Il giorno del Signore

Il giorno del Signore

“Non possiamo vivere
senza la Domenica”

I cristiani, fin dall’inizio,
hanno celebrato la Domenica. Scrive il Vaticano II: “Secondo la tradizione
apostolica, che ha origine dal giorno stesso della risurrezione di Cristo, la
Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che chiama giustamente
giorno del Signore o domenica” (Sacr.Concilium, 106). E aggiunge che “La
domenica è la festa primordiale dei criostiani”. San Girolamo, in
effetti, affermava: «La domenica è il giorno dei cristiani, è
il nostro giorno». La Domenica, inaffti, li distingueva dagli altri: solo
i discepoli di Gesù ricordavano la Pasqua di risurrezione. Ecco perché
dicevano: «Non possiamo vivere senza la domenica», ossia: “non
possiamo vivere senza fare memoria della Pasqua”. Sant’Ignazio, mentre
veniva portato a Roma per essere ucciso, scriveva: “Dunque quelli che erano
per le antiche cose sono arrivati alla nuova speranza e non osservano più
il sabato, ma vivono secondo la Domenica, in cui è sorta la nostra vita
per mezzo di Lui e della sua morte”.
Le prime comunità cristiane, nella ovvia indifferenza sia della società
ebraica che di quella romana, nel giorno di Domenica si raccoglievano e facevano
memoria del Signore risorto con la celebrazione dell’Eucarestia. Giustino,
siamo nel II secolo, la descrive così: “Il giorno che viene chiamato
il giorno del sole, tutti, sia che abitino nelle città o nelle campagne,
ci raccogliamo in uno stesso luogo dalla città e dalla campagna, e si
fa lettura delle Memorie degli apostoli e degli Scritti dei profeti, sin che
il tempo lo permette. Quando il lettore ha terminato, colui che presiede tiene
un discorso per ammonire ed esortare all’imitazione di questi buoni esempi.
Poi tutti insieme ci leviamo e innalziamo preghiere sia per noi stessi sia per
tutti gli altri, dovunque si trovino…Finite le preghiere, ci salutiamo
l’un l’altro con un bacio. Quindi viene recato a colui che presiede
l’assemblea dei fratelli un pane e una coppa d’acqua e vino. Egli
li prende e loda e glorifica il Padre dell’universo per mezzo del Figlio
e dello Spirito Santo; quindi fa un lungo ringraziamento (eucaristia) per averci
fatti meritevoli di questi doni. Terminate le preghiere e il ringraziamento
eucaristico, tutto il popolo acclama: Amen…Quando colui che presiede ha
ringraziato e tutto il popolo in coro ha risposto, quelli che noi chiamiamo
diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane e il vino consacrati
e ne portano agli assenti. Quest’alimento noi lo chiamiamo: eucaristia”
(I Apol, 65, 67).

Così i primi cristiani
vivevano la Domenica. Era una scelta che sentivano decisiva, anche se comportava
problemi. Alcuni, per questo, affrontarono persino il martirio. Ad Abitene (una
cittadina dell’odierna Tunisia), nel 304, venne arrestato un gruppo di
cristiani. Di fronte al proconsole che li accusava di riunirsi illecitamente,
Saturnino, uno di loro, rispose: “Noi dobbiamo celebrare il giorno del
Signore: è la nostra legge”. Dopo di lui fu interrogato il proprietario
della casa, di nome Emerito. Il proconsole gli chiese: “Ci sono state riunioni
proibite a casa tua?”. “Si, abbiamo celebrato il giorno del Signore”,
rispose Emerito. “Perché hai permesso loro di entrare?” chiese
il proconsole. Ed Emerito rispose: “Sono fratelli e io non potevo impedirlo”.
“Avresti dovuto farlo”, replicò il proconsole. Ed Emerito affermò:
“Non potevo farlo, perché noi non possiamo vivere senza celebrare
la cena del Signore”. Da notare che la domenica non era ancora giorno festivo.
Erano un gruppetto di laici più un sacerdote e due lettori. Dissero a
chi li interrogava: “Non possiamo vivere senza la domenica”. E, al
proconsole che insisteva, un altro martire rispose: “Come se un cristiano
potesse esistere senza celebrare l’assemblea domenicale o l’assemblea
domenicale potesse essere celebrata senza un cristiano! O non sai che l’essere
cristiano è una cosa sola con l’assemblea domenicale e che l’assemblea
domenicale è una sola cosa con il cristiano, al punto che l’uno
non può stare senza l’altro?”. Non c’è dubbio che
questa coscienza è rara nelle nostre comunità cristiane. E non
solo a causa della secolarizzazione. La testimonianza data da costoro, commenta
Ratzinger, “non è stentata obbedienza a una prescrizione ecclesiastica
sentita come precetto esteriore, è invece espressione di un interiore
dovere e a un tempo di una personale deliberazione” (Communio, 129 (1993)
43-63, p.44).

