Giovedì santo

Giovedì santo

Care sorelle e cari fratelli,


 


abbiamo ascoltato dalla prima Lettera di san Paolo ai Corinzi che Gesù, mentre stava a tavola con i Dodici, prese il pane e lo distribuì dicendo: “Questo è il mio corpo spezzato per voi”. La stessa cosa fece con il calice: “Questo è il mio sangue, sparso per voi”. È il mistero dell’Eucarestia che da quella sera ha accompagnato sempre i discepoli di Gesù ovunque essi si trovano. E anche noi questa sera ripeteremo sull’altare quelle stesse parole. E si compie ancora una volta il miracolo di quella presenza di Dio in mezzo a noi. Sono ormai alcuni anni, care sorelle e cari fratelli, che continuiamo a porre al centro della nostra attenzione la Messa della Domenica. È il cuore di tutta la vita cristiana, anzi il cuore stesso della creazione. Sì, l’intero creato vive dentro il mistero della Eucaristia. Nella Messa infatti si realizza la nostra salvezza, la liberazione del mondo intero dal male e dalla morte. Dicevo ieri ai sacerdoti che dovremo continuare a riflettere e soprattutto a vivere il mistero della Messa della domenica. E dovremo continuare a nutrirci del pane e del vino consacrati. Pensate quale mistero di amore! Gesù, pur di restare vicino ai suoi, ha “inventato” l’impossibile (del resto l’amore vero non sa creare cose impossibili?). Si è fatto addirittura cibo per diventare carne della nostra carne. Quel pane e quel vino infatti sono il nutrimento celeste per ciascuno di noi: curano le malattie, liberano dai peccati, sollevano dall’angoscia, liberano dalla tristezza. Non solo. Soprattutto rendono simili a Gesù, aiutano a vivere come lui viveva, a desiderare le cose che lui desiderava; fanno sorgere in noi sentimenti di bontà, di servizio, di affetto, di tenerezza, di amore, di perdono.


Come vive chi fa la comunione? Gesù quella sera, ai discepoli riuniti, mostra lui stesso come debbono vivere quelli che si nutrono del suo corpo. L’evangelista Giovanni, infatti, non narra la istituzione dell’eucarestia ma la lavanda dei piedi. Perché? Appunto perché vuole mostrare nei fatti come debbono vivere coloro che si nutrono di Gesù. Forse le comunità cristiane del suo tempo – ma non è così anche oggi? – staccavano la celebrazione della Messa dalla carità vicendevole; celebravano la Messa ma l’amore tra loro era raro e fiacco. Giovanni vuole sottolineare che non c’è sacramento dell’altare se non c’è anche il sacramento dell’amore vicendevole, non c’è comunione se manca il servizio di carità ai più poveri. Ecco perché racconta la lavanda dei piedi. E la narra quasi al rallentatore perché non ne perdiamo nessuna sequenza.


A cena inoltrata, si alza da tavola, depone le vesti e si cinge i fianchi con un asciugatoio. Prende quindi un bacile con dell’acqua, si inginocchia davanti ai discepoli e lava a ciascuno i piedi. Li lava anche a Giuda che sta per tradirlo; Gesù lo sa, ma si inginocchia ugualmente davanti a lui. Pietro, appena lo vede avvicinarsi, reagisce: “Signore, tu lavi i piedi a me?” Povero Pietro, non ha ancora capito nulla! Non ha compreso che a Gesù non interessa quel tipo di dignità che il mondo desidera e che spasmodicamente cerca. Gesù, ancora una volta, spiega: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come uno che serve”.


Gesù ci ama con un amore sconfinato: offre il suo corpo come cibo, e si fa come un domestico che lava i piedi ai discepoli. La dignità per Gesù sta nell’amare gli altri, sta nell’inginocchiarsi a lavare i piedi. E’ la sua ultima grande lezione da vivo: “Sapete ciò che vi ho fatto? – dice alla fine della lavanda – Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io, facciate anche voi”. Il mondo educa a servire solo se stessi, Gesù esorta ad amare anche gli altri sino a chinarsi per lavarsi i piedi gli uni gli altri. E’ un comando nuovo. Non lo troviamo infatti tra gli uomini; non nasce dalle tradizioni umane, tutte solidamente contrarie. Tale comando viene da Dio. E solo praticandolo lo si comprende.


Nella santa Liturgia di questa sera la lavanda dei piedi è solo un segno, una indicazione della via da seguire: lavarci i piedi gli uni gli altri ed essere misericordiosi con tutti. Insomma, il Giovedì Santo ci insegna come vivere e da dove iniziare a vivere: la vita vera non è quella di stare diritti nel proprio orgoglio, ma piegarsi verso i fratelli e le sorelle, iniziando dai più deboli. E’ una via che viene dal cielo, eppure è la via più umana che possiamo desiderare. Tutti, infatti, abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi, come anche noi di chinarci verso i fratelli e le sorelle. Il Giovedì Santo, è davvero un giorno umano: è il giorno dell’amore di Gesù che scende in basso, sino ai piedi dei suoi amici. E tutti sono suoi amici, anche chi sta per tradirlo. Per Gesù nessuno è nemico, tutto per lui è amore. Lavare i piedi non è un gesto è un modo di vivere. E noi questa sera vogliamo lavare i piedi a coloro che servono l’altare, ad alcuni sacerdoti anziani, ad alcuni diaconi e ad altri  ministri straordinari dell’Eucarestia. È un modo per ringraziarli per il ministero dell’altare. È un modo da parte di Gesù di ringraziarli perché hanno portato a tanti il Signore Gesù nell’Eucarestia. Sì, i loro piedi sono benedetti perché hanno portato il Signore.


Terminata la cena, Gesù si incammina verso l’orto degli ulivi. Da questo momento non solo si inginocchia sino ai piedi dei discepoli, scende ancora più in basso, se è possibile, per dimostrare il suo amore. Nell’orto degli ulivi si inginocchia ancora, anzi si stende a terra e suda sangue, per il dolore e l’angoscia. Lasciamoci coinvolgere almeno un poco da quest’uomo che ci ama di un amore mai visto sulla terra. E mentre ci fermiamo davanti al “sepolcro”, diciamogli il nostro affetto e la nostra amicizia. Quanto sono amare quelle parole che disse ai tre che stavano con lui nell’orto: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?” Oggi, più che noi, è il Signore ad aver bisogno di compagnia e  di affetto. Ascoltiamo la sua implorazione: “L’anima mia è triste sino alla morte; restate qui e vegliate con me”. Chiniamoci su di lui e non facciamogli mancare la consolazione della nostra vicinanza. Signore, in quest’ora, non ti daremo il bacio di Giuda, ma come poveri peccatori ci chiniamo ai tuoi piedi e, imitando la Maddalena, continuiamo a baciarli con affetto.