I segni di Dio

I segni di Dio


I tempi che viviamo sono complessi e difficili; particolarmente difficili. E sembra tornare di grande attualità il grido del filosofo tedesco M.Heidegger: “Ormai solo un Dio ci può salvare!” Egli spiegava: “Ci resta, come unica possibilità, quella di preparare nel pensare e nel poetare, una disponibilità all’apparizione del Dio o all’assenza del Dio del tramonto (al fatto che, al cospetto del Dio assente, noi tramontiamo)…Noi non possiamo avvicinarlo (Dio) col pensiero, siamo tutt’al più in grado di risvegliare la disponibilità dell’attesa”. All’inizio di questo terzo millennio queste riflessioni risuonano in tutta la loro drammaticità. Il grido di Heidegger non concerne il Dio della fede; ma la critica radicale alla “tecnica”, a cui gli uomini del nostro secolo hanno affidato la loro salvezza, riguarda da vicino la società contemporanea. Egli, dopo aver constatato il crollo della metafisica, vede l’Occidente consegnare alla ragione scientifico-tecnologica il destino dell’uomo: se la verità dell’essere si identifica con la calcolabilità, la misurabilità e in definitiva con la manipolabilità dell’oggetto della scienza-tecnica, l’uomo tende a divenire puro materiale, parte del generale ingranaggio della produzione e del consumo. Per questo, si può accogliere il grido estremo di Heidegger: “solo un Dio ci può salvare!”
E gli uomini? Essi debbono risvegliare in se stessi “la disponibilità all’attesa”, ad accogliere il mistero che si svela. E’ singolare che il filosofo tedesco, parlando della “notte del mondo”, dicesse che il dramma dell’epoca moderna non era tanto l’assenza di Dio, quanto il fatto che gli uomini non soffrissero più di tale mancanza. L’uomo si è scoperto maggiorenne, autonomo. Ma nello stessi tempo sono scomparsi i riferimenti certi. Eugenio Scalari parlava del crescente disagio e della cocente paura di vuoto per la “mancanza di senso” e la caduta dei valori che davano un senso alla vita: “Di qui deriva anche l’insorgere sempre più prorompente degli egoismi e di quella animalità che è un tratto connaturale della nostra natura quando l’istinto morale non intervenga a contenerla realizzando la condizione umana, sempre in bilico tra le due co-appartenenti pulsioni verso la bestia e verso l’angelo”.
Si potrebbe dire che, mentre la ragione scopre i suoi limiti, la religione torna di moda. Forse in parte è anche vero. Ma solo in parte. Certo è che le religioni storiche sono in genere tutte rivalutate. Il Cristianesimo, l’ebraismo, l’islamismo, l’induismo, il buddismo, godono di un rinnovato impulso in termini di adesione e di partecipazione popolare. In questo contesto si inseriscono anche i movimenti “fondamentalisti”, emersi al loro interno. Essi andrebbero compresi nella loro complessità perché, al fondo, manifestano un’ansia di purificazione delle rispettive dottrine e istituzioni, e un ripensamento circa i comportamenti individuali e associati in disaccordo con i propri principi dogmatici e morali. C’è poi il fenomeno delle “sette” che ha una sua vicenda particolare e quel movimento che si estende soprattutto nel mondo occidentale che va sotto il nome di New Age nel cui orizzonte qualcuno vede il confluire della spiritualità contemporanea. I fautori di tale spiritualità sincretista, che a loro parere non presenta alcun pericolo sociale visto l’aspetto di estrema tolleranza, pensano possa rappresentare la religione del terzo millennio. In verità, non mancano gli interrogativi. C’è un possibile positivo sviluppo sulla scia di una gnosi religiosa che ricerca l’essere trascendente e transpersonale. Ma forse è più facile, date le premesse, dirigersi verso una sorta di panteismo ove l’Io riceve la massima esaltazione, con il rischio di una dimensione religiosa senza Dio e senza Chiesa, senza Male e senza Bene, senza Giudizio e senza Perdono, senza Aldilà e senza Peccato. Una sorta di indistinto sacro che esalta un Io solitario e autosufficiente, una “religione” che immerge tutto in un vago panteismo che si rivelerà un leviatano che inghiotte tutto  compresi quei valori che si vorrebbero difendere. E’ l’Io infatti che emerge e conquista il centro della scena. Al contrario, nelle grandi religioni vi è sempre una dialettica tra l’io e Dio, tra il finito e l’Infinito.
Questo piccolo volumetto, che raccoglie tre contributi di tre noti studiosi, vuole aiutare a cogliere nella storia degli uomini i segni di Dio, le vestigia della sua presenza, il sapore della sua vicinanza. Attraverso di essi, e non nel vago cielo dell’indistinto, si può andare incontro al mistero che si rivela. Il biblista Gianfranco Ravasi tratteggia l’inscindibile rapporto tra la Parola di Dio e le parole degli uomini; Giuseppe Barbaglio, altro noto studioso della Bibbia, ripercorre le narrazioni della Cena del Signore. E, infine, il filosofo Bernhard Camper introduce alla riflessione sul tempo come luogo della rivelazione del mistero. Queste riflessioni, tenute all’interno del ciclo “Dialoghi” nella Diocesi di Terni-Narni-Amelia, mi auguro che aiutino a riflettere sulla propria fede in un tempo complesso e difficile, sapendo che la riflessione e la conoscenza sono momenti indispensabili per credere e per sperare in un futuro di pace.