E’ stata sempre una
grave preoccupazione della Chiesa che i cristiani partecipassero alla Messa
domenicale. L’obbligo di santificare la festa, sotto pena di peccato mortale,
è espressione di questa grave preoccupazione. La Chiesa, madre buona
e premurosa, sa bene che è impossibile vivere senza la messa della Domenica.
E poiché alcuni cominciarono a tralasciala si è trovata nella
necessità di imporla. Insomma, l’obbligo suppliva all’irresponsabilità
dei figli. Non mi dilungo nella descrizione di come la Chiesa ha sempre insistito
sulla necessità della partecipazione alla celebrazione eucaristica domenicale.
Ricordo solo l’impegno del cardinale Cardjin quando, a motivo dell’invasione
del lavoro, difese strenuamente il diritto degli operai a dedicare a Dio la
domenica. Il presule giunse a parlare di una vera e propria “profanazione”:
“Si tratta – scriveva – di rendere al popolo una ricchezza perduta,
un privilegio rubato, un diritto violato…La riconquista cristiana della
Domenica deve apparire a tutti come la condizione essenziale della vittoria
sulla violenza, il terrore, l’ingiustizia e l’oppressione, come la
condizione indispensabile del rispetto della persona, della famiglia, della
dignità umana del lavoratore” (p. 221). E, con il suo linguaggio
forte e chiaro, aggiungeva: “Senza la Domenica cristiana, non c’è
rispetto del lavoratore! Senza la Domenica cristiana, non c’è rispetto
della famiglia del lavoratore! Senza la Domenica cristiana, non c’è
rispetto della dignità umana del lavoratore!”(p.119).

Ma, per tornare, ai nostri
giorni, il documento magisteriale più chiaro e specifico sulla domenica
è la lettera apostolica Dies Domini emanata da Iovanni Paolo II nel 1998.
Non è questa la sede per esporne i contenuti in modo esaustivo. Ma anche
solo l’articolazione dei cinque capitoli fa già intravedere la ricchezza
teologica, spirituale e pastorale del documento: dies Domini, dies Christi,
dies Ecclesiae, dies homini, dies dierum. C’è da dire che la vicinanza
con la celebrazione giubilare non ha forse permesso un approfondimento adeguato
di questo testo da parte delle comunità cristiane. Ed è perciò
quanto mai opportuno tornarci sopra. Il papa stesso lo riprende con la lettera
Novo millennio ineunte. Ed è qui che scrive esplicitamente che l’Eucarestia
è cuore della domenica. E, raccogliendo l’antica tradizione della
Chiesa, ripropone la centralità della Domenica e della Eucarestia: “Stiamo
entrando in un millennio che si prefigura caratterizzato da un profondo intreccio
di culture e di religioni anche nei paesi di antica cristianizzazione. In molte
regioni i cristiani sono, o stanno diventando, un “piccolo gregge”.
Ciò li pone di fronte alla sfida di testimoniare con maggior forza, spesso
in condizione di solitudine e di difficoltà, gli aspetti specifici della
propria identità. Il dovere della partecipazione eucaristica ogni domenica
è uno di questi” (36). La Domenica resta il giorno della Chiesa,
il giorno dell’identità dei cristiani. “Occorre – scrive
il Papa – dare particolare rilievo all’Eucarestia domenicale e alla stessa
domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto
e del dono dello Spirito Santo, vera Pasqua della settimana”(35). Evidenzia
il legame profondo che lega la domenica all’Eucarestia: “Nella assemblea
domenicale…l’incontro con il Risorto avviene mediante la partecipazione
alla duplice mensa della Parola e del pane di vita” (39).

E’ ancora più
che attuale l’antico testo della Didascalia degli Apostoli (III secolo)
rivolto al vescovo: “Quando insegni (o vescovo) ordina e persuadi il popolo
ad essere fedele nel radunarsi in assemblea, a non mancare mai, a convenire
sempre per non restringere la chiesa e diminuire il corpo di Cristo sottraendosi
all’assemblea…Poiché siete membra di Cristo, non disperdetevi
dalla chiesa non riunendovi; infatti, poiché avete in Cristo il vostro
capo…non trascuratevi e non private il Salvatore delle sue membra, non
lacerate e non disperdete il suo corpo non partecipando all’assemblea;
non volgiate anteporre alla parola di Dio i bisogni della vita temporale, ma
nel giorno di domenica, mettendo da parte ogni cosa, affrettatevi alla chiesa.
Infatti, quale giustificazione potrà presentare a Dio chi non si reca
in questo stesso giorno in assemblea ad ascoltare la parola di salvezza e a
nutrirsi del cibo divino che dura in eterno?” (II,59,1-3).

