III anniversario dell’Ordinazione Episcopale

Terzo anniversario dell'Ordinazione Episcopale

Caro monsignor Gualdrini, cari sacedoti, carissimi tutti, grazie per la vostra presenza in questa celebrazione eucaristica. Sono passati tre anni dalla mia ordinazione episcopale. E ringrazio il Signore per la grazia che mi ha fatto sia dell’episcopato che di questa Chiesa diocesana. E oggi, umilmente, da peccatore quale sono, ma anche con la passione che il Signore stesso mi dona, desidero ripetere davanti a voi le stesse parole di Gesù che abbiamo ascoltato alla fine del brano evangelico: “Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. No, non son venuto per fare la mia volontà. E neppure desidero affermare visioni mie particolari, frutto di elucubrazioni solitudinarie o di scelte arbitrarie. In questi tre anni ho cercato – dico ho cercato, perché non sono mancate certo inadempienze, di cui chiedo perdono al Signore e a voi – ho cercato di amare la Chiesa universale, alla cui cura il sacramento dell’Ordine mi ha posto inserendomi nel collegio dei vescovi, e di amare questa Chiesa particolare di Terni-Narni-Amelia che il Papa mi ha affidato, e che desidero bella e splendente. Non mi stanco di amare questa Chiesa. Non mi stanco di volerla con un cuore grande che raggiunga i confini della terra. E sento anche l’orgoglio quando essa, per la vitalità che esprime, può essere di aiuto e di esempio alle altre Chiese.


Vi confesso il grande amore che mi brucia dentro e che vorrei crescesse sempre più in me: la passione per la comunicazione del Vangelo e per raccogliere attorno al Signore in ogni modo, qui e ovunque, i suoi figli dispersi perché formino la sua famiglia. Sento questa passione in modo tutto particolare. La sento appunto come un fuoco che brucia. E come vorrei che questo fuoco bruciasse in questa Chiesa diocesana e in tutti voi! La struttura organizzativa è importante, il coordinamento urgente, ma quel che credo centrale per me e per noi è questo fuoco che, come un roveto ardente che brucia senza mai consumarsi, deve avvolgerci tutti. Le parole appassionate di Gesù che abbiamo ascoltate le sento mie fino in fondo, e le sento vere per la nostra Chiesa. Quando Gesù dice: “Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”, delinea quel che deve fare la nostra diocesi e quel che deve accadere nella nostra terra. E quando Gesù ancora continua: “E’ venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno”, egli descrive il nostro oggi, il nostro momento: i morti debbono udire la nostra voce. L’ambizione è pertanto che tutti ascoltino il Vangelo e che tutti lo vivano. E il momento in cui questo deve accadere è il nostro. Ma come ascolteranno i morti se non c’è chi comunica? E noi possiamo far passare invano quest’ora?  Possiamo rassegnarci a restare anche noi morti tra i morti continuando stancamente le abitudini di sempre? Possiamo sopportare la pigrizia e la rassegnazione che svuotano la pastorale rendendola sciatta e triste? La passione che unisce il Padre al Figlio, deve essere la nostra passione. Quella passione li fece persino “dividere”, se così possiamo dire, quando il Padre inviò il Figlio sulla terra. Uno da una parte e l’altro dall’altra per comunicare il Vangelo del Regno, per trasformare il mondo e renderlo più umano. Non scrive Paolo che Gesù non considerò un tesoro geloso l’essere uguale a Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini? Considerate quento era forte dentro la Santa Trinità la passione per la comunicazione del Vangelo agli uomini!


Così deve essere anche la nostra passione. Così io la voglio vivere. Quello stesso rapporto che c’è tra il Padre e il Figlio, al punto che “chi non onora il Figlio, non onora il Padre”, questo stesso rapporto lo sento anche tra Dio e la Chiesa, al punto di dire: “chi non onora la Chiesa non onora Dio, chi non si appassiona alla Chiesa non si appassiona neppure a Dio”. Se siamo solo dei funzionari nella Chiesa lo saremo anche con Dio. Non saremo certo appassionati. Ma io vorrei vivere con voi la passione di Dio per il mondo e per la Chiesa. Vorrei che facessimo nostre le parole di Dio riportate dal profeta Isaia. Partiamo dalle ultime: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo grembo? Anche se vi fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai”. Questo è l’amore che Dio ha per noi. Questo deve essere l’amore che noi abbiamo per il mondo e per la nostra Chiesa. Quante volte siamo assolutamente dimentichi di questo amore per essere, invece, come quei figli piagnucolosi e prepotenti che pensano solo a se stessi e ai propri capricci! Dio ha curato la sua Chiesa con amore incredibile. “Ti ho formato e posto come alleanza per il popolo, per far risorgere il paese”. Sì, la Chiesa e ciascuno di noi è stato formato non per sé, ma per portare aiuto al popolo e per far risorgere il paese. E il profeta aggiunge: “Non soffriranno né fame né sete e non li colpirà l’arsura né il sole, perché colui che ha pietà di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti di acqua”. Così vorrei vivere il mio episcopato, accompagnato dalla vostra preghiera e dalla vostra passione.


Rendo grazie al Signore perché non mi fa mancare il suo aiuto, e chiedo a Maria di accompagnarmi. Da giovane seminarista l’ho venerata con il titolo di “Mater mea, fiducia mea”, da sacerdote a Trastevere come “Madre della Clemenza e della pace”, oggi a Terni come “Madre della misericordia”. Maria è davvero una fontana di sentimenti e di grazie. A questa fontana desidero dissetarmi e da questa fontana l’acqua irrigherà il cuore della nostra Chiesa e la terra di questa città.