Premio San Valentino a Jaquin Chissano

Premio San Valentino a Jaquin Chissano

Caro Presidente,
 
sono particolarmente lieto di vederLa qui a Terni per ricevere il “Premio San Valentino” che della nostra città è il protettore. So che è conosciuto anche in Mozambico. Questo rafforza ancor più il valore di questo riconoscimento e soprattutto rafforza il legame che, attraverso questo “premio”, stringe Terni e l’Italia all’Africa. Come Lei sa, Signore Presidente, io sono personalmente coinvolto nella storia del Suo paese. L’accordo di pace del 4 ottobre 1992 fu firmato a Roma, dopo trattative lunghe e complesse durante più di due anni proprio a Sant’Egidio. Era una domenica, giorno della resurrezione del Signore. Ricordo bene quando, quel giorno, Lei dichiarò “irreversibile” quel passo compiuto.

Il caso del Mozambico rimane ancor oggi, purtroppo, uno dei pochi esempi – e vorremmo ce ne fossero tanti! – di conflitti conclusi tramite colloqui di pace, in Africa. Sono passati ormai più di 11 anni, e il Mozambico, malgrado i problemi, vive nella pace e nella democrazia. La pace in Mozambico è stata la prova evidente della forza dei credenti e degli uomini di buona volontà. E’ una forza “debole”, frutto proprio del non avere altro interesse se non quello della pace, ma efficace. Per i credenti questa forza viene dall’imperativo di non avere nemici; dal sogno che le spade si possano trasformare in falci; dalla convinzione che i cuori degli uomini possano cambiare e che le mani possano disarmarsi. E’ la sapienza di cercare comunque il bene di tutti. E sappiamo quanto ce ne sia bisogno oggi. L’esperienza del Suo paese mostra che la pace è possibile e il dialogo ne è la via maestra.

In Lei abbiamo visto la saggezza politica di un uomo di buona volontà e di un cristiano che ha portato alla realizzazione questo sogno di pace che sembrava impossibile: uscire dalla guerra civile, costruire regole democratiche di convivenza tra forze sociali e politiche che avevano una differente visione del paese, disarmare le mani, trasformare i cuori e le menti. Lei ha contribuito a scrivere una pagina della saggezza del popolo mozambicano: è il passaggio da un conflitto armato, in cui si vedeva nella lotta armata il solo modo di sostenere le proprie posizioni, a quel conflitto politico che rende feconda la democrazia e garantisce la pluralità.

In un mondo come quello attuale la “via mozambicana alla pace” resta un modello da studiare e soprattutto da seguire. L’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Butros Ghali ne colse il valore additandolo ad esempio all’intero consesso internazionale.  Lei è ora anche Presidente della Unione Africana e, in questa veste, è venuto in Italia per partecipare alle manifestazioni “Italia-Africa”. Le parole che questa mattina il Santo Padre, Giovanni Paolo II, Le ha rivolto stanno a dire l’amore per l’Africa che qui si respira, dico anche qui a Terni. Siamo convinti, infatti, che c’è un destino comune al quale non possiamo sfuggire. Con la sciocca pretesa di dividere i destini, l’Occidente innalza muri. Talora dobbiamo assistere a un progressivo disimpegno verso l’Africa da parte di istituzioni occidentali, nutrito magari da un prudente “realismo” e da un atteggiamento timoroso verso le crisi africane. Sovente si finisce per delegare ad un approccio solo economico, per poi lamentarsi per l’impreparazione e la corruzione delle classi dirigenti africane. Tale scelta rappresenta il rifiuto dell’Europa di assumersi fino in fondo le responsabilità storiche ma anche quelle assegnate dalla geografia e da un mondo sempre più globalizzato.

E’ triste constatare come nel mondo occidentale, l’Africa è vista con rassegnazione, quasi come un continente senza speranza, verso cui si guarda con un misto di impotenza e di distacco. Gli stessi africani, a volte, cadono nella trappola del pessimismo, soprattutto i più giovani. Molte speranze sono andate deluse e alcune trasformazioni si sono rivelate talvolta superficiali.
Per parte mia voglio sottolineare la positiva attualità del caso mozambicano. La situazione del vostro paese, come sapete meglio di me, era molto pesante. La guerra ha fatto oltre un milione di morti. Quell’accordo fu il frutto di sforzi comuni. Il 4 ottobre 1992 fu il punto di arrivo di un lungo processo. Ricordo sempre con commozione le parole del primo Comunicato Congiunto del 10 luglio 1990, redatto dopo il primo incontro tra le due parti belligeranti a Sant’Egidio:
“Entrambe le delegazioni, riconoscendosi come compatrioti e membri della grande famiglia mozambicana, hanno espresso soddisfazione e apprezzamento per questo incontro diretto, aperto e franco, il primo ad avere luogo tra le due parti…. tenendo in considerazione i superiori interessi della nazione mozambicana, le due parti si sono accordate sulla necessità di mettere da parte ciò che le divide, e di concentrare prioritariamente la propria attenzione su ciò che le unisce.”