Per la gran parte della
gente dei paesi cristiani la Domenica è purtroppo divenuta una scadenza
con scarsa valenza religiosa. E’ il Week-end, il fine settimana. Il messaggio
della Domenica va ben al di là della coincidenza con il week-end (si
pensi, ad esempio, alle comunità cristiane che vivono nei paesi islamici,
dove la festa civile è il venerdì; non per questo quelle comunità
rinunciano a celebrare la Domenica o spostano le feste cristiane). Giovanni
Paolo II, con la Dies Domini, chiarisce il senso profondo della Domenica per
le comunità cristiane di oggi. Lungi dall’essere “il fine settimana”
la Domenica svela ai cristiani e al mondo intero il fine ultimo della storia:
l’unità di tutti i popoli attorno al Signore. La Messa della Domenica
apre quindi uno spiraglio su quel banchetto della fine dei tempi che Gesù
ha preannunciato: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione
e da mezzogiorno, e siederanno alla mensa del regno di Dio” (Lc 13, 29).
Il Giorno del Signore va ricollocato nel tempo del nuovo secolo, riproponendo
il disegno salvifico di Dio sulla storia degli uomini.

La Domenica, ottavo giorno

La sapienza di Israele insegnava: «Non è Israele che ha salvato
il Sabato, ma il Sabato che ha salvato Israele». Analogamente potrebbe
dirsi per i cristiani circa la Domenica. Bisogna però ricordare che le
motivazioni del Sabato e quelle della Domenica sono diverse. Il sabato, per
gli ebrei, è il giorno santificato in memoria dell’opera della creazione
e della liberazione di Israele dalla schiavitù dell’Egitto. Ed è
caratterizzato dal riposo assoluto, appunto, come fece il Signore il settimo
giorno, al termine della creazione. La Domenica, invece, è il giorno
in cui si fa memoria della risurrezione di Gesù. I primi discepoli di
Gesù celebravano anche il sabato. Solo successivamente lo tralasciarono
per celebrare unicamente il giorno della risurrezione. Non si tratta di rendere
cristiano il Sabato, né di trasformare la Domenica in sabato. Con la
celebrazione della Domenica i cristiani accolgono la profonda trasformazione
operata da Cristo, il quale ha vinto definitivamente la morte “il primo
giorno dopo il sabato”.

In quel momento la storia
umana ha visto l’evento centrale della storia. Il Signore ha liberato gli
uomini e le donne dalla schiavitù del male e della morte. La storia da
quel giorno cambiò il suo corso. Ecco perché con la risurrezione
di Gesù il tempo non gira più attorno agli uomini o attorno a
noi stessi o al nostro fare; e tanto meno è guidato da un destino senza
volto (eppure sono innumerevoli gli uomini e le donne che si affidano al destino!).
La Domenica, con forza ben maggiore, scandisce il tempo della storia, irrompe
nei nostri giorni e li dirige verso Dio, verso il giorno in cui lo incontreremo
“faccia a faccia”.

In tale prospettiva, alcuni
Padri della Chiesa hanno chiamato la Domenica “ottavo giorno”, volendo
indicarla appunto come la pienezza del tempo. Basilio, il grande vescovo di
Cesarea (IV secolo), dopo aver affermato che il giorno consacrato alla risurrezione
“è in qualche modo l’immagine del futuro”, ribadisce che
questo giorno in quanto ottavo significa “il giorno senza fine che non
conoscerà né notte né giorno seguente, il secolo imperituro
che non invecchierà né avrà fine” (Liber De Spiritu
Sancto 66). Tale denominazione si fonda nelle pagine evangeliche che raccontano
le apparizioni di Gesù risorto: “Otto giorni dopo i discepoli erano
di nuovo in casa…Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in
mezzo a loro e disse: pace a voi!” (Gv 20, 26). La Domenica è l’“ottavo
giorno”, ossia il giorno della risurrezione, l’inizio di quella “Domenica
senza tramonto, quando l’umanità intera entrerà nel riposo
di Dio”, come canta il prefazio del messale romano. Insomma, “se vuoi
avere un’idea, pallida ma reale, dell’eternità, vivi la Domenica!”

Il tempo non è solo
quello scandito dalle convenzioni della società civile (l’anno solare,
l’anno lavorativo, l’anno scolastico, e cosi via), ma anche quello
scandito dall’opera di Dio, di cui la Domenica è, appunto, lo svelamento.
Il giorno del Signore mette certamente in risalto la diversità del tempo
religioso da quello ordinario; non per estraniarsene, ma per fermentarlo, per
dargli senso, per salvarlo. Con la Domenica il Vangelo chiama i cristiani a
uscire dalla mentalità egocentrica di questo mondo per vivere un tempo
di libertà, di interiorità, di gratuità, di comunione.
Tutto ciò non è scontato; richiede anzi una scelta e un’educazione
di noi stessi. Nella vita convulsa e affrettata di oggi, la Domenica può
(deve) essere tempo del riposo in tutte le sue dimensioni interiori di preghiera,
di carità, di vita comunitaria.

