Dibattito con gli studenti del Galilei e dell’ITIS

Dibattito con gli studenti del Galilei e dell'ITIS

Uno studioso sostiene che con la globalizzazione i luoghi frequentati dai giovani stiano diventando dei non luoghi dove il cittadino non è considerato come persona ma solo come consumatore. C’è il rischio che anche la chiesa diventi un non luogo?

“In genere della Chiesa abbiamo una considerazione clericale. Ma la chiesa non è dei preti. La Chiesa è costituita da un gruppo di persone che hanno la responsabilità di obbedire al Vangelo. Ed è chi non lo fa che trasforma la chiesa in non luogo. Quando abbiamo iniziato con la Comunità di Sant’Egidio non ci siamo messi a parlare contro il Vaticano, abbiamo semplicemente preso in mano il Vangelo e abbiamo cercato di seguirlo aiutando i poveri. Nessuno è vaccinato dall’essere non luogo. Chi di noi non va al McDonald’s?”


Noi non ci andiamo


“Bene, ma io personalmente non mi accontento di stare dalla parte giusta. Lo so bene che i giovani sono oggetto di mercato e sono convinto che se la Chiesa non è fedele a quel piccolo libro da cui è nata diventa anch’essa un azienda. ma non possiamo scaricare le responsabilità del Vangelo sugli altri. Io lo dò a te questo Vangelo, non al tuo parroco”.

Lei viene da fuori Terni, quali aspetti della festa (religiosa e laica) hanno colpito in modo positivo e quali in negativo? Cosa cambierebbe? Come e perché?


“Appena arrivato a Terni ho trovato subito molto significativo il fatto che il patrono della città sia anche il protettore degli innamorati,  o meglio, come è scritto nella sua stessa tomba “Patrono dell’Amore”. Quello che non amo è che anche a Terni stia prevalendo sempre di più la dimensione consumistico-sentimentale di questa festa a scapito del significato più profondo che deve avere la figura di un vescovo martire che per amore di Dio e degli uomini è arrivato a farsi uccidere”.


Terni, che è la patria del Santo, valorizza in modo adeguato la figura di S. Valentino?


“Terni deve riscoprire un amore che cambia la vita, che è disposto a compromettersi. Non ci serve a niente un amore che dura il tempo di un bacio. Ai fidanzati amo dire che l’amore vero somiglia più al sale che dà sapore all’intera vita, che al cioccolatino che soddisfa per un momento e poi si dissolve. Invece è proprio questo il rischio cui vanno incontro oggi i giovani: si vive sempre più un amore egoistico, che ricerca solo la propria soddifazione. Più che domandarci se siamo felici dovremmo chiederci se lo è chi ci è accanto. Per fare questo, però, bisogna uscire dalla dimensione strettamente sentimentale e scoprire un amore capace di guardare oltre, di avere un respiro più ampio. Per questo, da quando sono arrivato a Terni, sto cercando di valorizzare san Valentino come patrono dell’amore a tutto tondo, quindi non solo degli innamorati ma anche della pace e della solidarietà”.


Lei ha parlato a lungo dell’Albania. Da cosa nasce il suo legame con questo paese?


“La prima volta che ci sono andato, durante la dittatura comunista, era completamente isolato da resto del mondo, tanto che i bunker, le biciclette, persino la carta la importavano dalla Cina, l’unico paese con cui avessero un rapporto. Basti pensare che non ci sono strade che collegano l’Albania con il Kosovo, che pure ha una popolazione di etnia albanese. E come vi dicevo, la televisione italiana ha avuto un’influenza terribile sui ragazzi albanesi. Ricordo un padre che mi disse che a suo figlio chiudeva gli occhi non di fronte alla pornografia, ma quando c’era la reclame italiana. Io a Roma avevo tutto, sono andato il Albania perché sapevo in quali condizioni si trovava. E poco più di un mese fa ho ricevuto la più grande onorificenza conferita dal governo, perciò credo di potermi considerare a buon diritto albanese”.


I Mass media tendono  a ripetere sempre le stesse opinioni. Questa routine può servire a mascherare i grandi mutamenti politici in atto?


 “Oggi i media hanno un potere enorme. Possono distruggere o concentrare l’attenzione su ciò che vogliono. Durante una guerra possono condizionare l’opinione pubblica mondiale. Per questo c’è bisogno di una dialettica politica, perché non siamo mai garantiti dal male. Io ogni mattina leggo sette giornali, perché devo lavorare con la mia testa per la pluralità delle informazioni. E’ importante interrogarsi, leggere, approfondire, per avere una coscienza sempre vigile”.


Non sarebbe giusto che la Chiesa si spogliasse di tutte le sue ricchezze per donarle ai poveri come ha fatto san Francesco, e fare così qualcosa di concreto?