Come sottolineò Andrea Riccardi, nel clima teso di quel primo incontro: “Quello che unisce non è poco, anzi è tanto. (…..) Ci troviamo (…..) innanzi a due fratelli, veramente parte della stessa famiglia, che hanno fatto esperienze differenti in questi ultimi anni, che hanno lottato tra loro. Per esperienza familiare sappiamo come le incomprensioni tra fratelli siano talvolta le più dolorose, le più profonde anche dal punto di vista psicologico, perché mettono in discussione le cose più care. I conflitti con gli estranei passano. Tra fratelli sembra tutto più difficile. Eppure si resta sempre fratelli, nonostante tutte le esperienze dolorose.”

Le parti trovarono così un denominatore comune importante. Infatti il negoziato di Roma é stato un vero dialogo “africano” anche se lontano dall’Africa. Il 9 giugno del 2002, scoprendo una lapide nella sala delle trattative, lei ha detto “tutto il popolo mozambicano ha lavorato per la riconciliazione. Sentiamo che è una riconciliazione che sta dando frutti, che tutto il mondo ammira”. E aggiunse: “non si può ricordare il 4 ottobre senza andare con il pensiero a Sant’Egidio”. E’ stata una casa di pace, dove la fiducia nel dialogo – servizio alla parola ed all’incontro – ha reso semplice, quasi naturale, cercare la pace, con l’aiuto di tanti. Uno dei segreti di quell’accordo è stata proprio la sinergia, potremmo dire la complementarietà. Dobbiamo riflettere come, al contrario, si perdono opportunità di pace proprio per una logica personalistica di paesi od organizzazioni.
La storia del Mozambico dimostra che i sogni possono essere più concreti del realismo delle diplomazie. Ci ricorda che in un mondo dove ognuno può fare la guerra e essere violenti, “tutti possono fare la pace”. Purtroppo tanti accordi sono disattesi. Invece in Mozambico la pace ha tenuto, anche perché è stata accompagnata da un processo di maturazione politica. Essa è una vicenda rivelatrice delle grandi risorse del popolo mozambicano. Ma è anche una storia rivelatrice delle energie di pace che sono scaturite da una mediazione fondata su una cultura umanistica. Nei momenti più difficili, ci ha sempre sostenuto la convinzione che il conflitto delle armi può trasformarsi in lotta politica.

Mi permetta, Signor Presidente, di fare un augurio al Mozambico, per un futuro di pace e prosperità nella democrazia. Per questo la cultura del dialogo è decisiva. Essa permetterà di vincere la sfida della costruzione di una via “mozambicana” alla democrazia, con il coinvolgimento sempre più forte di rappresentanti autentici della società civile. Una democrazia ha bisogno di un sentimento nazionale diffuso, fondato sui valori e sull’etica. Come comunicare il senso di un bene comune nazionale alle giovani generazioni? L’individualismo, le spinte centrifughe, la mancanza di una cultura del dialogo e del rispetto mutuo, possono rendere difficile il domani. Per questo è necessaria una memoria storica che metta in luce i valori mozambicani. L’istituzione del 4 ottobre come giorno di festa nazionale è stato un passo importante in questo senso.
Caro Presidente, continuiamo a essere vicini al Mozambico. Amare la pace oggi è affrontare assieme la decisiva lotta contro l’AIDS, guerra silenziosa, che falcidia la vita di un’intera generazione. Anche qui a Terni sentiamo in modo molto concreto il problema dell’AIDS. Assieme al Governo mozambicano e alla Comunità di Sant’Egidio tutti i Comuni della Diocesi si sono impegnati due anni fa a destinare alla lotta contro l’AIDS in Mozambico una percentuale del loro bilancio. E’ stato un singolare gesto di solidarietà, unico in un territorio italiano, che sta a dire quanto noi tutti sentiamo vicino il Suo paese. Da allora alcune persone della Diocesi di Terni continuano ad impegnarsi. Potrei dire, caro Presidente, che San Valentino, il protettore degli innamorati, ci ha fatto innamorare del Mozambico e del suo Presidente. Sappiamo che Lei è stato in prima fila nella battaglia per una maggiore coscienza collettiva, e ha sostenuto la necessità di garantire a tutti l’accesso a quei farmaci antiretrovirali che stanno poco a poco trasformando l’AIDS da una condanna a morte a una malattia cronica. Le ribadisco il nostro impegno, in termini di risorse umane ed economiche, nell’aiutare il Mozambico a vincere la sfida dell’AIDS.

Per finire, vorrei ricordare che alla fine di quest’anno lei lascerà la guida del Paese: questo da un lato ci dispiace, dall’altro è un ulteriore sintomo di una democrazia matura, di un paese forte, che regge il confronto elettorale. Lei ha dato una lezione a tanti politici. E il futuro? Mi permetto di dirLe che lei ha un nuovo impiego: quello di lavorare per la pace in tutto il continente africano e nel mondo intero, mettendo a frutto decenni di abilità diplomatica, di capacità politica, di esperienza sul terreno, di finezza umana e intellettuale. C’è molto da fare. E siamo certi che Lei metterà a frutto il suo talento. E San Valentino l’aiuterà nel compito di promuovere la civiltà dell’amore in ogni parte del mondo, a partire dall’Africa.