Le comunità cristiane,
e le stesse città ove esse abitano, hanno bisogno della Messa, come il
corpo ha bisogno del cuore. Si potrebbe dire che ne hanno bisogno anche coloro
che non vi partecipano affatto. Appunto come le altre parti del corpo hanno
bisogno del cuore per vivere. La Messa domenicale resta il cuore della Chiesa
e della terra che essa abita. Ai credenti è affidata la responsabilità
di questo cuore; perché non resti freddo e sappia trasfondere il senso
di Dio ad un mondo che si allontana da Lui. La vita triste e a volte violenta
delle nostre città è legata anche all’assenza o alla fiacchezza
delle Messe domenicali. Tutti hanno bisogno del giorno della risurrezione, del
giorno della festa, del giorno dell’amicizia e del perdono, del giorno
in cui è possibile vedere le “primizie dello Spirito” e toccare
con mano l’inizio della nuova creazione. L’apostolo Paolo parla di
tutta la creazione che “geme e soffre nelle doglie del parto”(Rm 8,22).
Ebbene, la Liturgia Eucaristica domenicale è ciò che maggiormente
mostra al mondo la “presenza di Dio”, ciò che maggiormente
le rivela il “senso di Dio” e, di conseguenza, ciò che con
più vigore la spinge ad essere una “terra nuova”. Se le nostre
comunità vivessero una Liturgia Eucaristica vera, tutti (anche coloro
che non credono) vedrebbero scendere dal cielo uno spicchio della “domenica
senza tramonto”. La celebrazione liturgica trascina la terra verso il cielo.
Al contrario, una Domenica scialba sbiadisce la gioia e mostra una Chiesa fiacca
e avara che non è fermento di vita nuova.

E’ tuttavia vero altresì
che, nonostante le manchevolezze, la Liturgia Eucaristica domenicale continua
la sua opera di redenzione del mondo, un po’ come quel seme – di cui parla
il Vangelo – il quale, una volta gettato dal padrone nel campo, opera sia
che noi vegliamo sia che noi dormiamo (Mc 4,26). Un autore russo, Gogol, forse
pensava proprio a questo, quando scriveva della celebrazione della Eucaristia
nella sua terra: “se la società non è ancora totalmente sgretolata,
se gli uomini non nutrono ancora un odio assoluto gli uni per gli altri, la
causa segreta di ciò è la celebrazione dell’Eucarestia”.

Il giorno di Emmaus

Cuore della Domenica è
la celebrazione della Eucarestia (in un altro momento porremo l’attenzione
agli altri aspetti della Domenica). Giovanni Paolo II scrive: “Vorrei pertanto
insistere perché la partecipazione all’Eucarestia sia veramente,
per ogni battezzato, il cuore della domenica: un impegno irrinunciabile, da
vivere non solo per assolvere ad un precetto, ma come bisogno di una vita cristiana
veramente consapevole e coerente” (Novo Millennio Ineunte, 36). Perché
la comunità cristiana ha scelto la Domenica per celebrare l’Eucarestia
e non il giovedì che è il giorno memoriale dell’Ultima Cena?
La risposta è chiara: perché l’Eucaristica domenicale celebra
la morte e la risurrezione di Gesù. Ed è quindi il momento in
cui i cristiani incontrano Gesù risorto. La Messa domenicale è
la nostra Emmaus. Se leggiamo con attenzione l’episodio, narratoci da Luca
vediamo che e gli descrive le due parti fondamentali della Messa: la liturgia
della Parola e la liturgia della Cena.

Esaminiamo più attentamente
il capitolo 24 del Vangelo di Luca. L’Evangelista in questo capitolo narra
il giorno di Pasqua. Divide l’intera narrazione in tre parti: nella prima
parte, che si svolge al mattino presto, racconta l’incontro di Gesù
risorto con le donne, mentre nella terza racconta quel accade che alla sera
tardi, ossia l’incontro con gli apostoli nel cenacolo. Nella seconda parte,
che comprende quasi tutto il giorno (oltre che la gran parte dei versetti del
capitolo), Luca racconta il lungo incontro del Risorto con due semplici discepoli.
I due, infatti, sono del tutto sconosciuti (di uno non si sa neppure il nome
e l’altro, di nome, Cleopa, non appare mai nel Vangelo). Perché
Luca ha composto così il capitolo che narra il giorno centrale del cristianesimo?
Non sarebbe stato più logico mostrare l’incontro di Gesù
con i massimi «responsabili» della comunità, sottolineando
chiaramente anche le istruzioni fondamentali per il governo della Chiesa? E’
evidente, invece, che l’evangelista vuole dare un valore emblematico all’episodio
dei due di Emmaus. Perché? Non credo che andiamo lontano dalla verità
se diciamo che l’evangelista, in quei due vede rappresentati tutti i cristiani
di ogni tempo. E’ a dire che i cristiani, di ieri e di oggi, incontrano
il Risorto allo stesso modo dei due di Emmaus: ossia ascoltando le Scritture
e spezzando il pane. Celebrando quindi la Liturgia Eucaristica. Ogni volta perciò
che si celebra la Messa Gesù in persona torna in mezzo ai discepoli radunati,
parla con loro, li ascolta e spezza il pane con loro. Sì, l’Eucarestia
domenicale realizza Emmaus. E’ la Pasqua per noi come lo fu per i due discepoli
di Emmaus! Anche noi, come i due discepoli, non comprendiamo il mistero di questo
straniero che si avvicina e ci parla. Quante volte la Messa ci è “straniera”!
Ci viene incontro, ma noi non la comprendiamo; spesso neppure l’accogliamo.
Eppure la Messa torna fedelmente ogni Domenica. Torna anche quando noi preferiamo
altri appuntamenti. Ma se vogliamo incontrare il Risorto è l’unica
via. Frequentiamola, viviamola, facciamone il momento centrale della nostra
vita. E, perché no, riflettiamo su di essa, e per un lungo cammino! E’
quanto vogliamo fare anche con queste pagine. Spero che anche noi ci sentiamo
man mano scaldare il cuore nel petto. Sono certo che se vedremo, con occhi nuovi,
“spezzare il pane” anche noi “gioiremo al vedere il Signore”.