“Io credo che Francesco sia grande e inimitabile. Personalmente sto impegnando la mia vita per sconfiggere il dominio della ricchezza. Anche la Chiesa è succube del consumismo e anche per me è una lotta continua. Bisogna lavorare per rendere felici gli altri. Mercoledì sera, prima di partire per la Palestina, ho convocato tutta la diocesi in cattedrale per una veglia di digiuno. I soldi che risparmieremo non mangiando li doneremo ai ragazzi palestinesi. Questo è un atto concreto.  Per il resto, certo che sento la responsabilità di non accumulare ricchezze”.


L’utopia è un sogno irrealizzabile?


“Realizzare ogni giorno un gesto “utopico” significa mettere una toppa al realismo. E’ così che faremo fiorire il deserto. Nessun metodo è assoluto, ognuno deve lavorare a modo suo; per ora quello che posso dirvi è di leggere, studiare, informarvi. Occorre lavorare in tutti i modi possibili. Io, per esempio, ho chiesto alla diocesi di aprire un sito web proprio per aggiungere un mezzo in più con cui lavorare”.


Come trova la cittadinanza ternana nei confronti della chiesa? Poiché nonostante siano tendenzialmente di sinistra, per solito sono comunque cattolici praticanti.


“Dipende cosa si intende per “praticanti”. Spesso ci si considera un buon cattolico perché si va a messa a Natale e a Pasqua. Secondo una statistica che abbiamo commissionato due anni fa solo il 13% dei ternani partecipa alla liturgia ogni domenica, ma non credo che questo abbia molto a che fare con l’identità politica della città. Riflette piuttosto una tendenza generale del paese e del mondo occidentale che si allontana sempre più dal sacro proprio perché attaccato a valori effimeri e materialisti. Per questo per me è importante che i giovani ternani non solo ritornino in chiesa, ma trovino il modo di uscire dal proprio egocentrismo scoprendo l’altro impegnandosi, ad esempio, nel volontariato alla Mensa dei poveri o in altre attività di questo tipo. E da questo punto di vista devo riconoscere che qualcosa si sta muovendo: da qualche mese la Mensaè aperta anche il sabato pomeriggio proprio grazie alla disponibilità degli studenti delle scuole ternane”.


Abbiamo saputo attraverso la stampa che è andato a Mosca per portare le reliquie di S. Valentino. Quale è il significato del gesto?


“Durante un viaggio in Russia avevo scoperto che San Valentino è conosciuto e venerato anche dalla chiesa ortodossa. C’è un’icona, a Mosca, che lo raffigura con la didascalia “San Valentino di Interamna”: questa cosa mi ha colpito molto, tanto che ho fatto fare delle copie di questa icona che regalerò a tutte le famiglie ternane e che è già diventata uno dei simboli della nostra diocesi. Ho pensato donare una piccola reliquia di Valentino alla Chiesa di Mosca perché questo dono ha rappresentato un’occasione di dialogo e condivisione con i nostri fratelli ortodossi in un momento particolarmente difficile nei rapporti tra la chiesa Russa e quella Cattolica. Tra l’altro durante la persecuzione comunista sono andate perdute la maggior parte delle reliquie dei santi conservate dalla chiesa ortodossa; il nostro, quindi, è stato un dono tanto più prezioso per questa ragione”.


Quali sono i maggiori punti di aggancio tra la chiesa cattolica e quella ortodossa?


“San Valentino è il primo dei nostri punti di contatto, essendo un santo della Chiesa indivisa. La chiesa Ortodossa si è separata da quella Cattolica nel 1054 per ragioni che potremmo definire, sopratttuto “politiche”. Oggi la chiesa ortodossa ha una struttura molto diversa dalla nostra perché ogni paese ha un suo Patriarca indipendente dagli altri, quindi non c’è un corrispettivo del Papa. Ma a parte la struttura possiamo dire che da un punto di vista teologico e spirituale le differenze tra le due chiese sono minime. Ed è per questo che quello che tutti auspichiamo è un ritorno all’unità, anche se non sappiamo ancora in quale forma”.



Gli anni ’80 hanno visto tramontare il marxismo come religione laica per i paesi sottosviluppati. Allora Fidel Castro, che lei ha anche conosciuto, cos’è? Un uomo fuori tempo o l’ultimo profeta laico?


“Di questo argomento ho parlato a lungo con Michail Gorbaciov che crede ancora oggi – nonostante tutto – al comunismo. Il fallimento su un piano politico significa che deve essere ripensato, che non può essere applicato più così com’era allora. Io ho tanti amici cubani e Cuba, ve lo posso assicurare, non è un Paradiso terrestre, così come non lo è il mondo capitalista. Le diverse prospettive culturali che hanno guidato l’occidente a mio avviso dovrebbero riuscire a dialogare tra loro. Castro non è certo un messia. Di fronte alle nuove sfide i grandi conflitti non si possono affrontare opponendo ideologie. Non stanno bene i bambini cubani come non stanno bene quelli americani, che vanno in classe con le armi e ammazzano i professori. Oggi abbiamo bisogno di una dialettica costruttiva tra tutte le correnti ideali che hanno guidato il mondo”.


