Il Giorno di Natale ad Amelia

Il Giorno di Natale ad Amelia

“Buon Natale!” E’ un augurio bello. Ed è ancor più significativo farcelo in questo Natale che inizia il nuovo secolo. Non molti secoli fa, l’Occidente cristiano, colpito dalla bellezza di questa festa e considerandola, a ragione, come il principio della rigenerazione del mondo, contò a lungo gli anni cominciando proprio dal Natale e non dal primo gennaio. Era molto vivo che il Natale fosse la festa della rinascita : Buon Natale, infatti, significava buona rinascita. Oggi ci scambiamo questo augurio mentre in tutto il mondo cristiano termina il Grande Giubileo e inizia il nuovo millennio. Il secolo passato lascia un’eredità di problemi, di attese, di sofferenze. Il nuovo millennio chiede a tutti un nuovo slancio, una vera rinascita. Lo chiede anche qui ad Amelia. Voi sapete che non mancano i problemi; basti pensare, ad esempio, a quelli relativi alla occupazione. Ebbene, il Natale torna perché tutti possiamo rinascere, perché tutti possiamo sperare in un futuro nuovo.


S.Efrem, un Padre dell’antica Chiesa d’Oriente, paragonando il Natale a Gesù lo chiama “amico degli uomini”: “Il Natale ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il bambino ch’è nato…Sa che la natura non potrebbe farne a meno; come te (Gesù), esso viene in aiuto degli uomini in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita…Sia dunque anche quest’anno simile a te, porti la pace tra il cielo e la terra”. Un Natale, dunque, “amico degli uomini”. Sì, abbiamo bisogno di giorni che siano “amici” e non tristi.


E per questo, proprio per rendere felici i nostri giorni è venuto Gesù ad abitare in mezzo a noi. Il Prologo del Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato fissano la grandezza e la tenerezza del giorno di Natale. “La Parola si è fatta carne ed è venuta a porre la sua tenda in mezzo a noi”. E la notte scorsa, ho iniziato le celebrazioni liturgiche di natale proprio in una  tenda, a San Faustino, la chiesa colpita dal terremoto e resa inagibile. Abbiamo piantato una tenda davanti la facciata e abbiamo celebrato la prima Messa di natale. Sì, vorrei dire che nella nostra diocesi, il Natale è iniziato proprio come dice il vangelo di Giovanni: Gesù è venuto in una tenda. Se il terremoto ha incrinato le nostre case e ha costretto molti a lasciarle, il Signore Gesù è sceso ugualmente e ci ha raccolti assieme. Quella Parola che “era presso Dio” ha scelto la nostra povera tenda perché noi non solo non avessimo più paura, ma potessimo rinascere nell’amore. Questo è il Natale di cui abbiamo bisogno. Un Natale  di pace e di gioia. Il profeta Isaia ci grida: “Prorompete insieme in canti di gioia, perché vedono con i loro occhi il ritorno del Signore”. E, in un altro passo, Isaia dice ancora: “Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia…poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”.


Ha ragione il profeta nel dire: “ci è stato dato un figlio”. Egli, infatti, non viene dalla terra, non è un nostro frutto; è il più grande dono di Dio agli uomini. E’ sceso dal cielo e, anche se rifiutato, si è contentato di nascere in una stalla pur di starci vicino. Ecco di che pasta è fato l’amore di Dio! Allestendo il presepe, tutti ci commuoviamo almeno un poco. E facciamo bene. Ma quella scena, che una bella e delicata tradizione vuole che adorni anche le nostre case, non deve farci dimenticare la triste realtà che esprime: una città, Betlemme, non accoglie Gesù. “Non c’era posto per loro”, scrive Luca amaramente. E quante volte anche oggi dobbiamo scrivere questa stessa frase! Quanta gente non è accolta anche oggi! Come allora non commuoversi per loro e come non scandalizzarsi per tanta durezza? Dobbiamo chiederci se noi non siamo spesso come gli abitanti di Betlemme, indifferenti e duri verso i deboli, gli stranieri, i poveri, i malati. Ma oggi, giorno della nascita di Gesù, siamo sorpassati dalla misericordia e dall’amore di Dio. Sì, il Natale, visto dalla parte di Dio, è un amore incredibile, fuori ogni misura: Egli scende dal cielo e pur di starci accanto viene in una stalla. Come, allora, non commuoversi ?


E’ senza dubbio incredibile che Dio venga sulla terra e accetti anche una stalla; ma quel che ci lascia ancor più sconvolti è che si presenti come un bambino, che tra tutte le creature è il più debole. Chi mai avrebbe solo potuto pensarlo? Eppure il Natale è tutto qui: un Dio bambino. Ed è come tutti i neonati: non sa parlare, anche se è la Parola fattasi carne. Forse si esprime solo con un pianto implorante: è per toccare il cuore di ognuno. Il Natale, che ci vede immersi in una sorta di “ecumenismo” consumista che tutto omologa e confonde senza peraltro soddisfarci, chiede ad ognuno di noi almeno di ascoltare questo pianto che implora aiuto e protezione.


Assieme al Bambino di Betlemme lo chiedono i bambini poveri, sfruttati e violentati di ogni parte del mondo; lo chiedono gli anziani, anch’essi esclusi dalla vita. Non chiedono molto, implorano solo di far parte della famiglia umana. E lo domandano anche gli stranieri, quelli che hanno fame e sete, gli oppressi dalle guerre e dalle ingiustizie, i disperati e gli angosciati del nostro mondo. In loro nome, implorando e piangendo, il Bambino di Betlemme chiede a tutti un po’ d’amore. Sì, Natale è una domanda di amore per i deboli e per chiunque ha bisogno. Accostiamo perciò a questo Bambino come fecero i primi pastori. Lasciamo almeno per un momento la cura delle nostre greggi, abbandoniamo l’orgoglio prepotente e capriccioso che ci costringe alla notte dell’egoismo, e avviamoci verso quel bambino. E’ la persona decisiva non solo per la nostra vita, ma per l’intera storia degli uomini. Chi guarda il Signore e non se stesso o i tanti idoli di questo mondo, ritrova la felicità e il senso della vita. A Natale non importa la condizione in cui siamo, non contano neppure i pesi che ci opprimono o i problemi che ci attanagliano. Tutto ciò fa ancora parte della nostra notte. Quel che conta è andare a vedere Gesù, è trovarsi attorno a quella mangiatoia. Un Natale così è davvero “amico degli uomini”, dei deboli, dei piccoli. E a ragione S.Efrem può cantare : “Il giorno della tua nascita, o Signore, è un tesoro destinato a soddisfare il debito comune”, il debito dell’amore.