L’Eucaristica: il cielo scende sulla terra

L’Eucarestia della Domenica è l’incontro con Gesù risorto,
è l’esperienza della Pasqua, della vittoria definitiva del bene
sul male, della vita sulla morte. Nulla al mondo può esservi di più
grande! Ha ragione San Giovanni di Cronstadt, un santo russo, nel dire che “l’Eucarestia
è un miracolo permanente”, davanti al quale mai si deve perdere
lo stupore. La tradizione della Chiesa d’Oriente ricorda che l’Eucarestia
domenicale è il “cielo” che scende sulla terra e la trasfigura
senza conoscere più separazione, perché la comunione è
piena. E tutti i credenti in Cristo sono chiamati ad entrarvi. L’Eucarestia,
pertanto, prima ancora di essere opera di uomini, è un dono di Dio agli
uomini, un dono che strappa dalla condizione di tristezza e di morte per inserire,
fin da ora, nella luce e nella festa del paradiso. L’Eucaristica della
Domenica porta gli uomini nel cielo, li rende “contemporanei” dell’Eucarestia
celeste che gli angeli e i santi celebrano immersi nel cuore stesso della Trinità.
L’Eucarestia della Domenica non è una delle azioni che la Chiesa
compie, è la Chiesa nel suo senso più pieno, nella sua dimensione
eterna. Nell’Eucarestia domenicale Gesù rende partecipi gli uomini
e le donne del suo stesso mistero di vita e di eternità.

Tutto, pertanto, nell’Eucaristica
domenicale (parole, gesti, luogo, canti…) deve concorrere per realizzare
l’incontro con Gesù risorto, tutto deve manifestare la festa eterna
che si celebra nel cielo. Coloro che partecipano alla Messa, sacerdote e ministri,
adulti e bambini, anziani e giovani, tutti debbono essere condotti, attraverso
il “rito”, a vivere la festa della comunione trinitaria. In tal senso,
la Liturgia Eucaristica si pone su un piano del tutto diverso da quello di una
fredda ripetizione di gesti esteriori; non può essere un momento freddo,
asettico, astratto; non è neppure il momento della istruzione, della
catechesi, della munizioni, delle spiegazioni. La Liturgia non è il luogo
ove spiegare, ma il luogo dove si celebra il mistero della passione, morte e
risurrezione del Signore. Per questo la Messa domenicale non è semplicemente
una “ricarica”, è “il culmine e la fonte” della vita
cristiana, anzi il “culmine” della storia, come recita il Vaticano
II.

La Liturgia Eucaristica
è, perciò, lontanissima dall’essere il luogo del protagonismo
dei partecipanti o dei ministri, e tanto meno il momento in cui fare mostra
delle proprie abilità. La Messa è Santa. È di Dio. Ed è
Dio che ci ammette alla Sua presenza quando ci avviciniamo alla celebrazione
eucaristica. Un grande vescovo orientale lamentava che in esse non accade neppure
quel che avviene nei teatri quando si assiste a rappresentazioni che emozionano
e sconvolgono: «Credetemi, la maggior parte dei nostri fedeli…non
avvertono lo stupore meravigliato del soprannaturale – pensiamo all’esclamazione
di Pietro di fronte al Cristo trasfigurato: ‘Signore è bello per
noi stare qui!’ – Ahimé! Nelle nostre chiese regnano così
sovente un pietismo individuale o atteggiamenti abitudinari….Eppure il
dramma unico, di cui tutti gli altri non sono che riflessi, il dramma della
vita, della sofferenza, della morte, dell’amore più forte della
morte si svolge proprio qui, nella chiesa, quando lo Spirito ci rappresenta
la Pasqua di Nostro Signore. Tutto è lì, tutto».

Eppure, continua il santo
vescovo, i fedeli e, spesso, anche i sacerdoti, se ne stanno estranei al dramma
di Gesù che si svolge davanti a loro. E chiude: «L’Eucarestia
protegge il mondo, e già, segretamente lo illumina. L’uomo vi ritrova
la sua filiazione perduta, attinge la propria vita in quella di Cristo, l’amico
fedele che spartisce con lui il pane della necessità e della festività.
E il pane è il suo corpo, e il vino è il suo sangue; e in questa
unità più niente ci separa da niente e da nessuno» (p 336).

