelo e lo hanno seguito, e molti sino all’effusione del sangue. Penso alla folla innumerevole dei martiri del Novecento, la cui stragrande maggioranza sono senza nome, e si tratta di milioni di credenti, vescovi e preti, monaci e religiosi, cattolici e non cattolici, giovani e meno giovani, uomini e donne, contadini e intellettuali. Oggi li vediamo tutti raccolti attorno al Signore: “Beati voi quando vi perseguiteranno!” E assieme a loro vediamo i deboli, i malati, i bisognosi, i poveri, perché – sta scritto – “di essi è il Regno dei cieli”. Sì, nella famiglia dei santi sono accolti anche i disperati della terra, i numerosi Lazzaro, disprezzati da gli uomini ma amati da Dio e accolti nel suo seno. E tra i santi vediamo tutti i credenti, i figli del popolo d’Israele, i figli di Abramo, i figli delle grandi religioni mondiali che con cuore sincero hanno innalzato la loro preghiera a Dio spinti dallo Spirito che non cessa di operare in ogni cuore. E ci sono anche gli uomini di buona volontà, i giusti, coloro che hanno dato da mangiare e da bere agli affamati e agli assetati, coloro che si sono commossi sui deboli e sui malati, sui carcerati e sui soli, coloro che hanno dato la vita per la giustizia e la pace. 


Care sorelle e cari fratelli questa memoria ci fa comprendere ancor più la grazia che il Signore ci ha dato: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!.. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. La santità è di far parte già da ora della “familia Dei”, è essere “separati” da un destino di solitudine e di angoscia, “separati” dalla vita triste di questo mondo per essere discepoli delle Beatitudini, della gioia evangelica. La concezione della felicità evangelica, che appare rovesciata rispetto a quella della cultura dominante, è una indicazione decisiva per noi tutti. E’ vero che la cultura consumistica ed egocentrica spingono a chiederci: com’è possibile essere felici, contenti, quando si è poveri, afflitti, miti, misericordiosi? Eppure, se guardiamo con attenzione le cause di amarezza della vita di questo nostro mondo le scorgiamo appunto nella insaziabilità, nella ricerca spasmodica della ricchezza, nell’arroganza, nella prevaricazione, nell’odio, nell’indifferenza, nell’amore ossessivo di se stessi e delle proprie cose. La lontananza dalla via delle Beatitudini rende il mondo violento e pieno di tragedie; recuperare la distanza che ci separa dalle beatitudini, svuotare il mondo di violenza, di egoismo, di indifferenza, è un servizio necessario. Il Signore ce lo affida. La santità non è allora una via straordinaria, riservata a persone speciali, ma il cammino quotidiano di uomini e di donne che decidono di ascoltare il Vangelo e di lasciarsi guidare dalla forza dello Spirito che fa nuove tutte le cose, il cuore, la Chiesa e il mondo.