Il problema principale dei giovani, oggi, è la mancanza di senso critico, che gli impedisce di accettare l’idea di non essere inseriti in un gruppo.


“Chi non sopporta le diversità è complice anche delle guerre. Non c’è differenza tra lo stare con sé stessi con persone uguali a sé. Voi giovani non dovete soggiacere a questa omologazione. La convivenza non è mai scontata, va continuamente costruita, perché l’omologazione non è vero convivere”.


La causa del divario tra Nord e Sud del mondo è la mancanza di risorse o è la nostra ricchezza ad aver “bisogno” della loro povertà?


“Le risorse ci sono, è ovvio che per distribuirle in modo equo noi dobbiamo rinunciare a qualcosa. E’ vero anche la potenza dei paesi occidentali si basa anche sullo sfruttamento dei paesi più poveri”.


Quale è a suo parere il rapporto dell’etica laica con quella cattolica?


“Su questo argomento ho scritto un libro chiamato Lettera ad un amico che non crede. L’amico è Arrigo Levi che a sua volta aveva scritto un libro chiedendomi di rispondere. Io credo che oggi nel mondo ci siano tanti di quei problemi che non possiamo non unirci. Io penso che tutti possiamo incamminarci sulla via dell’amore, al di là del nostro credo. Di fronte al pericolo di una distruzione globale penso che abbiamo il dovere di trovare degli spunti comuni. L’amore non è innato né puro. La mia etica è quella secondo cui  c’è una scintilla di Dio in ogni uomo, e perciò nessun uomo è irredimibile, nemmeno Saddam Hussein; per questo non posso essere a favore della pena di morte. Personalmente se non leggessi il Vangelo per me sarebbe difficile avere questa idea dell’uomo, ma non è necessario essere cristiano per averla. Nel Vangelo c’è scritto che “chiunque ama sarà salvo”.


Cosa pensa del Commercio Equo e Solidale?


“Penso che sia una cosa bellissima e che vada sempre più incoraggiata. E’ davvero un atto concreto per aiutare i paesi del terzo mondo a riscattarsi dalla condizione di povertà in cui si trovano”.


Riguardo al debito dei paesi poveri verso l’Occidente cosa ha fatto la Chiesa?


“Il Papa si è battuto a lungo per l’abolizione del debito in occasione del Giubileo (campagna che ha visto tra i suoi sostenitori Jovanotti e Bono degli U2, ndr). La Chiesa italiana, concretamente, ha ‘saldato’ con lo stato italiano in debito del Benen, questo – ovviamente – senza chiedere nulla in cambio a quel paese. E’ vero che  è solo una goccia nel mare, ma quando sono stato alla Banca Mondiale e ho chiesto perché non venivano investiti finanziamenti per la campagna di prevenzione dell’AIDS e mi hanno risposto “perché non si può fare per tutti i paesi quindi non si fa per nessnuno” ho capito che davvero summo ius summa iniuria. Meglio cominciare con poco, ma fare qualcosa”.


Non crede che la Chiesa avrebbe bisogno di una maggiore umiltà? Voi vescovi fate cose molto buone, però continuate ad ostentare ricchezza. Perché non vende il suo crocifisso d’oro e non lo dà in beneficenza?


 “Questa croce che porto al collo è quella che indossava Oscar Romero quando è stato ucciso perché difendeva il suo popolo da chi lo opprimeva, e continua a ripetermi che se non sono disposto a dare la mia vita per il mio popolo è inutile che gli dedico tempo, pazienza, denaro… denaro, sì, perché serve anche quello per aiutare la gente. Ma questa croce vale 500000 volte quello che potrei ricavare dalla vendita, perché rappresenta la speranza per i poveri. Questa croce è una bandiera, è la vita. La Chiesa è ricca e peccatrice, lo so, perché è fatta di uomini. Perché ci resto dentro? Perché ci trovo una fonte che da altre parti non trovo, la fonte in grado di cambiare i cuori”.


Il Vescovo ha la responsabilità dell’annuncio del vangelo. Come o vive nella nostra diocesi e quali sono le difficoltà?
 
“Le difficoltà sono quelle di cui ho parlato prima: risvegliare la gente dal torpore in cui è caduta. C’è una grande voglia di leggerezza, di non impegnarsi. Invece viviamo in un epoca drammatica che ha bisogno dell’impegno di tutti, basti pensare alla tragedia della guerra che si riaffaccia sul mondo proprio in questi giorni. Allora la prima cosa da fare è lavorare, tutti insieme, per la Pace”.