Hans Urs von Balthasar,
un teologo cattolico del Novecento, scrive: «In un mondo senza bellezza…anche
il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere
adempiuto….In un mondo che non si crede più capace di affermare
il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro
forza di conclusione logica» (Gloria, 10). Insomma, solo se la vita evangelica
è bella, può essere attraente, può raccogliere giovani
e meno giovani ed impegnarli nella testimonianza cristiana. Il cristianesimo
non è una chiamata al sacrificio, bensì alla bellezza dell’amore
che non di rado richiede anche sacrificio. E questo deve apparire con particolare
evidenza nella Eucaristia della Domenica.

L’Eucarestia fa la
chiesa

Il Vaticano II ricorda che
Dio ha voluto salvare gli uomini non singolarmente, ma raccogliendoli in un
popolo. Ebbene, l’Eucarestia domenicale è il principale «cantiere»
ove si costruisce questo popolo, è il momento più alto in cui
gente dispersa viene raccolta per formare l’unica la famiglia di Dio. San
Tommaso, con una bella espressione, dice che l’Eucarestia è il sacramento
“quo ecclesia fabricatur”, appunto, il “cantiere” dove si
fabbrica la Chiesa, dove si edifica il “popolo di Dio”. È l’Eucaristica
che fa la Chiesa, e la “fa” con particolare evidenza nel giorno del
Signore. Giovanni Paolo II, nella Dies Domini, afferma che tra le attività
parrocchiali “nessuna è tanto vitale o formativa della comunità
quanto la celebrazione domenicale del giorno del Signore e della sua Eucaristia”
(35). Continua il Papa: “Questa realtà della vita ecclesiale ha
nell’Eucarestia non solo una particolare intensità espressiva, ma
in un certo senso il suo luogo sorgivo. L’Eucarestia nutre e plasma la
Chiesa…E’ proprio nella Messa domenicale, infatti, che i cristiani
rivivono in modo particolarmente intenso l’esperienza fatta dagli apostoli
la sera di Pasqua, quando il risorto si manifestò ad essi riuniti assieme”
(…). E nella Novo Millennio Ineunte, aggiunge: “L’Eucarestia
domenicale, raccogliendo settimanalmente i cristiani come famiglia di Dio intorno
alla mensa della Parola e del Pane di vita, è anche l’antidoto più
naturale alla dispersione. Essa è il luogo privilegiato dove la comunione
è costantemente annunciate e coltivata. Proprio attraverso la partecipazione
eucaristica, il giorno del Signore diventa anche il giorno della Chiesa, che
può svolgere così in modo efficace il suo ruolo di sacramento
di unità” (36).

La Messa raccoglie i diversi
“io” in un “noi” mistico. Così recita l’antica
preghiera eucaristica della Didaché: “Come questo pane era prima
sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa
si raccolga dai confini della terra nel tuo regno”. La Liturgia Eucaristica
domenicale crea la comunione tra i diversi, “costruisce” la comunità
cristiana, la parrocchia, la diocesi. E la edifica non come un ghetto, come
un gruppo di persone chiuso in se stesso, ma come immagine della Trinità,
comunione piena di amore che non conosce confini. In tal senso, una comunità
cristiana non può che essere una comunità eucaristica. Per questo
la scelta di rendere la Messa della Domenica il momento centrale della vita
della comunità cristiana è sommamente opportuno. Certo non esaurisce
né la ricchezza della Liturgia della Chiesa (basti pensare alle celebrazioni
dei diversi Sacramenti e alla Liturgia delle Ore), né la molteplicità
delle altre forme di preghiera. Ma senza dubbio la Messa della Domenica qualifica
in modo peculiare la vita di una comunità cristiana. Da come vive la
Liturgia Eucaristica della Domenica si comprende la qualità evangelica
di una comunità.

E’ necessario farsi
servitori della presenza del Signore nella Liturgia, abbandonando i tratti della
fredda ritualità, recuperando tutta la ricchezza e la forza del linguaggio
liturgico attraverso i canti, i gesti, l’incenso, la proclamazione della
parola di Dio, il calore umano dell’assemblea…La Liturgia Eucaristica
è il cuore della Domenica perché è il momento privilegiato
per costruire la “famiglia di Dio”: sconfigge l’egocentrismo
e la dispersione che segnano le nostre comunità e l’intera società.
Per questo essa salva dalla banalità, emancipa da una mentalità
consumista, preserva dalla ossessione dei ritmi di una vita convulsa, libera
dalla schiavitù del lavoro, e restituisce alle città la bellezza
della festa comune e la freschezza della gratuità. La Liturgia Eucaristica
della Domenica è anche un grande atto d’amore che i credenti fanno
al mondo.

L’Eucarestia della Domenica e il “culto spirituale” della settimana

Se l’Eucarestia fa la Chiesa, la Chiesa diviene essa stessa eucaristica:
pane “spezzato” e sangue “versato” per la salvezza del mondo.
In tal modo la Messa non è mai un atto liturgico individuale e neppure
un atto comunitario che resta chiuso ove si celebra. La comunità che
celebra l’Eucarestia domenicale, per piccola e povera che sia, diviene
il corpo di Cristo e quindi vive con le dimensioni di Cristo. Per questo la
Messa spalanca le porte del mondo alla comunità cristiana.

Lungo il secolo scorso più
volte è stata sottolineata la dimensione missionaria della Messa domenicale.
Di fronte al processo di secolarizzazione che allontanava sempre più
la società dalla Chiesa, gli spiriti più attenti hanno cercato
di riproporre il primato della Messa domenicale. Non di rado era ritenuta semplicemente
una pratica di pietà personale e un precetto da soddisfare il più
velocemente possibile. E forse la trasandatezza e sciatteria con cui veniva
celebrata, assieme alla difficile comprensione (era in latino) ha allontanato
non pochi dalla Chiesa. Coloro che hanno intrapreso il rinnovamento liturgico
pensavano che l’Eucarestia domenicale che riproponesse la centralità
della Parola di Dio e dell’Eucarestia fosse il modo più adeguato,
non solo per evitare l’allontanamento dei fedeli, ma anche per attrarre
coloro che avevano abbandonato la Chiesa.

C’è un’importanza
missionaria della Messa della Domenica. Credo che essa possa rappresentare quel
che significò per i due discepoli del Battista l’incontro con Gesù.
Racconta l’evangelista Giovanni che i due discepoli del Battista, dopo
averlo sentito parlare di Gesù, si misero a seguirlo. E quando Gesù,
voltandosi verso di loro, domandò cosa cercassero, loro chiesero: “Dove
abiti?” e Gesù: “Venite e vedrete!” (Gv 1, 39). Noi potremmo
(forse dovremmo) rispondere a chi è lontano e a chi pur non credendo
cerca un senso per la porpia vita: “Vieni domenica prossima alla Celebrazione
Eucarestica e vedrai!” E’ un sfida che non possiamo eludere.

I vescovi italiani, nel
documento che traccia le linee pastorali del prossimo decennio, scrivono: “La
celebrazione eucaristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto
per tutti ed è diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà
essere condotta a far crescere i fedeli, mediante l’ascolto della Parola
e la comunione al corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle
mura della chiesa con animo apostolico aperto alla condivisione e pronto a rendere
ragione della speranza che abita i credenti. In tal modo la celebrazione eucaristica
risulterà luogo veramente significativo dell’educazione missionaria
della comunità cristiana” (Comunicare il Vangelo, 48). Il testo
prosegue sottolineando l’importanza che per molti fedeli ha la partecipazione
quotidiana alla celebrazione eucaristica e al culto eucaristico – in particolare
all’adorazione eucaristica – che danno continuità al cammino
di crescita spirituale. E’ bene che le nostre comunità cristiane
pongano una attenzione tutta particolare a questa dimensione liturgica che entra
nella vita quotidiana. Non mi fermo qui a trattare esplicitamente della Messa
quotidiana. Per tanti è un alimento non poco significativo.

C’è una dimensione
missionaria, insita nella Messa domenicale, che è importante sottolineare.
La comunità cristiana, celebrando l’Eucarestia, si unisce a Gesù
che va a morire per tutti, che prende su di sé le gioie, le speranze
e i dolori del mondo intero. Per questo, la comunità (come ogni singolo
credente) non può restare paga del proprio radunarsi, dimentica dei fratelli
e del mondo. Il “sacrificio” della Domenica, se è Eucaristico,
non può non continuare tutti i giorni. L’apostolo Paolo esortava
così i cristiani di Roma: “Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia
di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a
Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12, 1). La partecipazione
all’Eucarestia è inseparabile da questo “culto spirituale”
di cui parla l’apostolo.

“L’altare si trova
ovunque, a ogni angolo di strada, in ogni piazza”, scriveva san Giovanni
Crisostomo, legando appunto la Messa della Domenica alla vita di ogni giorno.
Tale legame nasce da un motivo profondo: chi partecipa alla Messa viene trasformato
nel corpo stesso di Gesù. La conseguenza è che il credente deve
vivere e comportarsi come Gesù viveva e si comportava: là dove
ci sono le tenebre, i credenti debbono essere luce; là dove c’è
sofferenza, compassione; là dove c’è tristezza e angoscia,
conoslazione e speranza. La Liturgia Eucaristica domenicale mostra di che qualità
è l’amore di Dio: un amore assolutamente esagerato che travalica
ogni ragionevolezza. Scrive l’apostolo Paolo: “A stento si trova chi
sia disposto a morire per un giusto…ma Dio dimostra il suo amore verso di
noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per
noi” (Rm 5,7). Questo tipo di amore viene donato nella Liturgia Eucaristica.
E’ l’amore stesso di Dio, che non ha paragone con quello degli uomini.
Giuseppe Dossetti, a ragione, scriveva: “L’Eucarestia, che attualizza
questo mistero unico e irrepetibile (dell’amore di Dio) hic et nunc, ha
come scopo ed efficacia suprema di assumere la Chiesa, e noi nella Chiesa, in
quest’oceano dell’agape divina” (Eucarestia e città, Roma
1997, p.109). L’amore di Dio fa “uscire da sé”, come fece
“uscire fuori di sé” Dio stesso, che: “ha tanto amato
gli uomini da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).

L’Eucarestia, “prima
opera” della Chiesa

Uno scrittore russo, Soloviev, affermava che “la fede senza le opere è
morta, e la preghiera è la prima opera”. Si può affermare
che la Liturgia Eucaristica della Domenica è la prima opera della Chiesa,
la prima opera di ogni comunità cristiana. L’Eucarestia della Domenica
è il dono più grande che il Signore ha fatto e continua a fare
alla sua Chiesa, è il testamento che Gesù ha lasciato ai discepoli
prima di salire al Padre. Egli, ogni Domenica, continua ad affidarcelo nelle
mani: “fate questo in memoria di me!” Dobbiamo celebrarlo per la salvezza
nostra e per la salvezza del mondo. In tal senso, l’Eucaristia non è
opera nostra: è sempre un dono, un dono “per voi e per tutti”,
come Gesù stesso dice e il sacerdote celebrante ripete.

Dalla Eucaristia della Domenica
deve sgorgare tutta la vita pastorale delle nostre comunità cristiane.
Da essa, in effetti, sgorga l’essere e l’agire. Nell’Eucaristia,
la comunità viene plasmata come “Corpo di Cristo”, superando
quindi ogni individualismo e ogni divisione. E’ qui il miracolo dell’Eucarestia
domenicale: genera uomini nuovi e donne nuove che agiranno in modo nuovo, con
una nuova passione per la vita, con una nuova energia di amore, con una nuova
forza di unità. Per questo le Eucaristie domenicali, mentre sono un grande
dono per i credenti, divengono anche un grande atto d’amore per il mondo:
i cristiani, uomini e donne, rigenerati dall’amore di Dio, diventano un
segno visibile della Sua presenza tra gli uomini.

Come non ricordare l’esempio
di Mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, assassinato proprio
mentre stava celebrando la Messa? Racconta così una testimone presente
nel momento dell’assassinio: “Era il 24 marzo del 1980 e Monsignore
stava celebrando l’Eucarestia nella cappella dell’ospedale della Divina
Provvidenza. Erano circa le sei del pomeriggio. Una pallottola ad esplosione
ritardata lo colpì al cuore mentre stava iniziando l’offertorio.
Io ero presente nel momento del suo assassinio nella cappella; stavo a circa
quattro metri di distanza dall’altare. Mentre Monsignore stava aprendo
il corporale per iniziare l’offertorio si sentì lo sparo. Colpito
al cuore, egli istintivamente si aggrappò all’altare e si rovesciò
addosso tutte le ostie. Cadde, quindi, ai piedi del crocifisso in una pozza
di sangue. Io interpretai questo fatto come se Dio gli dicesse in quel momento:
Oscar ora sei tu la vittima”. Si realizzavano in quel momento, ancora una
volta, le parole di Gesù: “Il buon pastore offre la sua vita per
le pecore”. Romero la offrì, appunto, durante l’offertorio.
Ma Romero non era un eroe, come non lo erano i discepoli. Anch’egli aveva
paura di morire e più volte lo manifestò. Tuttavia – ed è
qui la forza della sua testimonianza – egli amava il popolo che il Signore gli
aveva affidato più della sua stessa vita. Assieme a Romero possiamo ricordare
i numerosissimi martiri del Novecento i quali, nei campi di concentramento,
nei gulag, in mezzo ai tormenti, hanno trovato la loro forza e il loro sostegno
nell’Eucarestia.

Maria, potremmo dire, è
l’immagine del mistero eucaristico. Per un mirabile disegno di Dio, prima
che fosse lei ad essere trasformata in “Corpo di Cristo”, fu lei a
dare il suo corpo a Gesù, divenuto, in certo modo, carne di Maria. E
mai più, Gesù e Maria, si sono separati: né a Betlemme,
né in Egitto, né durante la vita a Nazareth, né durante
la vita pubblica, né sotto la croce, né oggi nel cielo. Gesù
e Maria, sono uniti nella resurrezione della carne. Lei, pertanto, prima tra
tutti i credenti, la prima che ha dato tutta se stessa a Dio, sta oggi davanti
ai nostri occhi perché anche noi possiamo dare tutta la nostra vita,
tutto il nostro corpo al Signore. Sì, in certo modo, Gesù ha bisogno
ancora oggi della nostra “carne”, come ebbe bisogno del corpo di Maria.
La Liturgia Eucaristica domenicale è il “modo mariano” più
evidente per vivere il nostro rapporto con Gesù e per mostrare al mondo
la bellezza e la forza di far parte del “Corpo di Cristo”.